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giovedì 17 marzo 2011

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L’Italia dei comuni era prospera. L’Italia delle signorie era la terra del Rinascimento. Insomma, pare quasi che il frazionamento politico fosse un bene, almeno secondo alcuni.
Io personalmente non riesco a condividere del tutto questa tesi. Il Rinascimento ci fu fino a quando i vari stati italiani, grazie all’espansione demografica della penisola e al frazionamento presente anche in altre parti d’Europa, erano in grado di tenere testa ai paesi confinanti. Nel momento in cui Austria, Francia e Spagna divennero grandi nazioni, l’Italia divenne terra di conquista (se qualcuno si azzarda a negare questo, non merita neppure risposta).
Conosco fin troppo bene la storia di Venezia per quanto sono innamorato di quella città. E la cosa più triste della sua vicenda è stata la fine: occupata dalle truppe di Napoleone quasi senza sparare un colpo, depredata delle sue opere d’arte dai francesi, compresi i quattro cavalli in cima alla Basilica di San Marco (non lo sapevate? Vennero caricati di peso e portati in Francia, come documenta la stampa in alto. Ritornarono al loro posto solo dopo la caduta del Bonaparte). Poi ceduta come merce di scambio agli austriaci con trattato di Campoformio. Poi ripresa da Napoleone. E al momento del congresso di Vienna, cosa si fa? Gli si restituisce l’indipendenza come sarebbe giusto? Niente affatto. Venezia è ormai considerata “austriaca” in base a quella prima cessione di cui si parlava sopra, peraltro fatta proprio dal governo rivoluzionario francese di cui si negava la validità! Del tipo: tutti i cambiamenti politici, i nuovi stati creati da Napoleone, e gli stravolgimenti vari sono abominevoli e devono essere cancellati. Ma restituire l’indipendenza a Venezia non se ne parla, anche se a far cadere l’ultimo doge è stato proprio Bonaparte. In quel caso va bene così, e il Veneto passa all’Austria.
Cosa denota questo? Lo scarsissimo, anzi nullo, peso politico di Venezia nel XIX secolo. Da grande potenza del XIV secolo ridotta a merce di scambio senza alcun diritto e considerazione. E qui suonano interessanti le considerazioni dello storico Frederic Lane, americano e quindi non coinvolto dalle questioni nostrane. Già a partire dal 1500 “stretta fra due giganti che le erano cresciuti accanto, l’impero ottomano da un lato e l’impero spagnolo dall’altro, Venezia cominciò a tenere in servizio, anno dopo anno, flotte più poderose di quelle mai avute in passato. Ma non si sentiva in condizione di muovere guerra, da sola, contro nessuno dei due imperi” (Storia di Venezia, Einaudi 1991, pag. 290). Lane smentisce anche il luogo comune della decadenza economica veneziana dopo la scoperta dell’America e la caduta di Costantinopoli. Il valore complessivo dell’economia della Serenissima nel 1797 (anno della caduta) era pari a quello di tre secoli prima, il periodo dello splendore. Però “l’Europa non era rimasta ferma. Nel 1797 Venezia non aveva una quota del commercio e della ricchezza europei uguale a quella del 1423” (ibidem, pag. 492). Tradotto in parole povere: Venezia non poteva crescere più di così, visto che territorialmente e demograficamente era rimasta identica al XV secolo, anzi, aveva perso territori in oriente a causa dello scontro (impari) contro i turchi. Mentre Francia, Spagna e Inghilterra erano diventate nazioni (non più frazionate fra le varie Borgogna, Aragona, Scozia, etc.) ed erano cresciute.
Ecco le origini della scarsissima considerazione ricevuta da Venezia durante il congresso di Vienna: troppo piccola come entità territoriale, vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro.
E si potrebbero fare fin troppi esempi: Firenze occupata dai francesi “di passaggio” per andare a far guerra al Regno di Napoli e costretta a pagargli il soggiorno, cedere le case più belle agli ufficiali e dargli anche una “buonuscita” di centocinquantamila fiorini; Genova bombardata da Luigi XIV per questioni tutto sommato irrilevanti, col doge genovese costretto a recarsi a Versailles per chiedere scusa al re francese, che non si sarebbe mai sognato di imporre un’umiliazione del genere al re d’Inghilterra o all’imperatore austriaco. Al doge di Genova, sì.
“I tempi sono mutati. Ora l’Europa è pacificata”. Sì, vero. Ma le cose spesso cambiano. Quando fu firmata la pace di Lodi fra i vari stati italiani nel 1454, con la contemporanea creazione della Lega Italica, sembrava che la pace fosse garantita per sempre. E in effetti per circa quaranta anni funzionò bene. Ma nel 1494 le truppe francesi di Carlo VIII calarono nella penisola, e la Lega Italica non fu in grado di fermarlo. Dopo Carlo VIII vennero Francesco I, Carlo V, e tanti altri sovrani stranieri. Cosa era l’Italia per loro? Una nazione? No, un insieme di stati piccoli e deboli su cui potevano accampare pretese visto che non avevano le dimensioni (militari e politiche) per potersi opporre. Lo hanno capito anche molti pensatori dei vari stati pre-unitari, ed è così che si cominciò a valutare l’opportunità di una riunificazione di tutte le entità della penisola italica.
L’Italia di oggi appare debole? Sicuramente. Ma se si frazionasse nuovamente in più stati, questi sarebbero singolarmente più forti nel contesto internazionale?
Ognuno può dare la risposta che crede.

1 commento:

  1. Veramente bella ed interessante questa tua serie di articoli.
    Questo in particolare mi fa venire in mente che il concetto di un Italia unita è molto più antico del Risorgimento, già ai tempi rinascimentali c'era già chi teorizzava un'unica nazione.

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