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giovedì 24 marzo 2011

Scritti come gravidanza

Michel de Montaigne, nel capitolo VIII del libro II dei suoi Saggi, parla diffusamente dell’affetto dei padri per i loro figli, sviluppando numerose e disordinate riflessioni come è nello stile di questa opera considerata tra le più importanti della letteratura francese del XVI secolo.
Nelle ultime pagine del capitolo crea una similitudine abbastanza ardita: paragona l’amore di un essere umano per i suoi figli al sentimento che lo stesso essere umano proverebbe per i propri scritti, intesi come discendenza spirituale di un uomo. Cita esempi storici, ad esempio il caso del romano Labieno i cui manoscritti “sovversivi” vennero bruciati in un pubblico rogo per ordine del senato; in seguito a ciò Labieno si sarebbe suicidato perché l’aver perso le proprie opere equivaleva ad aver perso la propria famiglia e non avere più uno scopo per rimanere vivo.
Premetto che sono sempre scettico su queste interpretazioni così drastiche, comunque è indubbio che chi scrive da molta importanza alle proprie carte (o files digitali), e perderle costituisce sempre un piccolo dramma personale. Ma addirittura paragonarle ai figli mi pare eccessivo.
Comunque, dovendo dare un “valore” ben definito al frutto della propria creatività (non solo scrittura quindi, ma anche disegni, fotografie, musiche e quanto altro), come si potrebbero quantificare?
Ovviamente si tratta di un dato variabile da persona a persona, e anche da scritto a scritto: non tutti i prodotti della mente vengono percepiti allo stesso modo dall’autore, e alcuni suscitano un affetto maggiore rispetto ad altri.
Personalmente paragonerei la perdita definitiva dei miei scritti alla distruzione della casa in cui vivo: sarebbe la scomparsa di qualcosa che faceva parte di me per abitudine, ricordi, routine quotidiana, che non potrei mai ricreare uguale a come era. La vivrei come una mazzata, mi verrebbero le lacrime agli occhi così come accade alle persone che assistono impotenti all’incendio della loro adorata casetta e, pur consolandosi all’idea che la vita continua, si sentono come se ne avessero perduta una parte.
Che dite, sono esagerato o… non abbastanza? ;-)

5 commenti:

  1. Molto dipende da quanto si è 'sudato' per quel parto letterario. Quando il mio neurone riflette su queste cose, mi dico che tanto poi sorella morte porta via ogni cosa (quindi non solo i miei scritti), perciò riesco ad essere più distaccato. Ma indubbiamente perdere i testi che mi hanno aiutato a tirar fuori qualcosa di me mi dispiacerebbe e molto. Il mio terrore è quello di arrivare in negozio e scoprire che il PC su cui scrivo, e dove ho tutto il mio lavoro, sia andato. Per questo urge l'acquisto di una buona chiavetta USB. Lo stesso accade per le foto: ne ho a migliaia fatte in questi anni con la macchinetta digitale, e tutte su PC. Sicuramente però, per tornare al tuo argomento, non paragonerei uno scritto ad un figlio: con lui interagisci, dai e ti da, vi plasmate a vicenda crescendo; un libro, per quanto possa essere bello e illuminante, una volta scritto rimane lì. Quello che dici tun potrebbe essere in qualche modo vero per un lettore esterno, che può scoprire nell'opera sempre nuove cose. Ma comunque il paragone non regge sicuramente.
    Temistocle

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  2. Oddio... perché è così strano pensare ai propri scritti come a dei figli? Io la penso proprio così. Magari non valgono molto per chi sta fuori ma, io ci ho sudato sangue, passato notti insonni, lavorato in continuazione. Un parto continuo... per fortuna senza doglie, ma comunque sono frutto del mio essere. Per cui sono miei figlioletti e, probabilmente non mi suiciderei per la loro perdita (non lo farei neppure se dovessi perdere i miei figli), ma vivrei molto (ma molto) male senza di loro.

    Difatti... i miei scritti sono backuppati con una ridondanza maniacale (anche le foto, anche i disegni). Li ho sul portatile, su un hd di backup, sulla Time Machine, sul Mac che uso come Media Center, e persino in uno spazio online (Cloud Computing). Senza contare che i testi a cui sono più legato sono presenti anche nella mia libreria (stampati in PoD) e in quella dei miei genitori.

    @TIM:
    Una volta scritto rimane lì? No. Come ben sai, molti dei miei ebook sono stati revisionati nel tempo. Il mio primissimo romanzo è stato riscritto da capo ai piedi ben 4 volte... e sto pensando a una 5 versione perché ancora non mi convince. I miei lavori vivono assieme a me e crescono con me. Ogni volta che decido di proporli al pubblico in un nuovo formato, li rileggo, li modifico, li rinnovo.
    E faccio la medesima cosa anche per i racconti brevi. Molti di loro sono già alla terza o quarta stesura. Poi... per fare un esempio più "altolocato", prova a pensare al Manzoni. Il suo "Promessi Sposi" ha avuto diverse modifiche sostanziali prima di raggiungere la sua forma definitiva. Al suo interno persino i personaggi cambiavano di aspetto, di atteggiamento, e di nome.

    Tutto dipende "quanto" pesa la scrittura per lo scrittore. "Quanto" valore egli dà alle proprie idee e "quanta" passione impiega per portarle alla loro forma migliore. Hemingway impiegò sei mesi per decidere un aggettivo da inserire in una frase de "Il Vecchio e il Mare" (questo esempio lo cito sempre). Poi, alla fine decise di non metterlo proprio. Quando uno dedica tanto tempo, passione, ed energia a un testo, viene normale che lo consideri come un figlio. ^_^

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  3. Tempo fa', ho avuto una fittissima relazione epistolare con un amico. Ogni giorno, fiumi di inchiostro ... lettere molto belle, piene di tutto, anche racconti. Un giorno finì la nostra storia ... lui mi disse di aver buttato via tutto, lettere, foto, regali ... feci altrettanto in quel momento di rabbia ... buttai anche la chiavetta USB nella quale avevo riversato tutte le mie copie degli scritti!
    Non passa giorno che non ci pensi e, sempre provando una fitta dolorosa al cuore per il mio gesto insensato! Ho ucciso due volte le mie creature!

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  4. @ Temistocle : beh, qualche precauzione magari prendila ;-)
    @ Glauco : allora ti consiglio proprio di leggere quel saggio di Montaigne, sicuramente lo troverai interessante.
    @ Serena : i gesti che facciamo hanno uno scopo nell'immediato. Forse se non avessi fatto sparire quella corrispondenza e l'avessi conservata, oggi non gli daresti tanta importanza (te lo dico perchè io non ho mai voluto buttare le lettere di una corrispondenza simile alla tua... e oggi quelle lettere sono buttate chissà dove, nenach'io lo ricordo più e non sento alcun desiderio di rileggerle ;-)

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  5. Anche io sono legatissima a tutto quello che scrivo e sono d'accordo con te sull'eccesso di drasticità... nemmeno io mi suiciderei mai! Però è vero che sarei davvero molto triste, sarebbe come aver perso pezzetti di me.

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