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martedì 15 settembre 2009

Trilogia veneta sognata

 “Trilogia veneta sognata” è nato dalla mia passione non solo turistica ma anche letteraria per Venezia, la Venezia della Repubblica Serenissima, la città immortalata da Canaletto in decine di quadri straordinari, la città di cui parlano nei loro scritti autobiografici Giacomo Casanova e Carlo Goldoni.
Tutto è partito da una sorta di romanzo fantasy che volevo scrivere ambientandolo in un contesto “settecentesco”. Purtroppo il progetto non è andato a buon fine (ne ho pubblicato un frammento qualche giorno fa).
In quello stesso periodo riflettevo sui limiti della narrativa. Una canzone accompagna le parole con la musica, un film con delle immagini, un fumetto con i disegni. Pensavo ai “codici miniati” medioevali, in cui le parole scritte si fondono con le miniature, si intervallano coi disegni e formano esse stesse delle decorazioni.
La narrativa pura e semplice invece ha “solo” le parole, che formano il linguaggio dello scrittore.
Il linguaggio… Beh, il linguaggio dice tante cose. Le avanguardie letterarie dei primi anni del 1900 hanno provato proprio a rivoluzionare il linguaggio: i futuristi, i surrealisti, il “flusso di coscienza” di James Joyce…
E non solo: lo stile del linguaggio fa capire tante cose. Le memorie di Goldoni sono abbastanza comprensibili, ma sono scritte chiaramente con uno stile che non è quello di oggi. Hanno quel linguaggio un po’ rococò, pieno di parole ricercate, e soprattutto esprimono lo spirito del settecento: leggerezza, allegria, teatralità.
Quello è stato il primo spunto: provare a scrivere qualcosa che sembrasse in tutto e per tutto appartenere al settecento, ambientandolo nella splendida Venexia di cui parlano quasi tutti i viaggiatori del nord Europa nei loro resoconti del “grand tour” in Italia.
In qualche modo doveva essere una finzione, una finzione ottenuta grazie al linguaggio. Ma a questo punto l’idea si è sviluppata: e se il linguaggio “settecentesco” si fondesse con quello moderno? E se la “finzione” fosse non solo per il lettore, ma anche per i personaggi del racconto? Se il testo scritto fosse funzionale al racconto?... Così è nato definitivamente il progetto su cui ho lavorato per diverso tempo: un gioco letterario in cui la struttura della narrazione prende il sopravvento sulla storia, sui personaggi e sulla narrazione stessa, ovvero “Iperbole”. Un gioco come il quadro che fa da copertina al libro (in alto a sinistra): una visione immaginaria di Venezia del Canaletto (chiunque sia stato a Venezia sa che i quattro cavalli sono in cima alla basilica, non nella piazzetta).
Ho provato a mandarlo a qualche editore, e come previsto dalla “procedura” l’ho fatto precedere da una sinossi. Ovviamente respinto. Giusto. Me ne sono reso conto quando ho riletto quella sinossi a mente fredda, un po’ di tempo dopo. Come poteva un editore accettare un testo del genere? E’ un libro che venderebbe pochissime copie e potrebbe interessare solo un pubblico molto ristretto (è quello che avete pensato dopo aver letto la descrizione di come è nato il racconto, non è vero?).
Se fossi stato un autore affermato, con milioni di copie vendute alle spalle, me l’avrebbero potuto concedere. Ma ero un perfetto sconosciuto (come ora d’altronde).
Però ero così legato a quel racconto… Lo stesso fermento mi aveva ispirato un altro scritto di ambientazione settecentesca, “Commedia reale”, e successivamente un terzo, “Vi racconto la mia storia”, sia pure diverso per epoca e contesto ambientale.
Nel momento in cui ho capito che quel libro era impossibile da pubblicare tramite un editore, ho deciso che un giorno l’avrei pubblicato a mie spese. Quel giorno è arrivato prima di quanto avessi preventivato grazie al “print-on-demand”.
Ecco, ho voluto dare la priorità al libro al quale sono più legato per il tempo che gli ho dedicato, per la cura che ci ho messo, per il modo in cui ho dovuto editarlo non solo linguisticamente ma anche tipograficamente.
Ora posso anche provare a scrivere qualcosa di più convenzionale.
Magari l’anno prossimo… ;-)

2 commenti:

  1. Forza e coraggio. Ne parlerò presto anche sul mio blog ma... con questo tuo libro hai scoperto la diversità tra essere autori e essere scrittori.

    Lo scrittore scrive ciò che gli viene chiesto di scrivere (chiesto dal pubblico, dall'editore, dal mercato). L'autore scrive ciò che gli comanda il cuore.

    ^_^

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  2. In realtà credo che il discorso sia meno netto. Credo che tutti noi possiamo essere un po' "scrittori" e un po' "autori" nel realizzare uno scritto. Francamente ammiro quelli che riescono a venire incontro al lettore con tanta facilità.
    Io intendo provarci, magari l'anno prossimo come già detto nel post. Però al momento volevo mettere nero su bianco i miei racconti così come piacciono a me, cercando poi di vedere se il mio stile piace anche a qualcun altro. Ovviamente un editore non può permettersi di fare un esperimento del genere, e ha ragione. Vedremo se un giorno sarò così bravo da diventare anche "scrittore" e non solo autore... ;)

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