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giovedì 3 gennaio 2013

Vita materiale e scrittura conseguente

L’influenza biografica nella scrittura è una questione che da noi in genere viene posta nel momento in cui si studia Giacomo Leopardi. Secondo alcuni suoi contemporanei il pessimismo cosmico era frutto delle disgrazie personali del poeta, opinione condivisa anche da alcuni critici letterari vissuti successivamente. Secondo altri invece la visione pessimistica di Leopardi nasce dalla sua straordinaria sensibilità, e i malanni fisici che lo hanno afflitto sin dall’adolescenza hanno soltanto contribuito a fargli sperimentare anticipatamente il decadimento fisico del corpo, esperienza che comunque tocca in sorte a ogni essere umano e che in lui si è condensata in meno di quaranta anni anziché settanta.
Personalmente ritengo che questo tipo di problematica sia secondaria. Vogliamo ipotizzare che un Leopardi in buona salute avrebbe composto poemetti sulla bellezza meravigliosa della vita? Va bene, d’accordo.
Vogliamo immaginare che un Dickens con un’infanzia agiata non avrebbe mai creato i vari David Copperfield e Oliver Twist, ma solo principini felici? E sia, mozione approvata.
Ma secondo me la domanda da porsi è, semmai: le elucubrazioni mentali del poeta recanatese e le storie di miseria del romanziere inglese, hanno una loro ragion d’essere? Hanno attinenza  con l’esperienza umana? Raccontano qualcosa di autentico, quanto meno a livello individuale?
Perché, ecco, la chiave di tutto è proprio la conclusione dell’ultima domanda retorica che ho formulato. L’esperienza è sempre individuale. Ognuno di noi racconta la vita, se stesso, il mondo, la realtà e ogni cosa in base alla propria percezione. Da questo punto di vista ogni individualità è autentica, nonché fine a se stessa. Quando poi tramite la scrittura si esprime tale visione soggettiva, altre persone possono percepire un’assonanza e si crea in tal modo una condivisione, segno evidente che altri esseri umani hanno sperimentato (o continuano a sperimentare) sensazioni simili a quelle provate da Leopardi e Dickens.
Insomma, all’origine di tutto ci sono le esperienze in se stesse, pertanto (per come la vedo io) se Leopardi e Dickens avessero avuto vite diverse e (ipoteticamente) avessero scritto cose differenti, comunque, in qualche altro contesto, sarebbe emersa una figura di pessimista cosmico che - non trovando in letteratura nulla che esprimesse il suo stato d’animo - avrebbe scritto lui qualcosa di simile alla poetica leopardiana. Allo stesso modo ci sarebbe stato un romanziere che, non avendo mai letto storie “dickensiane”, avrebbe deciso lui di narrarle. Persone che nella realtà sono state semplici lettori (o imitatori) dei due letterati, in un contesto privo di opere come “A Silvia” e “Grandi speranze” sarebbero diventati essi stessi i creatori e precursori di certe tematiche, magari con meno talento ma con il risultato di ispirare a loro volta qualcun altro.
Insomma, sarò paradossale ma io capovolgo la questione: le esperienze in se stesse sono la base della letteratura, e la singola persona dotata della giusta sensibilità e capacità narrativa è lo strumento tramite la quale l’esperienza assume forma scritta. Ciò che, ipoteticamente, non fosse stato scritto da Leopardi, o da Dickens, o da qualunque autore, prima o poi sarebbe stato scritto in modo non troppo dissimile da qualcun altro.

8 commenti:

  1. Bo' non lo so, questa cosa della percezione "propria" mi convince poco. E' vero che le esperienze variano a seconda dei singoli punti di vista e delle persone, ma ritengo che i punti di vista siano grosso modo limitati e non differenti per ogni singolo individuo... tant'è che si può leggere un racconto e riconoscersi nei sentimenti del protagonista.

    Credo anche che una storia e un'idea siano frutto anche della loro epoca. Cioè i sentimenti e le persone restano simili, ma cambia il periodo storico e l'atteggiamento "collettivo". Per cui una volta che il periodo è passato certe cose se non sono state sviluppate un po' si perdono o meglio si può scrivere un romanzo storico su Roma antica (per dirne una) ma non si può più scrivere DI Roma antica avendola vissuta come protagonista. Quello che è stato scritto è stato scritto ed è ciò che ci rimane.

    Simone

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    1. Ovviamente il post esprime il mio punto di vista sull'argomento e non ha alcuna pretesa di essere la verità assoluta. É solo una mia personalissima ipotesi qui esposta proprio per suscitare uno scambio di idee e opinioni in merito.

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    2. Ovvio... e infatti era un'opinione (scambiata) anche la mia! :)

      Simone

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  2. Gli scrittori sono spesso animi inquieti e malinconici. Io sono un po' uno spirito leopardiano, ma la natura matrigna non mi ha dato il suo stesso talento! Credo che tutti abbiano del dolore da raccontare, solo che chi scrive lo incanala nella sua arte.

    Leopardi avrebbe scritto dei capolavori anche conducendo una vita diversa? Secondo me, sì, il suo talento sarebbe emerso in altri scritti, in altro modo, ma sarebbe emerso.

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    1. Anche questa è una possibilità intrigante e da valutare.

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  3. Io penso che io talento sia talento e basta. Stephen King avrebbe potuto scrivere romanzi rosa ed essere sempre il Re; così come Liala poteva scrivere di horror e riuscire alla grande. Certo, se l'esperienza aiuta ad esprimere meglio certe cose, allora un aiutino serve, ma poi ci vuole la capacità di mettere su carta.

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    1. La mozione di Romina prende quota.

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    2. E chi l'avrebbe mai detto?

      Comunque ti segnalo che ho scoperto il blog di Tim e lui mi ha detto che ha scoperto il mio grazie a te, quindi un sentito ringraziamento per la pubblicità!

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