PAGINE

mercoledì 29 maggio 2013

Un tema pittorico ricorrente - 3

Un episodio biblico che ha ispirato numerosi pittori è la brevissima storia di Susanna e i due vecchi, che diventano “vecchioni” nell’italiano arcaico.
La vicenda narra di una giovane donna spiata da due anziani giudici mentre si sta facendo il bagno. Attratti dalla sua bellezza, i due le si avvicinano e le propongono di concedersi a loro. Se dovesse opporsi la accuserebbero pubblicamente di adulterio, una colpa punibile con la morte secondo l’antica legge ebraica. Susanna non cede al ricatto e i due giudici la denunciano come promesso, forti della loro autorità. Ma il profeta Daniele non si lascia ingannare: scopre la menzogna, restituisce l’onore e la libertà alla donna e fa giustiziare i due vecchi per la loro condotta infame.
Le rappresentazioni artistiche si incentrano sempre sul momento del primo incontro fra Susanna e i vecchioni.
La pittrice Artemisia Gentileschi (1597-1652) dipinse tre tele su questo soggetto. Una delle più celebri esprime in modo palese l’umiliazione della donna – nuda, indifesa e spaventata – in contrapposizione all'arroganza degli uomini che la sovrastano dall’alto (anche  figuratamente) della loro rispettabilità sociale di giudici.

L’olandese Gerrit Van Honthorst (1590-1656) sceglie una rappresentazione dello stesso tenore, ma molto più teatrale e drammatica, per certi aspetti vicina al gusto moderno. La sua Susanna non è minacciata solo verbalmente: si sta divincolando, terrorizzata, da quel che potrebbe essere un tentato stupro di gruppo.

Più ambigua la versione di Alessandro Allori (1535-1607). Qui la donna appare soggiogata psicologicamente dai due vecchi, e sono eloquenti i particolari dello sguardo spaurito e del sorriso forzato (zoomate sull’immagine per cogliere i dettagli). Al tempo stesso, però, si percepisce un sottile compiacimento del pittore nel mettere in mostra la nudità di Susanna in una posa quasi da modella, ma soprattutto nel rappresentare i due vecchi lubrici come se stessero assaggiando – letteralmente – il corpo femminile.

Altri pittori hanno scelto di focalizzare la scena nel momento in cui i due anziani spiano di nascosto la donna ignara.
Nel quadro di Tintoretto (1518-1594) i due uomini sono degli attempati voyeurs, mentre Susanna, pur essendo chiaramente una donna adulta, ha l’aria di una giovinetta che ammira vanitosamente la propria avvenenza nello specchio che le sta di fronte.

Invece per Franz von Stuck (1863-1928) i guardoni siamo noi: nella sua tela Susanna riesce a celare il proprio corpo ai due vecchi, ma è inconsapevolmente esposta ai nostri impudici sguardi.


Anche alcuni artisti contemporanei si sono ispirati a questa leggenda per le loro opere.
Il francese Patrick Boussignac ha però preso spunto da altro tipico soggetto rinascimentale, la donna caritatevole, ossia la balia che allatta un povero carcerato ridotto alla fame (come, ad esempio, in un quadro del Caravaggio di cui mostro qui a destra il dettaglio in questione. Se non si fosse capito, questa NON è Susanna). 
Quindi nell’opera di Boussignac Susanna non è più l'emblema della donna minacciata e accusata ingiustamente: si fonde con la donna caritatevole e, generosamente, concede il seno ai due vecchi giudici affamati non di cibo ma di fresco piacere sessuale, un nutrimento che alla loro età è in genere negato.

Il portoricano Ben Morales-Correa invece tramuta la storia di Susanna in un’allegoria della pornografia: di lei ci mostra solo il busto, mentre dei vecchi dipinge soltanto i volti imbruttiti che mercificano la nudità fissandola con sguardi volgari. Nell’epoca di internet e dell’ultradiffusione di certi siti, è un’interpretazione significativamente attuale.


giovedì 23 maggio 2013

I motivi di una scelta

Come avevo preannunciato nel precedente post, cercherò di spiegare perché da un po’ di tempo mi sto orientando sempre di più verso le traduzioni di opere di Hiroshi Miura.
La spinta iniziale è stata ovviamente la mia passione per la storia e la cultura giapponese, ma questo aspetto ha una rilevanza solo parziale. In effetti quando ho realizzato la prima novella di Hiroshi Miura, Romanzo sensazionale, pensavo a un esperimento narrativo e non immaginavo che avrei continuato a scrivere altre novelle sulla stessa falsariga.
Però – e questo l’ho compreso appieno solo in seguito – due caratteristiche dell’autore così come lo avevo concepito inizialmente mi si sono rivelate congeniali più di quanto avessi programmato. Tanto per cominciare si tratta di uno scrittore che sarebbe vissuto tra la fine dell’800 e i primi decenni del 1900. Conosco – e apprezzo – la letteratura di quel periodo più di quella contemporanea, e inevitabilmente il mio stile di scrittura ne risente e appare piuttosto antiquato. Questa debolezza, applicata a uno scrittore degli inizi del XX secolo, diventa un punto di forza: non devo più preoccuparmi che l’eventuale lettore pensi: “Come è datata questa prosa!”, anzi, diventa normale che sia datata trattandosi di novelle pubblicate oltre settant’anni fa!
L’ambientazione negli anni ’20 e ’30 del 1900 (talvolta anche in epoche precedenti), per di più in Giappone, rende necessaria la massiccia consultazione di testi divulgativi sui periodi prescelti al fine di creare il background storico e ambientale. Questo aspetto, sebbene impegnativo, si è trasformato in un ulteriore vantaggio per me perché sono sempre stato un appassionato di storia sin da bambino. Per redigere Romanzo sensazionale e le successive novelle di Miura ho passato più tempo a documentarmi che non a scrivere, però le ore trascorse nello studio mi hanno procurato soddisfazione. Non erano affatto un peso, semmai un piacere.
Infine c’è il discorso dell’eteronimia. Scrivere qualcosa stando nei panni di un altro autore è deliziosamente liberatorio. Mi viene spontaneo citare una frase del creatore di eteronimi più famoso della letteratura, il portoghese Fernando Pessoa: “E quello che seguì fu la nascita in me di qualcuno a cui diedi subito il nome di Alberto Caeiro. Scusate l'assurdità di questa frase: il mio maestro era sorto in me”.
Ho sempre sognato di fare il traduttore: l’autore da tradurre è sorto in me.

domenica 19 maggio 2013

Il punto della situazione

Quando propongo "il punto della situazione" significa che le idee sono davvero a zero.

Quest'anno è iniziato malissimo sul piano privato, e anche a livello professionale posso solo constatare che l'azienda in cui lavoro continua a subire l'onda lunga della crisi e della mancanza di liquidità. Abbiamo clienti che stanno a loro volta in difficoltà e propongono una rinegoziazione del debito che implica il pagamento del dovuto in due rate a 12 e 24 mesi.... Abbiamo clienti in amministrazione controllata i cui debiti (che per noi sono crediti) rimarranno bloccati e non incassabili per chissà quanto... Abbiamo clienti appaltatori di opere pubbliche che lamentano ritardi nell'erogazione del denaro da parte del ministero e pagano ormai con tempistiche che vanno dai 180 ai 210 giorni...
Parlando invece della mia amata - ma traballante - torre d'avorio in cui il tempo è fermo all'anno 1908, in questo periodo sto leggendo un romanzo abbastanza recente un classico che mi mancava, "Il ritratto di Dorian Gray". L'attività scrittoria procede lenta ma con continuità, ed è incentrata nuovamente su una traduzione di opere di Hiroshi Miura. Due racconti sono ultimati, un terzo è in gestazione.
Sicuramente nessuno si sta domandando perché io, da un po' di tempo, mi sono fissato su queste traduzioni in modo ossessivo, ma fingo che qualcuno me lo abbia chiesto e gli rispondo: se dovessi spiegare come si è sviluppata la mia passione per tradurre Hiroshi Miura non basterebbero poche parole, ci vorrebbe un post apposito...
[simulando che sia un'idea improvvisa e non pianificata] Accidenti, e perché no? Sì, faro proprio così: pubblicherò un post su tale interessantissimo(*) argomento nei prossimi giorni.

(*) siate buoni e fate finta di crederci

lunedì 13 maggio 2013

Un racconto completo

IL PATTO
(racconto partecipante al concorso 3Narratori)

Avresti il coraggio di fare un patto col demonio?
O meglio: non esattamente col demonio, ma con una persona che potrebbe essere lui. Un uomo la cui aura brilli di una luce inequivocabilmente malevola.
Conosco la storia di uno che cedette a tale lusinga e poi se ne pentì, anche se ricevette il suo discreto tornaconto in cambio. Potrei raccontartela, ma temo che non mi crederesti, soprattutto se ti rivelassi subito chi è lui. Perciò non ti dirò il suo nome. Non riusciresti a comprendere appieno. E invece qui è fondamentale essere nei suoi panni sin dall’inizio.
Facciamo così: te la narro, ma non farò riferimento a lui. Il protagonista sarai tu.

Sei un giovane di ventitre anni, da un po’ di tempo vivi nella grande città. Per te che hai sempre vissuto nei sobborghi, lontano dalla frenesia, dalla corruzione e dalla vivacità della metropoli, è stato come scoprire un nuovo mondo.
Tu che conoscevi tante cose solo tramite i libri, ora scopri cose nuove e straordinarie. E poi vedi coi tuoi occhi tanti bizzarri modi per guadagnarsi da vivere che ignoravi completamente. Non sono necessariamente disonesti: alcuni sono leciti, anche se considerati poco rispettabili da molti eminenti cittadini.
E tu hai un gran bisogno di soldi, non è vero? Quel coglione di tuo padre, fanculo a lui e alle sue smanie di grandezza, non si è forse indebitato oltre i limiti della decenza? Corre il rischio di essere arrestato, e tu lo sai fin troppo bene.
Ma come guadagnarseli? Non è facile trovare lavoro quando si viene dalla provincia e la brutta fama del tuo genitore ti ha preceduto. E allora ecco che ti si prospetta l’occasione di praticare una professione ambigua e – proprio per questo motivo – adatta a un giovane con una brutta reputazione: l’attore.
All’inizio eri scettico:
“Attore? Io? Non saprei… Non credo di avere il talento…”
Sì che lo hai, non atteggiarti a santarellino. Recitavi benissimo quando hai preso per il culo la tua donna. L’hai messa incinta, hai subito accettato il matrimonio riparatore (ma intanto hai intascato la dote) e poi hai piagnucolato con straordinario mestiere che non potevi sopportare l’onta di vivere accanto a lei dovendo sopportare il giogo odioso delle malelingue e di quel despota di tuo suocero, e allora preferivi lo strenuo sacrificio di starle lontano per qualche mese dimostrando a tutti che non eri un buono a nulla ma un giovane pieno di ambizioni, capace di arricchirsi nella grande città e ritornare al paese da trionfatore.
Da applausi, devi credermi. Per alcuni istanti forse persino tu hai creduto di essere sincero.
E invece eccoti qua: sono passati lunghi mesi, e tu sei solo un commediante da quattro soldi – nel senso finanziario del termine – che sta per fare la fine del suo imprevidente genitore: il poco che guadagni basta a malapena per sostentarti, fra qualche giorno ti toccherà dormire sotto un ponte.
Che trionfo, eh?

È sera ormai, una delle tante sere nebbiose di questa maledetta città grande come l’inferno e fredda come un cimitero. Sei stato in osteria a bere e scherzare con attorucoli e donne dalla dubbia reputazione, ma ogni risata uscita dalla tua bocca ora si è trasformata in un sospiro di tristezza.
Sei solo, cammini lungo la strada principale dove tutte le porte sono serrate. La gente è chiusa in casa a ripararsi dal gelo, tu invece non hai un luogo che ti aspetta. Puoi sprecare le tue ultime monete e dormire in una locanda, o cercare un giaciglio di fortuna.
E poi? Cosa farai domani?

Mentre sei avvolto dalla foschia sporca della notte che si mescola alle esalazioni maleodoranti del fiume, hai l’impressione di scorgere in lontananza una sagoma indefinita. Un uomo con un mantello, o qualcosa del genere.
Ti guardi attorno e ti domandi se per caso ti sei perduto. Ormai la città la conosci bene, ma sai che è talmente estesa da rendere possibile che esistano luoghi in cui, fisicamente, non hai mai messo piede. Il problema è che non scorgi più nulla e hai perso ogni riferimento. L’unica cosa che appare chiara ai tuoi occhi è la nebbia, null’altro. Per alcuni istanti hai persino il dubbio che il terreno sotto i tuoi piedi sia scomparso, e per un attimo – soltanto per un attimo – maledici tutti gli alcolici che hai bevuto un’ora fa (o forse tre ore fa, difficile stabilirlo con precisione).

Adesso ne sei certo: era proprio un uomo col mantello. A quanto pare non sei l’unico disgraziato che vaga nel buio gelido privo di una meta e di uno scopo, senza avere il coraggio di ammettere che non ha combinato niente di utile nella sua vita e che le prospettive future sono persino più scoraggianti del passato.
Per puro istinto accenni un saluto. Che viene ricambiato.
Il tizio ha un gran naso e la pelle scura, deve essere di razza levantina. Infatti parla con un accento straniero, e ciò conferisce un tono curioso alla sua voce, o piuttosto sottilmente inquietante, al pari dei suoi occhi che brillano come se un’invisibile luna vi si specchiasse.
Ora inizia a parlarti. Vuoi ascoltare ciò che dice?

Stai passando un momento difficile, ti si legge in faccia.
Io? No, io non ho problemi di alcun genere. Mi piace passeggiare a quest’ora solo perché è più facile incontrare disperati come te. È questa la categoria di persone con cui mi piace concludere affari.
Cosa dici? Che i miei affari evidentemente sono poco redditizi? 
Beh, dipende dai punti di vista. Il guadagno inteso esclusivamente come denaro è pura volgarità.
Ah!, a te non dispiacerebbe un po’ di volgarità? Lo credo bene. Magari sarebbe bello anche assaporare il sapore della rivalsa nei confronti di coloro che in questo momento ti reputano un incapace pieno di grilli in testa, non è vero?
… E se ti dicessi che io posso aiutarti? Che sono in grado di concederti queste soddisfazioni? Che è in mio potere rendere immortale il tuo nome e assai prospera la tua vita materiale?
No, non dovresti firmare nulla, tanto meno col tuo sangue. Per scrivere un contratto l’inchiostro è decisamente meglio. Ma ti dirò di più: ho notato che i contratti scritti, specialmente quando li redigi in un contesto di solenne ufficialità, sono quelli che più facilmente non vengono rispettati. Preferisco la parola. Se decidessi di venire patti con me, è sufficiente che tu mi stringa la mano e mi autorizzi a riscuotere il mio compenso dopo che avrai potuto constatare che, da parte mia, i patti sono stati rispettati.
Sì, hai capito bene. In fondo io ti sto promettendo che diventerai un uomo famoso, ricco e rispettato, e sono consapevole che non può avvenire dall’oggi al domani. Occorrono anni. Un tempo più o meno lungo affinché il tuo talento venga riconosciuto oppure qualche personaggio influente ti prenda a cuore – o forse entrambe le cose – e in questo modo ti giunga l’opportunità di salire di livello. Non più attore ma autore e impresario, sarebbe a dire: il grosso del guadagno diventerebbe tuo, e con un po’ di fortuna anche la fama riservata a pochi mortali.
Dici che non potresti mai scrivere? E che io sono più ubriaco di te? 
Io sono sobrio. E quanto al fatto di scrivere, tu ci hai mai provato? No? E allora come fai a sapere che non ne saresti capace? Può darsi che ti dimostreresti migliore degli autori laureati che tanto piacciono alla gente di questa città.
E poi, te lo ripeto: ti lascio il tempo di verificare le veridicità delle mie promesse. Riscuoterei le mie spettanze solo dopo che tu sarai diventato l’uomo che ora reputi impossibile poter diventare.
Cosa dici? Ah, solo per curiosità vorresti sapere qual è il compenso che ti richiederei in cambio di questo servizio...
Devo premetterlo: è fondamentale che tu non mi fraintenda e che mi lasci il tempo di spiegare nei dettagli.
Ebbene, ciò che voglio è un pezzo della tua carne.
Tranquillo, non sono un cannibale. È un modo di dire, quando sarà il momento capirai. No, non sto usando una strana perifrasi per sottintendere che alla scadenza del patto mi prenderei la tua vita. Continueresti a vivere ancora per anni e anni, ovviamente beneficiando sino all’ultimo istante dei privilegi che ti ho concesso. Anche mantenendo la salute, certamente sì. Niente malattie e sofferenze fisiche indicibili, moriresti di vecchiaia trascorrendo i tuoi ultimi anni in tranquillità.
Sospetti che dopo ti trascinerei all’inferno? 
No, forse non mi sono spiegato bene. Non ho parlato di anima, bensì di carne. Inoltre non è in mio potere stabilire se un uomo debba andare in paradiso o all’inferno. Sono altri a decidere.
Che c’è, sei tentato?
Perché esiti? In fondo che male c’è? Non ti sto mica proponendo di arricchirti con metodi immorali. Saresti un famoso autore, capace di innalzare nobilmente l’animo degli spettatori. Il guadagno e la fama che ne deriverebbero sarebbero il meritato premio per aver arricchito la storia dell’umanità con opere di straordinaria grandezza.
In cambio ti chiedo solo un po’ della tua carne.
Accetti?

Quale sarebbe stata la tua risposta?
Presumo “no”, ed è quella giusta.
Bisogna aver paura di fronte a proposte del genere.  Non devi mai accettarle neppure per scherzo.
Ora posso rivelartelo: lui voleva ingannarti subdolamente. Ma non nel senso che non avrebbe rispettato il contratto. Al contrario, tu saresti davvero diventato un autore famoso: le tue opere sarebbero state acclamate, il tuo nome avrebbe risuonato gloriosamente per le strade della grande città e l’eco sarebbe giunta sino al paese che ti rideva alle spalle.
Avresti avuto le tasche piene di denaro, il favore dei letterati, l’acclamazione dei potenti.
Però, nove anni dopo, l’uomo che ti ha venduto tutto ciò sarebbe venuto a riscuotere il prezzo del contratto verbale che avete stipulato in quella lontana notte, mentre la foschia vi separava dal resto del mondo.
La tua carne, diceva lui. Ovviamente era una metafora, ma neanche tanto. A pensarci bene era semplicissimo capire il senso di quelle parole.
Carne della tua carne.
Ossia tuo figlio.
Sarebbe morto giovanissimo, ancora fanciullo, portato vie dalle implacabili mani di colui che, in fondo, ha mantenuto il patto e ti ha concesso i benefici promessi. Ma a che prezzo? Riesci a immaginare qualcosa di più orribile?
Non soffriresti solo per il dolore di averlo perduto, che già basterebbe a rendere l’atroce l’esistenza di qualunque padre. Dentro di te sapresti che il colpevole sei tu, tu che hai venduto un po’ della tua carne in cambio di… come aveva detto quel tipo?
Il guadagno inteso esclusivamente come denaro è pura volgarità.
Anche la fama ovviamente. Cosa sono di fronte all’infamia di aver sacrificato il proprio figliolo maschio? Riusciresti a convivere con un senso di colpa del genere?
Paradossalmente, alimenterebbe ancora di più la tua vena creativa. Scriveresti opere tragiche al cui centro ci sarebbe sempre un uomo che cede alle tentazioni più sottili dell’umana bassezza. Un uomo che per paura, per ambizione, per brama o per arroganza sceglie di avventurarsi nelle oscurità più profonde e pericolose che esistono in lui. Un uomo che apparirebbe più vero, più autentico e più sofferto dei meri comprimari – quelli che invece fanno solo ciò che è giusto. Tu non riusciresti a dare spessore a quelle mezze figure che hanno resistito al peccato. Tu sentiresti l’ineluttabile necessità di porre al centro della scena l’infame che, irresponsabilmente eppure consapevolmente, cede alle insidie del male. Lo metteresti al centro perché vorresti che gli altri capissero che quell’uomo sei tu! Non potresti mai dire: “Ho ucciso io mio figlio!”, ti prenderebbero per pazzo. Ti rammenterebbero che è stato vittima di una malattia, una dolorosissima scelta del fato, e ti ripeterebbero che devi fartene una ragione e accettare questa perdita per quanto essa sia grave.
Se provassi a descrivere la notte di quel maledetto incontro ti risponderebbero che, come tu stesso ammetti, eri ubriaco e quindi hai sognato ogni cosa.
E invece tu sapresti che non è così. Dentro di te, nitidamente, ricorderesti che l’unico vero sogno di questa vicenda ha avuto luogo la sera che ha preceduto la morte del tuo angelo. Il tipo col mantello si era intromesso nel tuo sonno sussurrando: “Ho mantenuto il mio patto. Ora vengo a riscuotere”, e tu ti eri svegliato di soprassalto. Con profonda meschinità avresti ancora temuto per te stesso, nonostante le sue rassicurazioni in merito. Ma il giorno dopo ti sarebbe giunta, atroce, la notizia che il tuo primogenito si era addormentato nelle braccia della morte.
Saresti impazzito dal dolore. Avresti addirittura provato a vendicarti – suona ridicolo, non è vero? – mettendo sul palco l’uomo col mantello. Lo avresti reinventato come personaggio di un dramma, lo avresti rappresentato come l’uomo più esecrabile, più disgustoso, più infame mai vissuto sulla faccia della terra. Ma solo per uno stupido sfogo, perché dentro di te avresti saputo che lo sdegno doveva ricadere solo su di te.
Avresti beneficiato ancora del successo, avresti continuato a vivere per puro senso del dovere verso tua moglie e le tue figlie, ma intanto avresti confessato la tua colpa tramite le tue opere. Un giorno, molto più in là di quanto avevi programmato, saresti tornato al paese natio da vincitore, avresti riabilitato tuo padre agli occhi dei concittadini donandogli addirittura il titolo gentilizio che aveva sempre desiderato. Ma dentro di te avresti saputo che quella rivalsa tanto attesa non aveva più alcun valore.
Ecco, rispondendo di “no” hai evitato tutto questo. Hai condotto una vita tranquilla, anonima e senza prosperità, ma non hai dovuto affrontare il tremendo peso interiore di essere il responsabile della morte di tuo figlio. Lui è lì, accanto a te, e sai già che ti sopravviverà come è giusto che sia.

Comunque, tanto per non lasciare le cose inconcluse, ipotizziamo per assurdo che tu avessi risposto di “sì” e avessi accettato le lusinghe del tipo col mantello.
Beh, che tu lo creda o no, saresti diventato William Shakespeare.

mercoledì 8 maggio 2013

Slogan del Ventennio tornati di attualità

Un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori

Ovvero: un popolo in cui ci sono sempre più disoccupati con molto tempo libero a disposizione (poeti, artisti, pensatori) che per arrivare alla fine del mese
devono ingegnarsi (scienziati) e per far quadrare i conti compiono autentici miracoli (santi), giungendo talvolta all'estrema decisione di andare a cercare lavoro all'estero (navigatori, trasmigratori).

Spezzeremo le reni alla Grecia

Pensavano, gli ellenici, di aver creato la peggior crisi economica e istituzionale dell'area euro.

Ma noi li supereremo.

Me ne frego

Purtroppo, ciò che realmente pensano molti di quelli che - grazie alla loro posizione sociale ed economica - non sono in nessun modo toccati dalla crisi.

domenica 5 maggio 2013

Vecchio blog, nuovo header

Malgrado la scarsità di idee, il blog per il momento non cambierà i suoi contenuti e neppure i suoi intenti.
Però, ringraziando ancora una volta Luca, a partire da oggi cambia il suo header. E comunque anche quello precedente era opera del nostro Cyberluke.
Buona domenica a tutti!