giovedì 30 gennaio 2014

Il senso è chiaro. Solo per l'autore però.

Uno degli atteggiamenti più odiosi da parte di chi scrive (o scribacchia come il qui presente) è l’eccesso di ermetismo. La simbolizzazione degli elementi narrativi seguendo una chiave di lettura che non è così scontata per il lettore.
I famigerati manuali di scrittura vietano tassativamente di spiegare in forma esplicita il senso di una trama o anche di un singolo episodio. Show, don’t tell e in certi contesti va benissimo. Ma se io show una tessera che va inserita in un mosaico, dovrò pure tell qualche suggerimento riguardo al mosaico, altrimenti il lettore rimarrà con un mucchietto confuso di tessere inutili.
Perciò, per dire, la mia novella “Iperbole” ha anche un’introduzione con le relative spiegazioni sul testo. Ovviamente avviso il lettore dello spoiler e lo invito – se lo preferisce – a saltarla e tentare la lettura diretta. Qualora cambiasse idea può sempre tornare indietro.
Però, evidentemente, sono caduto nell’errore di ritenere una narrazione chiara laddove non lo era affatto.
Mi riferisco a “Cronaca di natale”, novella mainstream, psicologica, per la quale credevo di non aver complicato troppo il mosaico interpretativo.
Nella mia mente io la vedo in questi termini (uso le stesse parole con le quali l’ho presentata a un editore):
Il tema della novella è la “linea d’ombra” dei trent’anni, il momento in cui non si possono più rimandare (o almeno non si dovrebbero più rimandare) le scelte su cosa si vuole fare “da grandi”. Il contesto natalizio accentua l’idea della solitudine e dell’anarchia mentale del protagonista in un momento dell’anno che dovrebbe riunire le famiglie e fondarsi sulla tradizione. Il protagonista é invece estraniato da questo meccanismo. Il titolo del romanzo ricalca il “Canto di Natale” di Dickens, il noto racconto fiabesco sulla magia natalizia, che per Aldo Damiani è solo “cronaca”. Lo spirito dei natali passati è rappresentato da una serie di flashback che rievocano speranze e delusioni, quello del futuro solo dal buio del cinema in cui si conclude il romanzo. A differenza di Ebenezer Scrooge, Aldo non sarà un uomo nuovo alla fine delle feste, ma sarà semmai ancora di più se stesso, il vero se stesso, colui che in fondo è disposto a correre il rischio dell’isolamento sociale derivante dal non fare compromessi con la realtà, senza però trasformarsi in un vecchio avido e disilluso, ma semplicemente nel tipico uomo eccentrico di cui spesso si sente parlare nei pettegolezzi della gente di provincia.
Insomma, questa era il mio intento. Inoltre nel capitolo XII (che non è quello conclusivo) c’è un’affermazione della voce narrante:
Era un finale poco spettacolare, ma Aldo non amava i finali spettacolari. Secondo lui le storie migliori erano quelle che colpivano nel loro insieme, non quelle in cui l’intera vicenda serve esclusivamente a fare da prologo all’istante conclusivo. Storie di questo tipo gli sembravano artificiose, perché gli davano l’impressione che prima fosse stato scritto il finale, e solo successivamente aggiunti un principio ed uno svolgimento che giustificassero questo finale. Nella vita reale non accade mai niente del genere: il principio viene per primo, e il finale segue, senza l’obbligo di essere eclatante, anzi, spesso si rivela fastidiosamente ordinario.
A me pareva che la conclusione della storia (che non rivelo, e comunque non è eclatante) fosse perfetta per la narrazione. Invece mi sono sentito dire un sacco di volte che il finale non va bene perché non spiega cosa succederà dopo al protagonista e agli altri personaggi.
Evidentemente la chiave di lettura che ho concepito non è così chiara come credevo. Più verosimilmente, non è raccontata nella maniera corretta.
Quindi ho costruito (da autore) la situazione che più odio da lettore: una narrazione dal significato incerto con una trama che appare incompleta.
Visto che nel 2014 mi cimenterò nel già annunciato ultimo tentativo di redigere una novella mainstream soddisfacente, terrò a mente questa lezione.

lunedì 20 gennaio 2014

Ultimo treno per il mainstream

Non ho mai pensato che la letteratura fantastica fosse narrativa di puro intrattenimento e che la sola vera letteratura - quella con la "L" maiuscola - sia quella tradizionale, realistica, psicologica, connessa al quotidiano. Lo testimonia la mia stessa attività: i miei ebook mainstream si affiancano ad altri di racconti fantastici senza alcun distinguo.
Palesatomi pertanto scribacchino privo di pregiudizi verso il fantastico, ho deciso che nel corso del 2014 mi impegnerò in un ultimo tentativo di realizzare un'opera decente di narrativa tradizionale.
Sinora i risultati sono stati insoddisfacenti. I giudizi di chi ha letto i miei libriccini mainstream sono stati abbastanza univoci: reazioni dubbiose e commenti perplessi. Incompleti è l'aggettivo ricorrente per definirli.
Per quanto riguarda le novelle fantastiche ho ricevuto recensioni più lusinghiere.
La differenza spicca anche su amazon: gli ebook mainstream sono passati inosservati anche in termini di vendita, mentre suscita interesse la serie su Hiroshi Miura, caratterizzata da un realismo ambiguo in cui elementi soprannaturali si innestano con molta discrezione nel quotidiano.
Però mi brucia dentro la brama di scrivere un'opera di narrativa tradizionale che possa piacere... una sfida di caparbietà in cui duello contro me stesso.
Il tempo che mi concedo è l'anno in corso. Elaborerò un'ultima novella mainstream. Se dovessi fallire, la abbandonerò del tutto e mi concentrerò esclusivamente su altri generi.

mercoledì 15 gennaio 2014

Gerardo Dottori

 Perugino verace, Gerardo Dottori (1884-1977) è stato uno dei tanti artisti affascinati dall’esperienza futurista, e ancor più specificamente dall’aeropittura ovvero una ricerca pittorica che – secondo la definizione del relativo manifesto del 1929 – “mediante una libertà assoluta di fantasia e un ossessionante desiderio di abbracciare la molteplicità dinamica con la più indispensabile delle sintesi, fisserà l’immenso dramma visionario e sensibile del volo”. L’esuberanza verbale del manifesto, in cui si scorge chiaramente la mano di Marinetti, in realtà definisce solo il principio della veduta aerea. L’esecuzione materiale rimane ancorata alla sensibilità del singolo artista, e l’aeropittura di Dottori ha piuttosto i connotati di un realismo magico in cui il visibile (ad esempio l'incendio osservato dall'alto nel quadro qui accanto) si trasfigura senza dissolversi nell’astratto.

 Anche la sua amata Umbria osservata dal cielo assume la fisionomia di un luogo incantato e incantevole.

Sempre legato al futurismo, Dottori accettò un’altra sfida del movimento, ovvero creare un’arte sacra che seguisse i dettami del dinamismo marinettiano. E fra tutti coloro che vi si sono cimentati, è stato lui probabilmente a creare il linguaggio espressivo più consono per conciliare i due estremi senza offendere la solennità della rappresentazione religiosa né svilire l’innovazione avanguardista.


venerdì 10 gennaio 2014

Chi è davvero Ariano Geta - 2

Scrivere è qualcosa di innato per me, più o meno come leggere. Da quando ho imparato, ho sempre sfruttato gran parte del mio tempo per queste due attività. Da bambino era un gioco, da adolescente una forma di sfogo, da adulto… anche più di uno sfogo, direi addirittura un’uscita di sicurezza. Quando percepisco in modo concreto il vuoto della mia esistenza (autentico o immaginario che sia) devo subito riempirlo con qualcosa che mi distragga la mente. La soluzione più immediata è ascoltare musica, meglio se particolarmente adrenalinica… classici del rock come “Foxy Lady”, “Born to be wild”, “Purple haze”, “Whole lotta love”… il grunge di Nirvana, Bush, Soundgarden, Deftones…
Però, finito il trip sonoro, bisogna corroborare il corpo e la mente con azioni attive prima di ricadere nell’apatia. A me basta un nulla per inanimarmi sul divano e fondermi con la sua triste mollezza. Inizio a scrutare un film che si apre con una scena catastrofica di CGI all'ennesima potenza, e penso: "La solita stronzata hollywoodiana". Sposto la visione su un altro canale: nomi francesi e inquadrature fisse, dialoghi monosillabici sospesi tra lunghi silenzi, e penso: "Vincitore della Noia d'Oro al festival del Sonno"... Tutto mi disgusta in quei momenti. Persino la voce di mia moglie che annuncia la cena. Lei mi chiama e io sussurro "Che palle".
Essendo un veterano di questi stati di alienazione mentale, so per esperienza diretta che non vanno mai sottovalutati. Non intendo ricadere mai più nel ciclo delle chiacchierate col medico e dei farmaci antidepressivi che lui reputa più opportuni per scuotermi.
Mi devo sollevare con volontà individuale e azioni attive. Fare ginnastica, camminare, sollevare pesi. E scrivere. Mens sana in corpore sano.
Scrivere permette di progettare qualunque idea. A volte basta immaginarla, ma resterebbe un concetto labile e incerto. La scrittura invece le da forma, dona la vita apparente. Ovviamente con qualche complicazione, come sanno bene gli dei delle antiche mitologie che hanno creato fiduciosi l’eccelso uomo e invece si sono trovati tra le mani una creatura diversa da ciò che avevano concepito.
Ecco, la similitudine dell’ultima frase non è casuale. Esprime il concetto fondamentale: scrivere mi fa sentire da dio.
Quando la Bibbia nomina i talenti, accennando che ognuno di noi ne possiede almeno uno e deve sforzarsi di metterlo a frutto perché è un dono di Dio e non può essere sprecato, io penso sempre che il mio talento è la scrittura. Non potrei mai abbandonarla.
Mi eleva dalla mia condizione di apatia e mi dona la sensazione (anche in questo caso, autentica o immaginaria che sia) di esserne al di sopra...

domenica 5 gennaio 2014

Chi è davvero Ariano Geta?

Una domanda meno banale di quanto sembri. Di fronte agli altri tendiamo tutti a indossare la nostra apparenza migliore, e il web, dove spesso la conoscenza coi propri interlocutori è indiretta, si presta bene alla costruzione di un’immagine fittizia di se stessi.
Nel mio caso è stata una scelta specifica, a partire dall’uso di uno pseudonimo e dall’assenza materiale di fotografie che ritraggano il mio volto (che comunque non ha nulla di interessante ;-)
Però, considerato che non basta un post riassuntivo a descrivermi, risponderò alla domanda del titolo un po’ alla volta nel corso dei prossimi mesi.
Un primo frammento di risposta potrebbe essere: Ariano Geta è uno che ha difficoltà a comunicare in forma diretta. Uno al quale le parole si inceppano in bocca, che si ricorda degli argomenti con cui avrebbe potuto obiettare le opinioni altrui quando ormai il dialogo è concluso e non c’è più nessuno al quale riferirle. Uno che ha sbalzi d’umore notevoli e a volte si annoia a partecipare a discussioni che gli sembrano futili.
Questo spiega perché mi piace tanto la comunicazione mediata tramite scrittura: mi consente di analizzare attentamente quel che ho da dire senza fretta, posso limare le parole e i concetti, defilarmi al momento opportuno. In effetti chiunque segue questo blog ha capito da un pezzo che io sono... asociale forse è eccessivo (anche se spesso mi autodefinisco così, consapevole di esagerare) però sociopatico è un'etichetta che non posso rifiutare.
La parola scritta diventa quindi una risorsa fondamentale per non chiudermi completamente in me stesso. Un dialogo indiretto con gli altri che si adatta perfettamente ai miei limiti caratteriali.
Ma questo vale solo per spiegare il mio ricorso alla scrittura in quanto mezzo di comunicazione. Se dovessi parlare del perché mi piace scrivere nel senso di: raccontare storie, sarebbe più o meno come aprire le classiche scatole cinesi…

giovedì 2 gennaio 2014

Anno nuovo, blog... nuovo? Rinnovato?

Beh, almeno l’header è cambiato. Considerato che quello precedente era stato creato da Luca, ho compiuto un piccolo sacrilegio estetico rimuovendolo.
Ma era necessario per simboleggiare una differenza di impostazione. Per lo stesso motivo anche l’autodefinizione di questo spazio è stata modificata: da il blog pseudoletterario di un dilettante al più essenziale il blog di Ariano Geta.
In effetti continuerò sulla stessa falsariga degli anni passati, però, come avevo anticipato, aumenterò lo spazio dedicato alle riflessioni personali e ai ricordi. Ma se dovessi diventare più ombelicale di un film di Nanni Moretti siete autorizzati a ricoprirmi di insulti ;-)
Per il resto, continuerò a dare spazio all’illustrazione e alla pittura, e non mancherà qualche incursione improvvisa di Writerman.
Forse parlerò in forma diaristica anche dei miei progetti di scrittura. Il “making of” è una fase che non ho mai condiviso pubblicamente, ma può darsi che quest’anno Ariano Geta faccia meno il prezioso.
E tutti gli internauti che desiderano interagire costruttivamente con questo blog saranno sempre i benvenuti :-)