domenica 2 novembre 2014

L'era dell'esibizionismo globale - 5

AVVISO IMPORTANTE: LETTURA INADATTA AI BAMBINI

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Vincenzo Eranio era un cittadino incensurato. L’ufficio anagrafe gli attribuiva cinquantaquattro anni, l’agenzia entrate una sola multa per ritardato pagamento delle tasse e il servizio sanitario nazionale un solo ricovero per un banale intervento di appendicite.
Nei registri dell’Arma risultava il suo nome: aveva presentato un denuncia contro ignoti – roba recente, pochi mesi prima – per diffusione non autorizzata di immagini private di Michela Eranio, figlia del medesimo. La denuncia era stata archiviata su richiesta della ragazza.
Per pura curiosità Doglia aveva googlato quel nome femminile, trovandosi a disposizione dozzine di foto e filmini pornografici. Non erano i tipici primi piani di peli pubici e capezzoli che tutte le adolescenti mettevano on line di tanto in tanto per vivacizzare il proprio profilo web e per competere con gli autoscatti sexy delle loro mamme: era materiale assai più professionale, sadomaso incluso. Due, tre minuti di scene hot e poi si apriva la finestra con l’avviso che per un paio di euro si poteva comprare il resto del video, forse anche qualcosa in più.
Il padre della webpornoattrice risultava residente al villaggio Breda. Doglia avrebbe potuto fargli visita e rivolgergli un paio di domande, ma ciò significava rischiare. Forse l’uomo era armato e pericoloso: affrontarlo senza un guardaspalle implicava la seria probabilità di restare ferito o peggio. Oppure lo avrebbe denunciato per violazione della privacy. Sarebbe stato buffo: Berruti che ammanetta il suo vice per aver infastidito un onesto cittadino con domande inopportune relative a dati anagrafici ottenuti fraudolentemente… A occhio e croce ce ne era abbastanza per l’imputazione di ‘abuso d’ufficio’, magari con un accenno di ‘stalking’.
Erano passate ventiquattro ore dall’ultima riunione congiunta delle forze dell’ordine. La videoconferenza aveva partorito tre direttive: la principale era la messa in onda dell’intervista al finto attentatore, le altre due erano persino più improbabili, tanto è vero che Doglia neppure se le ricordava. Nella sua mente persistevano solo le immagini delle case sventrate e i rapidi fotogrammi della donna anziana che si manteneva in disparte per versare le sue lacrime di costernazione, le lacrime amare di chi non sa capacitarsi di tanta assurda violenza.
Poco prima che terminasse il suo turno di lavoro il poliziotto aveva chiesto l’ennesima giornata libera per l’indomani, intavolando una negoziazione con Berruti: l’ispettore era disponibile, ma in cambio pretendeva venti giorni ad agosto.
“Pensaci bene: va a finire che per coprire tutti gli assenti ti toccherà stare l’intero mese in servizio. Grasso che cola se ti concedono un solo giorno libero prima o dopo ferragosto”.
“Per me va bene. Dubito che andrò in vacanza da qualche parte”.
“Ormai ti sei fregato da solo” lo aveva deriso Berruti inviando subito un’e-mail urgente al commissario con la richiesta di ferie estive dal primo al venti agosto.
Così, il giorno dopo, alle nove di mattina il poliziotto stava usufruendo della giornata di ferie. Il luogo di villeggiatura prescelto era il villaggio Breda, con la sua aria da paese in cui tutti si conoscono. Camminando lungo la via principale si poteva cogliere la tranquilla quotidianità dei pensionati che leggono il corriere dello sport sulle panchine di un minuscolo parco pubblico e delle casalinghe che vanno a fare la spesa a piedi, percorrendo con le buste in mano i pochi metri che separano i condomini dal negozio del fornaio e dallo spaccio del fruttivendolo.
Doglia aveva appurato che il domicilio di Vincenzo Eranio era una specie di prefabbricato in legno piazzato in mezzo a un cortile.
“Legale o abusivo?” si era informato con una signora pettegola.
“Sarebbe abusivo, ma gli altri condomini del palazzo glielo hanno concesso per pietà. Poveraccio, ha avuto tanti problemi”.
“Di che tipo?”
“Ha litigato con la figlia e con la moglie che lo hanno lasciato solo come un cane. Peraltro devono essere due vipere perché hanno litigato pure fra loro: una è andata in Inghilterra e l’altra…”
La donna aveva lasciato la frase inconclusa, decorandola però con un gesto della mano che sottintendeva la frequentazione da parte della figlia di ambienti poco rispettabili.  
“Non si può permettere neppure una casa?”
“No, poveraccio, qualche mese fa ha perso pure il lavoro e per campare gli è toccato vendere quella in cui viveva”.
“Quindi sta lì adesso?”
“Sì. Cioè, adesso no. L’ho visto uscire stamattina presto” resocontò la donna con l’aria di una che non si lascia sfuggire nessun dettaglio della vita di quartiere.
“Siccome ha un piccolo debito col negozio in cui lavoro” improvvisò Doglia “il mio capo mi ha chiesto di venire qui e farmi pagare… Per caso è un tipo violento, pericoloso?”
La signora modulò un massiccio “No!” teatralizzandolo con un ampio movimento della bocca. “Non parla mai, sta sempre per conto suo, ma è molto educato. Non è il tipo d’uomo che gira col coltello in tasca. Anzi, le dico di più: mi sembra incredibile che abbia debiti con qualcuno: è sempre stato di una correttezza esemplare”.
“Ne terrò conto, forse ha solo bisogno di qualche giorno per mettere insieme i soldi e liquidarci” aggiunse Doglia insistendo nella commedia. Ma subito vi aggiunse una domanda utile alla sua indagine privata:
“Quando pensa che lo posso trovare?”
La donna ora appariva restia, improvvisamente diffidente. Gli esattori suscitano sempre questo tipo di reazioni. “Chi lo sa? Non ha orari, certe volte sta fuori tutto il giorno e rientra quando è già buio. Provi più tardi”.

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Il bar era interrato sotto il livello stradale, pavimento in legno e pareti rivestite di plexiglass nero animato da luci colorate. Si atteggiava da locale giovanile metropolitano, anche se la sua collocazione topografica era da osteria di borgata. Per accentuare lo stile rock sfoggiava un paio di teleschermi sospesi a due angoli opposti della sala, con casse stereo a tutto volume. Erano sintonizzati su MTV: la programmazione dalle nove alle dieci era interamente occupata da ‘Death live’, raccolta di video amatoriali in cui qualcuno moriva in una qualche maniera: investito da una macchina, azzannato da uno squalo, accoltellato da un tifoso della squadra avversaria… Il palinsesto era ottimizzato alternando decessi traumatici ad altri più soft, tipo l’istante in cui un malato inflebato esala l’ultimo respiro o un suicida si inietta il siero letale in vena e poi si accomoda tranquillo sul divano in attesa della paralisi respiratoria.
I clienti presenti in quel momento erano però inadatti per quel tipo di bar: sul bancone stava poggiato un attempato signore che sorseggiava chinotto e sviliva una tuta giallorossa taglia M facendo straripare rotoli di panza XXL; a un tavolo era accomodato un ometto sui quarantacinque, seduto sotto uno dei due teleschermi, che indossava una minuscola giacca gessata con un paio di patacche di grasso e un bottone mancante. Il poliziotto Doglia era quello col look più intonato all’ambiente: i jeans e la giubba di pelle nera lo rendevano un rocker vintage. Ordinò un caffè e si sedette al tavolo libero.
“Lei non è di queste parti” affermò e domandò l’ometto trascurato. La luce giallastra del neon si adagiava come cera sulla sua fronte enorme, liscia, sormontata da capelli cortissimi e dritti che gli evidenziavano la testa a forma di cubo. In contrasto, sotto gli occhi tristi penzolava una faccetta piccola in cui spuntava qualche pelo sparso di barba discontinua. Aveva l’aria indifesa di un malaticcio.
“Posso chiederle come mai è venuto da queste parti?” continuò spostando la sedia in direzione del tavolo di Doglia.
Il barista gli lanciò un’occhiata di ammonimento: ‘Se questo inizia a parlare non te lo spiccichi più di dosso’ gli voleva suggerire. Ma il poliziotto doveva lasciar scorrere il tempo, e anche le ciance di un topo da bar potevano aiutarlo.
“Io neanche sono di qui. Vengo da Chieti, pensi un po’, abbastanza lontano anche se a seconda dei punti di vista può sembrare vicino” aveva preso il via l’ometto. “Ero venuto per amore di una donna. Che coglione, eh? Anche se all’inizio – diamo a Cesare quel che è di Cesare – è stato bello. Funzionava tutto alla perfezione. Guardi, le faccio vedere una cosa…”
Digitò sul cellulare l’url di youtube e cliccò su un video. L’immagine di presentazione mostrava due cuori rossi che pian piano si sovrapponevano fino a coincidere, e intanto appariva la scritta ‘La prima notte di nozze di Alberto e Fatima’. La telecamera fissa inquadrava il letto matrimoniale da una posizione laterale rialzata: la scena era occupata dalla mogliettina che si abbassava vezzosamente le spalline del babydoll mentre l’ometto – assai più giovane e vitale – strisciava sul lenzuolo a torso nudo e con un solo tanga a coprirlo.
“Guardi che intesa” si commosse l’uomo mentre scorrevano i preliminari, inclusa la mano di lei che gli calava il tanga per massaggiarlo sulle parti intime. “Come è possibile che un’unione così appassionata giunga alla separazione? Mi prende un dolore intollerabile ogni volta che ci ripenso” si lamentava l’ormai ex sposino con una voce triste come un belato. Pareva sul punto di piangere.
“Se si mette alla ricerca, sicuramente troverà un’altra donna con cui far rinascere la passione” lo incoraggiò per pietà Doglia.
L’ometto scosse la gigantesca fronte e il minuscolo mento. “No, non sarà mai più la stessa cosa. Guardi, le mostro un altro video”.
Di nuovo cliccò su una clip tra le varie – poche in realtà – che aveva caricato sul suo canale pubblico di youtube. In quest’altra sequenza l’ometto stava penetrando focosamente una donna di colore un po’ sovrappeso: erano in piedi, la partner con la schiena poggiata su un muro, la qualità della ripresa alquanto scadente a causa della scarsa luminosità. Avevano prescelto una location con una pessima illuminazione pubblica, e la telecamera aveva immortalato il loro amplesso in esterna notturna con inevitabili zone d’ombra.
“Stavo bene anche con Lina – sarebbe questa che si vede qui, o meglio: che praticamente non si vede qui – però Fatima era un’altra cosa. Con Fatima era un rapporto più…”
Deglutì. Una lacrimuccia gli colò lungo l’ossuto zigomo destro. “Non era solo sesso, capisce? Con lei ci stavo bene anche mentre telefonava alle sue amiche e io guardavo la televisione. Sentire la sua voce mi dava gioia…”
Il barista incrociò di nuovo lo sguardo di Doglia e smorfieggiò un chiarissimo ‘Ti avevo avvisato!’ Il poliziotto ritenne che il consiglio non poteva essere ulteriormente ignorato.
“Beh, io però adesso devo andare, ho un appuntamento”.
Si alzò dalla sedia mentre l’ometto tentava inutilmente di riattaccare bottone. Doglia lo ignorò, pagò e si lanciò a passi veloci sulla scalinata che riconduceva i clienti in superficie. Sui teleschermi agli angoli la pubblicità annunciava che nella successiva clip di videodecessi ci sarebbe stata una compilation di esecuzioni tramite decapitazione e impiccagione eseguite negli ultimi due mesi in un califfato mediorientale, e inoltre la lapidazione di una donna adultera che – rammentava lo speaker ai telespettatori – era stata ‘Numero uno negli Stati Uniti e in Canada per quantità di contatti, downloads e condivisioni’.


CONTINUA…

4 commenti:

  1. Terribile.
    Sono senza parole.

    Devo spiegarti una cosa, anni fa partecipavo ad un'associazione culturale web per scrittori e poeti principalmente e durante il mio piccolo viaggio insieme a loro ho letto tantissime cose delle più diverse, ma mai ho sentito così viva come leggendo questo tuo racconto la sensazione di trovarmi di fronte a qualcosa che non avesse nulla da invidiare ad un 'libro stampato' - è difficile spiegare cosa voglio dire ma credo che tu capisca ciò che intendo!

    Non lo so, c'è dietro una forza pazzesca e anche se io sono una 'sbarbatella' e non avrei diritto o autorità o meglio credibilità per dirti queste parole io sentivo di dirtele ugualmente per quel che vale!

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    1. Vale tantissimo, te lo garantisco. Non puoi immaginare quanta soddisfazione mi diano commenti come il tuo
      :-)

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