mercoledì 20 maggio 2015

La polemica tra Juan Brady e Francisco Hernandez Mendieta – conclusione

La sensazione orrenda di essere uscito sconfitto dal confronto con Mendieta lo spinse a concepire una nuova opera di ampio respiro per rispondere con l'unica vera arma di uno scrittore: la sua narrativa. 
Per un anno e mezzo Juan Brady lavorò a un nuovo romanzo che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto costringere i critici a scomodare Don Segundo Sombra e Il giocattolo rabbioso per cogliervi i medesimi elementi di potenza narrativa.
Ci si impegnò con un’ossessività talmente malata da spaventare la sua compagna, che fu più volte costretta a trascinarlo via dal computer portatile che utilizzava d’abitudine per scrivere. Anche quando riusciva a condurlo sulla spiaggia, o a cena da qualche amico comune, non riusciva quasi mai a togliergli dalla faccia l’aria distratta di chi sta rimuginando su possibili varianti nella trama del capitolo in corso o sulla più opportuna sequenza verbale per imprimere maggiore impatto a una descrizione o un dialogo.
Nonostante il suo strenuo sforzo l’editore lo invitava quasi sistematicamente ad apportare delle modifiche. Lui si stressava, non capiva che il problema nasceva proprio dal suo tentativo di eguagliare Güiraldes e Arlt: così facendo finiva col quasi copiare – di sicuro inconsciamente – alcune costruzioni frasali presenti nelle opere dei due grandi romanzieri. Più che un’ispirazione la sua pareva imitazione.
Al volgere del citato anno e mezzo l’opera di Brady era ancora un ammasso confuso di capitoli, note, varianti, versioni alternative e ipotesi. Aveva trascritto quasi quattrocento pagine, ma il loro livello di organicità era piuttosto basso.
Mentalmente sfinito, accettò quasi con sollievo la proposta della sua compagna di trascorrere il venerdì sera al Teatro Vorterix dove da più di due mesi era in corso uno spettacolo musicale che stava riscuotendo un enorme successo di pubblico e critica. Lei era curiosa di assistervi, e in fondo Juan necessitava di una valida scusa per sospendere la gestazione del romanzo almeno per un fine settimana, così le propose a sua volta un diversivo: l’indomani, invece di passarlo a Baires, avrebbero potuto sfruttarlo per volare a Rosario da sua sorella Gabriela, viaggio che a lei avrebbe fatto sicuramente piacere poiché le capitavano poche occasioni per incontrarla. Volendo avrebbero potuto anche pernottarvi per condividere con Gabriela e col cognato il pranzo della domenica.
Era il fine settimana perfetto per ritemprarsi: la cultura musicale della capitale il venerdì sera, l’evasione verso l’altra grande città argentina il sabato, la convivialità famigliare la domenica.
Mentre il taxi li portava verso l’Avenida Lacroze avevano l’aria di due fidanzatini, anche se ormai erano entrambi vicini ai quaranta e convivevano da più di dieci anni.
Nel salone d’ingresso gli accessi per la platea erano ancora chiusi e gli spettatori si accalcavano ordinatamente in attesa dell’apertura. In quell’ampio spazio chiuso risuonava monotona la cacofonia di centinaia di voci sovrapposte, lo sgraziato caos sonoro intessuto da discorsi che si intrecciano contorti in un ordito di rumore. Le luci al neon trasformavano in pallore lunare anche gli incarnati abbronzati di ragazze giovani e borghesi meno giovani che frequentavano abitualmente solarium lussuosi.
Juan Brady e la sua compagna avevano tacitamente optato di starsene in silenzio dopo aver sperimentato l’impossibilità di comunicare tra loro senza doversi ripetere le stesse frasi ad alta voce per tre volte di seguito.
Lui si guardava attorno, vedeva volti in gran parte giovanili, talvolta di uomini e donne di mezza età che si sforzavano di apparire meno anziani indossando accessori trendy e sfoggiando make up da diciottenni in fregola per una serata in discoteca.
Il gruppo particolarmente numeroso che riuscì a identificare si distingueva da tutti gli altri perché molti davano le spalle alle porte di accesso per discorrere con gli amici in fila dietro di loro. Quasi tutti i presenti erano rivolti verso l’ingresso e parlavano voltandosi alla loro destra o alla loro sinistra in direzione di chi li accompagnava, quel gruppo invece era talmente numeroso da costringere il contingente più avanzato a voltarsi completamente per poter partecipare alle chiacchiere in attesa dell’apertura della platea.
Fu quando si voltò per la seconda volta nella loro direzione, distrattamente, che Brady notò la presenza di Mendieta. Il crocchio di giovani era tutto incentrato su di lui. Juan provò una sensazione di sorpresa e fastidio talmente violente da non accorgersi di essersi paralizzato qualche secondo di troppo in quella posa che lo rendeva un osservatore insistente e un po’ impiccione, anziché casuale. Fu inevitabile che anche l’altro scrittore lo scorgesse.
Le porte si aprirono in quell’istante. Sospinto dal fluire lento ma deciso di centinaia di corpi in movimento Brady venne trascinato nelle scalinate in mezzo ai posti a sedere, la mano stretta alla sua compagna per non perdere contatto. Mentre si accomodavano al loro posto la voce di Francisco Hernandez gli risuonò alle spalle.
“Buonasera. Posso porgere il mio saluto allo scrittore Juan Brady?”
L’intonazione della voce era priva di malizia, lo sguardo amichevole. Juan non poté fare a meno di alzarsi in piedi, stringergli la mano e presentargli la sua compagna.
“Sta lavorando a un nuovo romanzo?” gli domandò con un ambiguo uso del lei.
Brady fece cenno di sì senza entrare nei dettagli.
“Spero che sia quella storia con la nonna, il latte e le cicogne. Se non si decide a trasformarla in un libro sarò costretto a chiederle se posso farlo io al suo posto” commentò con l’identica voce priva di malizia e l’espressione da vecchio amico dipinta in faccia.
Juan annuì senza aggiungere alcuna parola che desse maggior senso a quel gesto e significasse in modo chiaro se quella trama la avrebbe elaborata un giorno, o se invece la stava cedendo al rivale.
“Vado al mio posto, mia moglie e i nostri amici mi aspettano. Buona serata”.
Per tutta la durata dello spettacolo musicale Brady ebbe la spiacevole sensazione che il suo ventre si contorcesse. Le splendide melodie del gruppo che si esibiva dal vivo – ritmi contaminati che riunivano tango e rock, dance e melodico, percussioni tribali e assoli jazz di strumenti a fiato – gli rimbombavano nei timpani come colpi materiali, quasi sentiva illividirsi le orecchie come se fossero state effettivamente raggiunte da schiaffi ripetuti di mani aperte che ininterrottamente lo martoriavano.
Quando lo spettacolo era sul punto di concludersi Brady lamentò dei forti dolori all’addome. La compagna gli chiese se poteva resistere, lui disse di sì ma stringeva i denti e dalle labbra chiuse a fatica filtravano gemiti che neppure il frastuono degli strumenti e i gorgheggi dei cantanti potevano nascondere a coloro che gli sedevano accanto.
Una giovane donna gli chiese se si sentisse poco bene e si dichiarò disposta a far partire un passaparola con l’intera fila per chiedere a tutti di alzarsi e lasciarlo passare. Lui agitò la mano per sottintendere che non vi era necessità, ma la sua compagna decise diversamente e pregò la donna di procedere.
Dopo pochi minuti erano fuori dal teatro, lei lo sorreggeva e intanto pregava l’addetto al foyer di chiamare con urgenza un taxi.
“L’Alexander Fleming per favore, subito!” istruì l’autista con la voce che le tremava.
Il Pronto Soccorso si prese cura di lui. Aveva un infarto in corso, ma per fortuna lo avevano preso in tempo.
“È stato fortunato, in questi casi la velocità con la quale ci è permesso di intervenire è fondamentale” gli spiegò un medico dopo che lo avevano trasportato nel reparto cardiologia per intubarlo e sedarlo.
*
La notizia del malore occorso a Juan Brady si ritagliò un piccolo spazio nei giornali e sul web. Ricevette numerosi auguri di pronta e completa guarigione, anche da parte di Francisco Hernandez Mendieta, Omar Ballesteros e Beatriz Ghidini.
Venne dimesso dopo due settimane. Lo invitarono a starsene a riposo per un po’ di tempo, magari anche lontano dal proverbiale fervore di Buenos Aires, vitale ma talvolta mortale.
“Se passassimo qualche settimana a Bariloche?” gli propose la sua compagna.
Lui rispose con un “No!” netto, quasi infastidito. Nella sua mente la salubre cittadina non veniva più associata né alla celebre piazza in stile tedesco né alla natura rigogliosa, e non si chiamava più San Carlos ma località-preferita-di-Mendieta. Scelse invece Ushuaia, nonostante le perplessità della compagna e dei genitori che ritenevano inopportuno un soggiorno in un luogo così isolato.
“E se avessi un altro infarto?”
“Non mi succederà” tagliò corto lui. Voleva stare lontano da tutto, perso per alcune settimane laddove scorre la linea di confine fra le terre non ancora del tutto disabitate e i mari artici, nelle più remote profondità patagoniche, senza alcun frastuono di civiltà e di metropoli a contaminarne il selvaggio isolamento.
Fu davvero un soggiorno di totale distacco. A ogni alba, mentre la sua compagna ancora si attardava sotto le coperte consapevole che non vi era motivo di affrettare l’inizio di una giornata che si sarebbe noiosamente consumata in brevi passeggiate impervie o escursioni in barca in cerca di pinguini e altra fauna antartica, lui usciva dalla rustica casa che avevano preso in affitto e attendeva il sorgere del sole.
Allo stesso modo ogni pomeriggio assisteva al tramonto, attimo dopo attimo, immerso nel rossore infinito che si riversava nell’aria candida seppure salmastra che lui respirava a pieni polmoni.
Quando rientrò a Buenos Aires, due settimane dopo, andò a far visita al suo editore per intavolare un discorso in cui c’erano di mezzo tanto i rapporti professionali quanto l’amicizia ormai sviluppatasi tra loro dopo la lunga frequentazione che li univa.
Le risposte ricevute furono fondamentalmente quelle che lui si aspettava cosicché il giorno dopo annunciò tramite il proprio sito internet che “per motivi di salute” cessava l’attività come romanziere. Si sarebbe guadagnato da vivere continuando a collaborare con la casa editrice che aveva pubblicato le sue opere, però nel ruolo di traduttore dall’inglese e di curatore della collana ‘Classici Stranieri’.
Trascorse i primi mesi da ex scrittore con una certa mestizia, poi lentamente si abituò a quest’ineluttabile nuovo corso della sua vita.
Già dopo un anno poteva guardare al suo passato da narratore senza provare alcun rimpianto o malinconia. Veniva però preso da un’irrefrenabile sconforto quando gli capitava di pensare – sempre più raramente per sua fortuna – che Francisco Hernandez Mendieta avrebbe continuato a scrivere merdate che sarebbero state acclamate come capolavori sia dall’establishment corporativo che dalla suggestionabile massa dei lettori.
Fu questo il suo unico vero cruccio per il resto dei suoi giorni.

FINE

23 commenti:

  1. Sarò superficiale ma io certe fisse non le capisco..

    ..e mentre Mendieta si fa felicemente i cavoli suoi, Brady rosica fino alla fine dei suoi giorni perchè non si fa i fatti suoi e guarda troppo gli altri.

    Sta cosa mi ha portato alla mente persone che conosco.

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    1. "Sta cosa mi ha portato alla mente persone che conosco"
      Ecco, questa parte del commento è quella che mi da più soddisfazione, si vede che sono riuscito a tratteggiare un personaggio credibile.

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  2. Il finale non è sicuramente scontato. È vero che lascia l'amaro in bocca, ma la vita spesso è così e qualcuno per non sentirsi sconfitto deve fare un passo indietro. Nel complesso 4 'puntate' ottime! (P.S.: hai ricevuto la mail che ti ho spedito qualche settimana fa?)

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    1. Grazie mille Tim.
      E-mail di qualche settimana fa? Onestamente non ho ricevuto nulla...

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    2. No, contrordine. Abbi pazienza, ma io la posta la controllo sempre su libero, a quella su google non ci penso mai :-(

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  3. Un finale del tutto imprevisto, però tristissimo! Mi è piaciuto molto l'incontro in teatro, ma più mi avvicinavo alla fine più qualcosa dentro di me diceva "no, no, no!!". Non tutto più finir bene, me ne rendo conto...
    Complimenti, bel racconto :)

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    1. Grazie, mi spiace se il finale non è stato quello che ti aspettavi ma sono contento che comunque ti sia piaciuto :-)

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  4. Mi associo ai complimenti :))
    Si percepisce che ami quella parte di mondo e ami scriverne. Comunque "Don Segundo Sombra" l'ho letto pur io ;-)

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    1. "Don Secundo Sombra" è una delle opere che costituiscono l'anima dell'Argentina tradizionale. Borges, signore del fantastico erudito, in un certo senso provava vergogna a non essere uno scrittore concreto e "d'azione" come Guiraldes. Ho tentato di dare forma all'estinzione definitiva di quell'Argentina letteraria a favore di quella più onirica di - per dirne uno - Soriano.

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  5. Mi è piaciuto questo malinconico epilogo.
    Mi chiedo se uno romanziere possa mai smettere di scrivere senza coltivare per sempre il rimpianto di non riuscire più a farlo.
    Una bella storia, complimenti.

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    1. Grazie. Non so se potrebbe mai succedere, ma spero di aver dato l'illusione che la storia sia plausibile.

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  6. Nel precedente commento ti avevo detto che mi sarei lasciato trascinare dal gorgo fino ad affogare. Ora che ho portato a termine la lettura posso affermare che ( ... e Giacomo L. me lo consentirà ) " E l'affogar m'è dolce in questo mare. "
    Racconto sublime.

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  7. La triste realtà è quella di cui tu parli, nel senso che moltissime persone vivono coltivando e covando il proprio rancore nei confronti di terzi! :/
    Non condivido personalmente la scelta di Brady perché non è basata su una consapevolezza personale che 'in fondo non sono uno scrittore', è semplicemente il trionfo della sua insicurezza e soprattutto non risolve esattamente una mazza, ma ho compreso il motivo della tua scelta leggendo i commenti (la questione dei generi narrativi in Argentina)!

    Su questo racconto ho delle impressioni contrastanti, nel senso che da un lato ho compreso tutte le scelte che hai fatto perché le hai incastonate in un disegno preciso, ad esempio i diversi caratteri e la caratterizzazione stessa dei due personaggi rispecchia in pieno la tua idea: un Brady realistico, immensamente realistico rispetto al volatile Mendieta per associarli ai rispettivi generi di competenza, ma dall'altro forse il tutto si è concluso 'in fretta' rispetto ai precedenti capitoli che erano invece così ricchi sia di eventi che di sensazioni!
    Per questo infatti forse non mi sento in grado di comprendere a pieno la decisione finale di Brady, o forse mi era piaciuto talmente tanto che semplicemente volevo continuasse ancora! :°D

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    1. Può darsi che la conclusione sia troppo affrettata. Ne prendo nota, come di tutti gli altri commenti, al fine di rielaborarlo in modo migliore.

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  8. Mi è piaciuto molto. E' così il nostro mondo.

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    1. Non se sia proprio così, però questo è il modo in cui io lo percepisco.

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  9. Anch'io percepisco il mondo così.

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  10. Non posso criticare la tua scelta conclusiva, perché questo racconto mi è piaciuto molto e l'ho trovato scorrevole e interessante. Posso dirti che l'atteggiamento di Brandy l'ho trovato fastidioso da subito, senza contare che probabilmente avrei preferito realmente leggere un libro di Mendieta, che pare essere il tipo di romanzi che piace a me: quelli che si basano su sensazioni più che su fatti veri e propri.
    In definitiva sei riuscito ad appassionarmi e a farmi tifare per uno piuttosto che che per l'altro. Bravo!

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    1. Grazie, lo scopo di una polemica in effetti è proprio creare due fronti contrapposti, poi ovviamente ognuno "tiferà" secondo le proprie inclinazioni.

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