IL PATTO
(racconto partecipante al concorso 3Narratori)
Avresti il coraggio di fare un patto col demonio?
O meglio: non esattamente col demonio, ma con una persona che potrebbe essere lui. Un uomo la cui aura brilli di una luce inequivocabilmente malevola.
Conosco la storia di uno che cedette a tale lusinga e poi se ne pentì, anche se ricevette il suo discreto tornaconto in cambio. Potrei raccontartela, ma temo che non mi crederesti, soprattutto se ti rivelassi subito chi è lui. Perciò non ti dirò il suo nome. Non riusciresti a comprendere appieno. E invece qui è fondamentale essere nei suoi panni sin dall’inizio.
Facciamo così: te la narro, ma non farò riferimento a lui. Il protagonista sarai tu.
Sei un giovane di ventitre anni, da un po’ di tempo vivi nella grande città. Per te che hai sempre vissuto nei sobborghi, lontano dalla frenesia, dalla corruzione e dalla vivacità della metropoli, è stato come scoprire un nuovo mondo.
Tu che conoscevi tante cose solo tramite i libri, ora scopri cose nuove e straordinarie. E poi vedi coi tuoi occhi tanti bizzarri modi per guadagnarsi da vivere che ignoravi completamente. Non sono necessariamente disonesti: alcuni sono leciti, anche se considerati poco rispettabili da molti eminenti cittadini.
E tu hai un gran bisogno di soldi, non è vero? Quel coglione di tuo padre, fanculo a lui e alle sue smanie di grandezza, non si è forse indebitato oltre i limiti della decenza? Corre il rischio di essere arrestato, e tu lo sai fin troppo bene.
Ma come guadagnarseli? Non è facile trovare lavoro quando si viene dalla provincia e la brutta fama del tuo genitore ti ha preceduto. E allora ecco che ti si prospetta l’occasione di praticare una professione ambigua e – proprio per questo motivo – adatta a un giovane con una brutta reputazione: l’attore.
All’inizio eri scettico:
“Attore? Io? Non saprei… Non credo di avere il talento…”
Sì che lo hai, non atteggiarti a santarellino. Recitavi benissimo quando hai preso per il culo la tua donna. L’hai messa incinta, hai subito accettato il matrimonio riparatore (ma intanto hai intascato la dote) e poi hai piagnucolato con straordinario mestiere che non potevi sopportare l’onta di vivere accanto a lei dovendo sopportare il giogo odioso delle malelingue e di quel despota di tuo suocero, e allora preferivi lo strenuo sacrificio di starle lontano per qualche mese dimostrando a tutti che non eri un buono a nulla ma un giovane pieno di ambizioni, capace di arricchirsi nella grande città e ritornare al paese da trionfatore.
Da applausi, devi credermi. Per alcuni istanti forse persino tu hai creduto di essere sincero.
E invece eccoti qua: sono passati lunghi mesi, e tu sei solo un commediante da quattro soldi – nel senso finanziario del termine – che sta per fare la fine del suo imprevidente genitore: il poco che guadagni basta a malapena per sostentarti, fra qualche giorno ti toccherà dormire sotto un ponte.
Che trionfo, eh?
È sera ormai, una delle tante sere nebbiose di questa maledetta città grande come l’inferno e fredda come un cimitero. Sei stato in osteria a bere e scherzare con attorucoli e donne dalla dubbia reputazione, ma ogni risata uscita dalla tua bocca ora si è trasformata in un sospiro di tristezza.
Sei solo, cammini lungo la strada principale dove tutte le porte sono serrate. La gente è chiusa in casa a ripararsi dal gelo, tu invece non hai un luogo che ti aspetta. Puoi sprecare le tue ultime monete e dormire in una locanda, o cercare un giaciglio di fortuna.
E poi? Cosa farai domani?
Mentre sei avvolto dalla foschia sporca della notte che si mescola alle esalazioni maleodoranti del fiume, hai l’impressione di scorgere in lontananza una sagoma indefinita. Un uomo con un mantello, o qualcosa del genere.
Ti guardi attorno e ti domandi se per caso ti sei perduto. Ormai la città la conosci bene, ma sai che è talmente estesa da rendere possibile che esistano luoghi in cui, fisicamente, non hai mai messo piede. Il problema è che non scorgi più nulla e hai perso ogni riferimento. L’unica cosa che appare chiara ai tuoi occhi è la nebbia, null’altro. Per alcuni istanti hai persino il dubbio che il terreno sotto i tuoi piedi sia scomparso, e per un attimo – soltanto per un attimo – maledici tutti gli alcolici che hai bevuto un’ora fa (o forse tre ore fa, difficile stabilirlo con precisione).
Adesso ne sei certo: era proprio un uomo col mantello. A quanto pare non sei l’unico disgraziato che vaga nel buio gelido privo di una meta e di uno scopo, senza avere il coraggio di ammettere che non ha combinato niente di utile nella sua vita e che le prospettive future sono persino più scoraggianti del passato.
Per puro istinto accenni un saluto. Che viene ricambiato.
Il tizio ha un gran naso e la pelle scura, deve essere di razza levantina. Infatti parla con un accento straniero, e ciò conferisce un tono curioso alla sua voce, o piuttosto sottilmente inquietante, al pari dei suoi occhi che brillano come se un’invisibile luna vi si specchiasse.
Ora inizia a parlarti. Vuoi ascoltare ciò che dice?
Stai passando un momento difficile, ti si legge in faccia.
Io? No, io non ho problemi di alcun genere. Mi piace passeggiare a quest’ora solo perché è più facile incontrare disperati come te. È questa la categoria di persone con cui mi piace concludere affari.
Cosa dici? Che i miei affari evidentemente sono poco redditizi?
Beh, dipende dai punti di vista. Il guadagno inteso esclusivamente come denaro è pura volgarità.
Ah!, a te non dispiacerebbe un po’ di volgarità? Lo credo bene. Magari sarebbe bello anche assaporare il sapore della rivalsa nei confronti di coloro che in questo momento ti reputano un incapace pieno di grilli in testa, non è vero?
… E se ti dicessi che io posso aiutarti? Che sono in grado di concederti queste soddisfazioni? Che è in mio potere rendere immortale il tuo nome e assai prospera la tua vita materiale?
No, non dovresti firmare nulla, tanto meno col tuo sangue. Per scrivere un contratto l’inchiostro è decisamente meglio. Ma ti dirò di più: ho notato che i contratti scritti, specialmente quando li redigi in un contesto di solenne ufficialità, sono quelli che più facilmente non vengono rispettati. Preferisco la parola. Se decidessi di venire patti con me, è sufficiente che tu mi stringa la mano e mi autorizzi a riscuotere il mio compenso dopo che avrai potuto constatare che, da parte mia, i patti sono stati rispettati.
Sì, hai capito bene. In fondo io ti sto promettendo che diventerai un uomo famoso, ricco e rispettato, e sono consapevole che non può avvenire dall’oggi al domani. Occorrono anni. Un tempo più o meno lungo affinché il tuo talento venga riconosciuto oppure qualche personaggio influente ti prenda a cuore – o forse entrambe le cose – e in questo modo ti giunga l’opportunità di salire di livello. Non più attore ma autore e impresario, sarebbe a dire: il grosso del guadagno diventerebbe tuo, e con un po’ di fortuna anche la fama riservata a pochi mortali.
Dici che non potresti mai scrivere? E che io sono più ubriaco di te?
Io sono sobrio. E quanto al fatto di scrivere, tu ci hai mai provato? No? E allora come fai a sapere che non ne saresti capace? Può darsi che ti dimostreresti migliore degli autori laureati che tanto piacciono alla gente di questa città.
E poi, te lo ripeto: ti lascio il tempo di verificare le veridicità delle mie promesse. Riscuoterei le mie spettanze solo dopo che tu sarai diventato l’uomo che ora reputi impossibile poter diventare.
Cosa dici? Ah, solo per curiosità vorresti sapere qual è il compenso che ti richiederei in cambio di questo servizio...
Devo premetterlo: è fondamentale che tu non mi fraintenda e che mi lasci il tempo di spiegare nei dettagli.
Ebbene, ciò che voglio è un pezzo della tua carne.
Tranquillo, non sono un cannibale. È un modo di dire, quando sarà il momento capirai. No, non sto usando una strana perifrasi per sottintendere che alla scadenza del patto mi prenderei la tua vita. Continueresti a vivere ancora per anni e anni, ovviamente beneficiando sino all’ultimo istante dei privilegi che ti ho concesso. Anche mantenendo la salute, certamente sì. Niente malattie e sofferenze fisiche indicibili, moriresti di vecchiaia trascorrendo i tuoi ultimi anni in tranquillità.
Sospetti che dopo ti trascinerei all’inferno?
No, forse non mi sono spiegato bene. Non ho parlato di anima, bensì di carne. Inoltre non è in mio potere stabilire se un uomo debba andare in paradiso o all’inferno. Sono altri a decidere.
Che c’è, sei tentato?
Perché esiti? In fondo che male c’è? Non ti sto mica proponendo di arricchirti con metodi immorali. Saresti un famoso autore, capace di innalzare nobilmente l’animo degli spettatori. Il guadagno e la fama che ne deriverebbero sarebbero il meritato premio per aver arricchito la storia dell’umanità con opere di straordinaria grandezza.
In cambio ti chiedo solo un po’ della tua carne.
Accetti?
Quale sarebbe stata la tua risposta?
Presumo “no”, ed è quella giusta.
Bisogna aver paura di fronte a proposte del genere. Non devi mai accettarle neppure per scherzo.
Ora posso rivelartelo: lui voleva ingannarti subdolamente. Ma non nel senso che non avrebbe rispettato il contratto. Al contrario, tu saresti davvero diventato un autore famoso: le tue opere sarebbero state acclamate, il tuo nome avrebbe risuonato gloriosamente per le strade della grande città e l’eco sarebbe giunta sino al paese che ti rideva alle spalle.
Avresti avuto le tasche piene di denaro, il favore dei letterati, l’acclamazione dei potenti.
Però, nove anni dopo, l’uomo che ti ha venduto tutto ciò sarebbe venuto a riscuotere il prezzo del contratto verbale che avete stipulato in quella lontana notte, mentre la foschia vi separava dal resto del mondo.
La tua carne, diceva lui. Ovviamente era una metafora, ma neanche tanto. A pensarci bene era semplicissimo capire il senso di quelle parole.
Carne della tua carne.
Ossia tuo figlio.
Sarebbe morto giovanissimo, ancora fanciullo, portato vie dalle implacabili mani di colui che, in fondo, ha mantenuto il patto e ti ha concesso i benefici promessi. Ma a che prezzo? Riesci a immaginare qualcosa di più orribile?
Non soffriresti solo per il dolore di averlo perduto, che già basterebbe a rendere l’atroce l’esistenza di qualunque padre. Dentro di te sapresti che il colpevole sei tu, tu che hai venduto un po’ della tua carne in cambio di… come aveva detto quel tipo?
Il guadagno inteso esclusivamente come denaro è pura volgarità.
Anche la fama ovviamente. Cosa sono di fronte all’infamia di aver sacrificato il proprio figliolo maschio? Riusciresti a convivere con un senso di colpa del genere?
Paradossalmente, alimenterebbe ancora di più la tua vena creativa. Scriveresti opere tragiche al cui centro ci sarebbe sempre un uomo che cede alle tentazioni più sottili dell’umana bassezza. Un uomo che per paura, per ambizione, per brama o per arroganza sceglie di avventurarsi nelle oscurità più profonde e pericolose che esistono in lui. Un uomo che apparirebbe più vero, più autentico e più sofferto dei meri comprimari – quelli che invece fanno solo ciò che è giusto. Tu non riusciresti a dare spessore a quelle mezze figure che hanno resistito al peccato. Tu sentiresti l’ineluttabile necessità di porre al centro della scena l’infame che, irresponsabilmente eppure consapevolmente, cede alle insidie del male. Lo metteresti al centro perché vorresti che gli altri capissero che quell’uomo sei tu! Non potresti mai dire: “Ho ucciso io mio figlio!”, ti prenderebbero per pazzo. Ti rammenterebbero che è stato vittima di una malattia, una dolorosissima scelta del fato, e ti ripeterebbero che devi fartene una ragione e accettare questa perdita per quanto essa sia grave.
Se provassi a descrivere la notte di quel maledetto incontro ti risponderebbero che, come tu stesso ammetti, eri ubriaco e quindi hai sognato ogni cosa.
E invece tu sapresti che non è così. Dentro di te, nitidamente, ricorderesti che l’unico vero sogno di questa vicenda ha avuto luogo la sera che ha preceduto la morte del tuo angelo. Il tipo col mantello si era intromesso nel tuo sonno sussurrando: “Ho mantenuto il mio patto. Ora vengo a riscuotere”, e tu ti eri svegliato di soprassalto. Con profonda meschinità avresti ancora temuto per te stesso, nonostante le sue rassicurazioni in merito. Ma il giorno dopo ti sarebbe giunta, atroce, la notizia che il tuo primogenito si era addormentato nelle braccia della morte.
Saresti impazzito dal dolore. Avresti addirittura provato a vendicarti – suona ridicolo, non è vero? – mettendo sul palco l’uomo col mantello. Lo avresti reinventato come personaggio di un dramma, lo avresti rappresentato come l’uomo più esecrabile, più disgustoso, più infame mai vissuto sulla faccia della terra. Ma solo per uno stupido sfogo, perché dentro di te avresti saputo che lo sdegno doveva ricadere solo su di te.
Avresti beneficiato ancora del successo, avresti continuato a vivere per puro senso del dovere verso tua moglie e le tue figlie, ma intanto avresti confessato la tua colpa tramite le tue opere. Un giorno, molto più in là di quanto avevi programmato, saresti tornato al paese natio da vincitore, avresti riabilitato tuo padre agli occhi dei concittadini donandogli addirittura il titolo gentilizio che aveva sempre desiderato. Ma dentro di te avresti saputo che quella rivalsa tanto attesa non aveva più alcun valore.
Ecco, rispondendo di “no” hai evitato tutto questo. Hai condotto una vita tranquilla, anonima e senza prosperità, ma non hai dovuto affrontare il tremendo peso interiore di essere il responsabile della morte di tuo figlio. Lui è lì, accanto a te, e sai già che ti sopravviverà come è giusto che sia.
Comunque, tanto per non lasciare le cose inconcluse, ipotizziamo per assurdo che tu avessi risposto di “sì” e avessi accettato le lusinghe del tipo col mantello.
Beh, che tu lo creda o no, saresti diventato William Shakespeare.