Pedro De Kastro è un artista contemporaneo, portoghese di nascita ma brasiliano di adozione.
I suoi disegni in bianco e nero esprimono una sensazione di incubo che sembra trarre origine da certa illustrazione libresca gotica, dai fumetti noir e di fantascienza, e dall'arte visionaria di alcuni incisori di fine ottocento.
Nel suo angolo su myspace, l'autore dice di se stesso che fin dall'infanzia è stato "tormentato da incubi infernali in cui Lisbona è un mondo di ombre naufragate nella fine del tempo".
In effetti c'è un'onnipresenza di strutture architettoniche e una parallela mancanza di presenza umana, mondi in cui la mano dell'uomo esiste solo tramite i suoi manufatti, monumentali ma non certo rassicuranti.
Se volete conoscere meglio questo creatore di visioni cupe, vi consiglio di visitare il suo sito internet: www.pedrodekastro.com
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martedì 28 febbraio 2012
sabato 25 febbraio 2012
Ossessioni scrittorie
Ebbene sì, mi ricollego anch'io al post virale che ormai ha preso piede nel mondo dei blogger con la passione per la scrittura, e provo anch'io a fornire la mia personale top six degli elementi ricorrenti nelle mie storie.
L'OCCULTO MANOVRATORE
Sarà che sono credente, sarà che non riesco ad accettare completamente il principio di casualità, fatto sta che nei miei racconti c'è spesso un manovratore che tesse la storia. Un'entità che a volte si riesce a identificare, altre volte no.
Quel che accade può nascondere un disegno superiore, o forse è stato organizzato da un invisibile burattinaio...
(vedi: Romanzo sensazionale o L'ultimo libro del maestro oppure Iperbole)
I LABIRINTI DELLA MENTE
C'è sempre una forte componente psicologica. Che la storia sia raccontata in prima persona dal protagonista o in terza persona da un anonimo narratore, la mente umana compie sempre il suo inutile lavoro di cercare risposte che probabilmente non esistono. Forse questo aspetto prevale nei racconti realistici mainstream, ma talvolta anche in quelli di fantasia. I miei personaggi pensano troppo.
(vedi: Forza d'inerzia o Cronaca di natale)
INETTITUDINE
Non mi piacciono i protagonisti invincibili e incrollabili.
I miei sono quasi sempre degli inetti, e se doveste mettere la vostra vita nelle loro mani... poveracci voi!
Però non sono neppure privi di qualità. Hanno numerosi limiti ma anche qualche slancio positivo inatteso. Comunque la fortuna in genere non li aiuta...
(vedi: Aldo Damiani in Cronaca di natale o Dario Tramezza in L'anno prima del bicentenario)
PUNTO DI VISTA MASCHILE
Anch'io, come quasi tutti i blogger che hanno aderito a questo post virale, racconto in genere dal punto di vista maschile. A volte però ho creato figure femminili che non sono semplici comprimari, e più in generale tendo a identificarmi con ogni personaggio.
Ma propendo per il maschilismo narrativo.
(vedi: 3A Investigazioni)
IMPOSSIBILE IDENTIKIT
I miei personaggi non sono mai completamente definiti a livello fisico. Psicologicamente sì, materialmente no. Fornisco qualche elemento, ma mai troppo dettagliato. Preferisco che vengano immaginati piuttosto che visti.
(vedi: praticamente qualunque cosa che ho scritto)
RISATE A DENTI STRETTI
Qualche elemento umoristico è sempre presente.
A seconda del tipo di racconto può essere sottile ironia, sarcasmo pesante, parodia o humor nero, ma in genere trovo sempre un motivo per ridere. Spesso a denti stretti.
(vedi: L'anno prima del bicentenario o 3A Investigazioni )
L'OCCULTO MANOVRATORE
Sarà che sono credente, sarà che non riesco ad accettare completamente il principio di casualità, fatto sta che nei miei racconti c'è spesso un manovratore che tesse la storia. Un'entità che a volte si riesce a identificare, altre volte no.
Quel che accade può nascondere un disegno superiore, o forse è stato organizzato da un invisibile burattinaio...
(vedi: Romanzo sensazionale o L'ultimo libro del maestro oppure Iperbole)
I LABIRINTI DELLA MENTE
C'è sempre una forte componente psicologica. Che la storia sia raccontata in prima persona dal protagonista o in terza persona da un anonimo narratore, la mente umana compie sempre il suo inutile lavoro di cercare risposte che probabilmente non esistono. Forse questo aspetto prevale nei racconti realistici mainstream, ma talvolta anche in quelli di fantasia. I miei personaggi pensano troppo.
(vedi: Forza d'inerzia o Cronaca di natale)
INETTITUDINE
Non mi piacciono i protagonisti invincibili e incrollabili.
I miei sono quasi sempre degli inetti, e se doveste mettere la vostra vita nelle loro mani... poveracci voi!
Però non sono neppure privi di qualità. Hanno numerosi limiti ma anche qualche slancio positivo inatteso. Comunque la fortuna in genere non li aiuta...
(vedi: Aldo Damiani in Cronaca di natale o Dario Tramezza in L'anno prima del bicentenario)
PUNTO DI VISTA MASCHILE
Anch'io, come quasi tutti i blogger che hanno aderito a questo post virale, racconto in genere dal punto di vista maschile. A volte però ho creato figure femminili che non sono semplici comprimari, e più in generale tendo a identificarmi con ogni personaggio.
Ma propendo per il maschilismo narrativo.
(vedi: 3A Investigazioni)
IMPOSSIBILE IDENTIKIT
I miei personaggi non sono mai completamente definiti a livello fisico. Psicologicamente sì, materialmente no. Fornisco qualche elemento, ma mai troppo dettagliato. Preferisco che vengano immaginati piuttosto che visti.
(vedi: praticamente qualunque cosa che ho scritto)
RISATE A DENTI STRETTI
Qualche elemento umoristico è sempre presente.
A seconda del tipo di racconto può essere sottile ironia, sarcasmo pesante, parodia o humor nero, ma in genere trovo sempre un motivo per ridere. Spesso a denti stretti.
(vedi: L'anno prima del bicentenario o 3A Investigazioni )
mercoledì 22 febbraio 2012
Un racconto per Ferruccio
L'amico blogger Ferruccio ha rinnovato il suo concorso per racconti brevissimi (600 caratteri in tutto) dedicati a un autore particolarmente amato da citare nel testo tramite inziali di parola.
Io ho scelto un grande contemporaneo, Milan Kundera. L'attinenza fra il mio racconto e la sua narrativa spero risulti chiara a chi ha letto i romanzi dello scrittore ceco.
Riguardo il talento, beh, posso solo chiedere scusa. Se io valessi un'unghia di Kundera mi riterrei già soddisfatto.
Come da regolamento ho inserito il testo fra i commenti di questo post di Ferru, comunque lo riporto anche qui:
Io ho scelto un grande contemporaneo, Milan Kundera. L'attinenza fra il mio racconto e la sua narrativa spero risulti chiara a chi ha letto i romanzi dello scrittore ceco.
Riguardo il talento, beh, posso solo chiedere scusa. Se io valessi un'unghia di Kundera mi riterrei già soddisfatto.
Come da regolamento ho inserito il testo fra i commenti di questo post di Ferru, comunque lo riporto anche qui:
Klara udiva numerose dicerie sul conto di Emil, ma lo rendevano ancora più amabile.
Perché per lei un seduttore incallito era il prestigiatore capace di incantare, colui che porta magia nella vita di una donna. Ogni giorno sarebbe stata corteggiata. Anche tradita, ovvio, ma se lo avesse voluto tutto per se avrebbe peccato di egoismo.
Fino a quel maledetto martedì.
“Ti sei decisa a lasciarlo” esultava sua madre.
“Colpa sua” spiegò Klara. “Ha detto che per me sarebbe cambiato, sarei stata la sua unica donna. Mi sono vista fra dieci anni: una moglie impolverata accanto a un manichino sulla poltrona”.
lunedì 20 febbraio 2012
venerdì 17 febbraio 2012
Samizdat
Durante gli anni ’50 e ’60, nei paesi dell’est europeo dominati dai regimi totalitari comunisti si sviluppò una particolare forma di aggiramento della censura, il samizdat. Il fatto che sia nato proprio in quel contesto non ha nulla a che fare col colore politico: un fenomeno simile avrebbe potuto prendere vita anche in nazioni vittime di una dittatura di destra o di una teocrazia.
A quei tempi non esistevano internet, i personal computer o qualunque altra forma di digitalizzazione del testo. Tanto meno posta elettronica e fax. C’erano la carta e l’inchiostro e la posta ordinaria. Punto. Ovviamente le tipografie erano strettamente controllate dal regime, e stampare una qualunque cosa avversa al potere politico era pressoché impossibile oltre che rischioso. Inoltre la corrispondenza era controllata, e un pacco con dentro un libro non sarebbe passato inosservato.
E allora chi voleva leggere opere censurate doveva rischiare, facendosi consegnare di persona da un amico il libro in forma di pagine dattiloscritte, e doveva inoltre assumersi l’onere di trascriverle a sua volta. Quando si riceveva la risma di fogli battuti a macchina con romanzi o saggi vietati dalla censura, non veniva chiesto solo di leggerli, ma anche di farli circolare. Quindi si infilavano nella macchina da scrivere due pagine A4 bianche con una carta carbone in mezzo, e si ricopiava il testo ricevuto clandestinamente. In questa maniera si poteva regalarne una o due copie anche ad altri lettori sovversivi, che a loro volta avrebbero poi dovuto improvvisarsi scrivani.
Trascrivere un romanzo di diverse centinaia di pagine è un’operazione che richiede tempo, tempo sottratto alla vita di tutti i giorni. Eppure c’era chi lo faceva per due motivi fondamentali: perché era felice di poter leggere ciò che era vietato, e perché voleva rendere felici altre persone con lo stesso dono. A rischio di finire sotto processo per violazione della legge. Perché leggere, e ancor più copiare e far circolare certi libri, era un reato grave.
Noi per fortuna non abbiamo questi problemi. Possiamo leggere quel che vogliamo e – forse proprio perché la cosa appare scontata – c’è tanta gente che non legge nulla. Chissà se proibire i libri renderebbe la lettura più interessante anche per coloro che normalmente non le danno alcuna importanza… Ovviamente è meglio non saperlo: il giorno in cui accadesse qualcosa del genere significherebbe che la nostra libertà è stata tremendamente limitata, non solo nel campo dei libri.
Comunque lancio un’idea: provate a raccontare cosa è stato il samizdat a qualche vostro conoscente che reputa la lettura una perdita di tempo, e poi proponetegli un libro… proibito. Forse potrebbe essere incuriosito dalle pagine bianche coi caratteri tipografici impressi sopra.
martedì 14 febbraio 2012
La mia realtà?
Il blogger Elgraeco (ma secondo alcune scuole di pensiero la grafia corretta è Hellgraeco) è stato costretto a spiegare a certi troll eccessivamente materialisti come è composta la realtà in cui vive. Sebbene io non abbia mai ricevuto alcun tipo di paterno consiglio da suddetti troll, ho trovato molto interessante questa esposizione (ringrazio Alessandro Forlani che inconsapevolmente me l'ha mostrata, e già che ci siete potete dare un'occhiata alla sua realtà).
Non c'è nulla di così interessante nella realtà in cui mi muovo io, però ho pensato che potevo farne qualche accenno rapido.
Io vivo nel 1908 in una torre d'avorio decorata in stile liberty.
Intorno a me succedono varie cose, ma preferisco starmene per fatti miei. Ogni tanto compro il giornale La Tribuna per essere aggiornato sulle iniziative del Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti, e la rivista Il Marzocco per leggere novelle, in particolare quelle di un letterato siciliano, Luigi Pirandello. Per me è un genio.
La torre d'avorio è piena di conforts prelevati direttamente dal XXI secolo - visto che ovviamente posso viaggiare nel tempo - però ammetto che a volte mi viene a noia, e allora per spezzare la monotonia vado a fare visita allo scrittore giapponese Hiroshi Miura.
Ci beviamo un tè insieme, e poi in genere lui mi invita a fare una passeggiata in qualche stampa shin hanga per scoprire i luoghi più ameni del suo paese.
Per restituire la cortesia io lo conduco nei quadri di Canaletto e gli mostro la città più bella del mondo, Venezia nel XVIII secolo.
Anche lui è piuttosto solitario, e naturalmente gli piace viaggiare nel tempo. In una di queste occasioni mi ha presentato la dama di corte dell'era Heian nota come Sei Shonagon.
Per ringraziarlo gli ho regalato un paio di romanzi di Milan Kundera, che peraltro gli sono piaciuti. Ha persino valutato la possibilità di utilizzare le stesse idee nelle sue novelle (copiare un libro pubblicato da uno scrittore contemporaneo è reato, ma Hiroshi Miura vive come me nel 1908, perciò il problema non sussiste: il plagio di autore che deve ancora nascere è assolutamente legittimo).
E adesso scusatemi ma devo assentarmi per compiere un piccolo balzo dimensionale. Giusto il tempo di sbrigare alcune faccende molto noiose che hanno a che fare con carta, numeri, partite doppie e mastrini.
Ma per fortuna quella non è la realtà, è soltanto una breve parentesi nel continuum spazio temporale.
Non c'è nulla di così interessante nella realtà in cui mi muovo io, però ho pensato che potevo farne qualche accenno rapido.
Io vivo nel 1908 in una torre d'avorio decorata in stile liberty.
Intorno a me succedono varie cose, ma preferisco starmene per fatti miei. Ogni tanto compro il giornale La Tribuna per essere aggiornato sulle iniziative del Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti, e la rivista Il Marzocco per leggere novelle, in particolare quelle di un letterato siciliano, Luigi Pirandello. Per me è un genio.
La torre d'avorio è piena di conforts prelevati direttamente dal XXI secolo - visto che ovviamente posso viaggiare nel tempo - però ammetto che a volte mi viene a noia, e allora per spezzare la monotonia vado a fare visita allo scrittore giapponese Hiroshi Miura.
Ci beviamo un tè insieme, e poi in genere lui mi invita a fare una passeggiata in qualche stampa shin hanga per scoprire i luoghi più ameni del suo paese.
Per restituire la cortesia io lo conduco nei quadri di Canaletto e gli mostro la città più bella del mondo, Venezia nel XVIII secolo.
Anche lui è piuttosto solitario, e naturalmente gli piace viaggiare nel tempo. In una di queste occasioni mi ha presentato la dama di corte dell'era Heian nota come Sei Shonagon.
Per ringraziarlo gli ho regalato un paio di romanzi di Milan Kundera, che peraltro gli sono piaciuti. Ha persino valutato la possibilità di utilizzare le stesse idee nelle sue novelle (copiare un libro pubblicato da uno scrittore contemporaneo è reato, ma Hiroshi Miura vive come me nel 1908, perciò il problema non sussiste: il plagio di autore che deve ancora nascere è assolutamente legittimo).
E adesso scusatemi ma devo assentarmi per compiere un piccolo balzo dimensionale. Giusto il tempo di sbrigare alcune faccende molto noiose che hanno a che fare con carta, numeri, partite doppie e mastrini.
Ma per fortuna quella non è la realtà, è soltanto una breve parentesi nel continuum spazio temporale.
sabato 11 febbraio 2012
Autostima e autoironia
Uno scrittore – anzi, un creativo in genere – deve credere in ciò che fa. Come può sperare che altri apprezzino le sue opere se neppure lui stesso ci riesce?
Ovviamente un’abbondanza di autostima non implica necessariamente talento. Esistono tanti incapaci convinti di essere artisti grandiosi, e magari talvolta riescono a convincere qualcuno che sia davvero così, e si procurano discepoli e ammiratori.
Spesso però accanto all’autostima convive una discreta dose di autoironia. Essere convinti del proprio talento è importante, ma nell’arte come nella vita è pericoloso prendersi troppo sul serio.
Ovviamente ognuno dosa i due aspetti secondo la propria attitudine.
Salvador Dalì, il celebre pittore spagnolo surrealista, proclamava che “Ogni mattino al risveglio provo un piacere supremo: quello di essere Salvador Dalì”. Diceva anche: “Se giochi a fare il genio, lo diventi”. Un livello di fiducia in se stesso davvero straordinario, ma già il verbo usato – se giochi a fare il genio – denota un pizzico di umorismo. Come hanno notato Michel Déon e Gilles Néret, Dalì giocava a fare il personaggio, si divertiva all'idea di essere famoso, e i suoi auto-elogi non vanno presi alla lettera.
Il nostro Aldo Palazzeschi invece usava l’autoironia per mettere in dubbio la funzione stessa (e l’importanza) della poesia, ad esempio nell’ultima strofa di “E lasciatemi divertire”:
Infine io ò pienamente ragione,
i tempi sono molto cambiati,
gli uomini non dimandano
più nulla dai poeti,
e lasciatemi divertire!
Oppure può capitare l’incredibile opposto, ovvero che l’autoironia assuma un valore drammatico.
Yukio Mishima, nel suo ultimo anno di vita (probabilmente aveva già elaborato il pazzesco progetto di spingere l’esercito a una sollevazione contro il pavido governo filoamericano) scrisse un articolo su un quotidiano – I miei ultimi venticinque anni – in cui esprimeva il proprio fastidio per l’evoluzione postbellica della società giapponese:
“Quando penso ai miei ultimi venticinque anni mi meraviglio di quanto siano stati vuoti. Non posso dire di aver realmente vissuto. Sono soltanto passato oltre turandomi il naso”. Seguono una serie di invettive contro il suo paese, e quando parla di se stesso usa parole che, nella loro ironia, suonano tristissime: “È vero, ho continuato a scrivere romanzi. E anche numerose opere teatrali. Ma per un autore accumulare scritti equivale ad accumulare escrementi. Non giova assolutamente a diventare più saggi. E neppure a trasformarsi in meravigliosi idioti”.
Insomma, ci vuole il giusto equilibrio. Che è sempre la cosa più difficile, non solo quando si crea, ma anche quando si vive.
Ovviamente un’abbondanza di autostima non implica necessariamente talento. Esistono tanti incapaci convinti di essere artisti grandiosi, e magari talvolta riescono a convincere qualcuno che sia davvero così, e si procurano discepoli e ammiratori.
Spesso però accanto all’autostima convive una discreta dose di autoironia. Essere convinti del proprio talento è importante, ma nell’arte come nella vita è pericoloso prendersi troppo sul serio.
Ovviamente ognuno dosa i due aspetti secondo la propria attitudine.
Salvador Dalì, il celebre pittore spagnolo surrealista, proclamava che “Ogni mattino al risveglio provo un piacere supremo: quello di essere Salvador Dalì”. Diceva anche: “Se giochi a fare il genio, lo diventi”. Un livello di fiducia in se stesso davvero straordinario, ma già il verbo usato – se giochi a fare il genio – denota un pizzico di umorismo. Come hanno notato Michel Déon e Gilles Néret, Dalì giocava a fare il personaggio, si divertiva all'idea di essere famoso, e i suoi auto-elogi non vanno presi alla lettera.
Il nostro Aldo Palazzeschi invece usava l’autoironia per mettere in dubbio la funzione stessa (e l’importanza) della poesia, ad esempio nell’ultima strofa di “E lasciatemi divertire”:
Infine io ò pienamente ragione,
i tempi sono molto cambiati,
gli uomini non dimandano
più nulla dai poeti,
e lasciatemi divertire!
Oppure può capitare l’incredibile opposto, ovvero che l’autoironia assuma un valore drammatico.
Yukio Mishima, nel suo ultimo anno di vita (probabilmente aveva già elaborato il pazzesco progetto di spingere l’esercito a una sollevazione contro il pavido governo filoamericano) scrisse un articolo su un quotidiano – I miei ultimi venticinque anni – in cui esprimeva il proprio fastidio per l’evoluzione postbellica della società giapponese:
“Quando penso ai miei ultimi venticinque anni mi meraviglio di quanto siano stati vuoti. Non posso dire di aver realmente vissuto. Sono soltanto passato oltre turandomi il naso”. Seguono una serie di invettive contro il suo paese, e quando parla di se stesso usa parole che, nella loro ironia, suonano tristissime: “È vero, ho continuato a scrivere romanzi. E anche numerose opere teatrali. Ma per un autore accumulare scritti equivale ad accumulare escrementi. Non giova assolutamente a diventare più saggi. E neppure a trasformarsi in meravigliosi idioti”.
Insomma, ci vuole il giusto equilibrio. Che è sempre la cosa più difficile, non solo quando si crea, ma anche quando si vive.
giovedì 9 febbraio 2012
lunedì 6 febbraio 2012
Rarità - 4
Evaristo Carriego è conosciuto come... personaggio letterario, essendo il protagonista del libro omonimo di Jorge Luis Borges, un libro in cui lo scrittore argentino rievoca la vita di fine secolo a Buenos Aires.
Ma non è una fiction, è una sorta di biografia, perché Evaristo Carriego è esistito davvero (1883-1912), ed era un poeta.
Anzi, era il tipico poeta: pallido, emaciato, malaticcio, straordinariamente romantico e sempre alla ricerca della parola giusta.
Per quanto ne so le sue poesie non sono mai state tradotte in italiano, probabilmente perché non particolarmente rilevanti né per influenza letteraria né per qualità. Tuttavia, nel mio blog gli concedo diritto di cittadinanza, e propongo un suo sonetto.
EL CLAVEL
Fue al surgir de una duda insinuativa
cuando hirió tu severa aristocracia,
como un símbolo rojo de mi audacia,
un clavel que tu mano no cultiva.
Quizás hubo una frase sugestiva,
o viera una intención tu perspicacia,
pues tu serenidad llena de gracia
fingió una rebelión despreciativa...
Y, así, en tu vanidad, por la impaciente
condena de un orgullo intransigente,
mi rojo heraldo de amatorios credos
mereció, por su símbolo atrevido,
como un apóstol o como un bandido
la guillotina de tus nobles dedos.
IL GAROFANO
Accadde al sorgere di un dubbio insinuativo
che la tua severa aristocrazia venne ferita,
come un simbolo rosso della mia audacia,
da un garofano che la tua mano non coltiva.
Forse ci fu una frase suggestiva,
o la tua perspicacia subdorò un’intenzione
e allora la tua serenità piena di grazia
finse una ribellione dispregiativa…
E così, nella tua vanità, per l’impaziente
condanna di un orgoglio intransigente,
il mio rosso araldo di preghiera amorosa
meritò, per la sua simbolica insolenza,
- come fosse un apostolo o un bandito -
la ghigliottina delle tue nobili dita.
Ma non è una fiction, è una sorta di biografia, perché Evaristo Carriego è esistito davvero (1883-1912), ed era un poeta.
Anzi, era il tipico poeta: pallido, emaciato, malaticcio, straordinariamente romantico e sempre alla ricerca della parola giusta.
Per quanto ne so le sue poesie non sono mai state tradotte in italiano, probabilmente perché non particolarmente rilevanti né per influenza letteraria né per qualità. Tuttavia, nel mio blog gli concedo diritto di cittadinanza, e propongo un suo sonetto.
EL CLAVEL
Fue al surgir de una duda insinuativa
cuando hirió tu severa aristocracia,
como un símbolo rojo de mi audacia,
un clavel que tu mano no cultiva.
Quizás hubo una frase sugestiva,
o viera una intención tu perspicacia,
pues tu serenidad llena de gracia
fingió una rebelión despreciativa...
Y, así, en tu vanidad, por la impaciente
condena de un orgullo intransigente,
mi rojo heraldo de amatorios credos
mereció, por su símbolo atrevido,
como un apóstol o como un bandido
la guillotina de tus nobles dedos.
IL GAROFANO
Accadde al sorgere di un dubbio insinuativo
che la tua severa aristocrazia venne ferita,
come un simbolo rosso della mia audacia,
da un garofano che la tua mano non coltiva.
Forse ci fu una frase suggestiva,
o la tua perspicacia subdorò un’intenzione
e allora la tua serenità piena di grazia
finse una ribellione dispregiativa…
E così, nella tua vanità, per l’impaziente
condanna di un orgoglio intransigente,
il mio rosso araldo di preghiera amorosa
meritò, per la sua simbolica insolenza,
- come fosse un apostolo o un bandito -
la ghigliottina delle tue nobili dita.
venerdì 3 febbraio 2012
Versatile anch'io
Ringraziando Daniela, sono stato incluso nella nuova staffetta tra bloggers chiamata Versatile blogger, e così devo seguire la procedura di ordinanza: rivelare sette cose su di me ancora ignote, e nominare a mia volta altri quindici blog.
Mi piacerebbe rendere la mia confessione creativa come quella di Luca, ma non ho il talento per ambire a tanto.
Quindi, onde evitare errori grafici e orrori estetici, mi limito a un normale elenco, banale come il contenuto di ogni singolo punto.
1) Uno dei miei viaggi sognati ma non ancora realizzati è un soggiorno di una settimana a San Pietroburgo. Prima o poi lo devo fare, a costo di andarci in autostop e dormire sulle panchine.
2) Ho praticato attività fisica in palestra sino all'età di 27 anni (mens quasi sana in corpore sano).
3) Sono l'unico maschio eterosessuale al mondo che non prova alcuna attrazione per le autovetture sportive.
4) Ho sempre dichiarato pubblicamente che un giorno me ne sarei andato dalla mia città, e invece sono ancora qui (meno male che nessuno fa mai caso a quello che dico ;-)
5) Sono un (pessimo) cattolico, ma spesso seguo i dettami della filosofia zen.
6) Premesso che le donne mi piacciono in toto, trovo irresistibile ogni tipo di scollatura (l'avevo già detto in un'altra occasione, ma dopo quel che ho dichiarato al punto 3 qualcuno poteva legittimamente dubitare della mia mascolinità).
7) Mi piace vestire casual, e nel corso della mia vita ho indossato giacca e cravatta in appena cinque occasioni.
A questo punto devo nominare i prossimi bloggers. Passo la palla a: Temistocle, Titti, Michela, Serena, Enzo, Mark, Fra, Eddy, Ferruccio, Simone, Stefano, Narratore, Alessandro F., Gianluca, Angelo B. e Angelo C.
Avrei prescelto anche tutti gli altri amici dell'elenco a sinistra, se non fosse per il fatto che... sono stati già prescelti da qualcun altro :-)
Mi piacerebbe rendere la mia confessione creativa come quella di Luca, ma non ho il talento per ambire a tanto.
Quindi, onde evitare errori grafici e orrori estetici, mi limito a un normale elenco, banale come il contenuto di ogni singolo punto.
1) Uno dei miei viaggi sognati ma non ancora realizzati è un soggiorno di una settimana a San Pietroburgo. Prima o poi lo devo fare, a costo di andarci in autostop e dormire sulle panchine.
2) Ho praticato attività fisica in palestra sino all'età di 27 anni (mens quasi sana in corpore sano).
3) Sono l'unico maschio eterosessuale al mondo che non prova alcuna attrazione per le autovetture sportive.
4) Ho sempre dichiarato pubblicamente che un giorno me ne sarei andato dalla mia città, e invece sono ancora qui (meno male che nessuno fa mai caso a quello che dico ;-)
5) Sono un (pessimo) cattolico, ma spesso seguo i dettami della filosofia zen.
6) Premesso che le donne mi piacciono in toto, trovo irresistibile ogni tipo di scollatura (l'avevo già detto in un'altra occasione, ma dopo quel che ho dichiarato al punto 3 qualcuno poteva legittimamente dubitare della mia mascolinità).
7) Mi piace vestire casual, e nel corso della mia vita ho indossato giacca e cravatta in appena cinque occasioni.
A questo punto devo nominare i prossimi bloggers. Passo la palla a: Temistocle, Titti, Michela, Serena, Enzo, Mark, Fra, Eddy, Ferruccio, Simone, Stefano, Narratore, Alessandro F., Gianluca, Angelo B. e Angelo C.
Avrei prescelto anche tutti gli altri amici dell'elenco a sinistra, se non fosse per il fatto che... sono stati già prescelti da qualcun altro :-)
mercoledì 1 febbraio 2012
Un libro per caso
Una delle cose più belle dei libri è che ognuno può trovarci delle emozioni diverse. Il testo è sempre lo stesso, ma ogni lettore è unico, e la reazione è legata alla sua personale esperienza della vita.
Qualche giorno fa, per puro caso, ho scovato su liberliber un ebook con una raccolta di racconti di Amalia Guglielminetti, una delle tante scrittrici dimenticate della nostra letteratura.
Sono storielle umoristiche scritte negli anni ‘20, un umorismo leggero come l’aria, e si sa che l’aria può avere fragranze diverse. Per qualcuno potrebbe essere vecchia e stantia, io invece ho respirato un aroma particolare, quello di una casa abitata da una persona anziana dove tutto profuma di ricordi.
Mia zia è stata giovane proprio negli anni ‘20 e ‘30. Un periodo che purtroppo evoca uno dei momenti più bui della storia italiana, e infatti talvolta lei stessa mi raccontava dell’insopportabile retorica propagandistica del regime, dell’ipocrisia dei gerarchi, delle tante spiacevoli limitazioni alla libertà personale alle quali ha dovuto sottostare. Però non si può vivere solo di brutti ricordi, e così mi parlava anche delle cose piacevoli, del lato insospettabilmente spensierato di quegli anni: le serate danzanti in cui le signore con la tiara e la piuma in testa ballavano il charleston, gli appuntamenti mondani alle terme e allo stabilimento balneare in cui si spettegolava sui flirts delle dive Lyda Borelli e Francesca Bertini… e poi le gag di Ettore Petrolini, la radio che trasmetteva le canzoni di Alberto Rabagliati. Quando era particolarmente di buonumore mia zia canticchiava i motivetti del Trio Lescano.
Ecco, lei riusciva a raccontare i momenti leggeri di quei decenni tristi, ovviamente dal suo punto di vista di donna, e sapeva trascinarmi nel regno dei suoi ricordi. La stessa leggerezza e la stessa femminilità avvolgono queste storielle di Amalia Guglielminetti, sicuramente dimenticabili sul piano letterario ma capaci di rievocare i momenti frivoli di quel periodo, gli stessi momenti che mia zia condivideva nostalgicamente con me.
Perciò, anche se non è certo un capolavoro, non chiedetemi di stroncare questo libro, non ne sarei capace. Mi sembrerebbe di fare un torto a mia zia e ai pomeriggi che talvolta passavo a casa sua quando lei era ancora di questo mondo.
Qualche giorno fa, per puro caso, ho scovato su liberliber un ebook con una raccolta di racconti di Amalia Guglielminetti, una delle tante scrittrici dimenticate della nostra letteratura.
Sono storielle umoristiche scritte negli anni ‘20, un umorismo leggero come l’aria, e si sa che l’aria può avere fragranze diverse. Per qualcuno potrebbe essere vecchia e stantia, io invece ho respirato un aroma particolare, quello di una casa abitata da una persona anziana dove tutto profuma di ricordi.
Mia zia è stata giovane proprio negli anni ‘20 e ‘30. Un periodo che purtroppo evoca uno dei momenti più bui della storia italiana, e infatti talvolta lei stessa mi raccontava dell’insopportabile retorica propagandistica del regime, dell’ipocrisia dei gerarchi, delle tante spiacevoli limitazioni alla libertà personale alle quali ha dovuto sottostare. Però non si può vivere solo di brutti ricordi, e così mi parlava anche delle cose piacevoli, del lato insospettabilmente spensierato di quegli anni: le serate danzanti in cui le signore con la tiara e la piuma in testa ballavano il charleston, gli appuntamenti mondani alle terme e allo stabilimento balneare in cui si spettegolava sui flirts delle dive Lyda Borelli e Francesca Bertini… e poi le gag di Ettore Petrolini, la radio che trasmetteva le canzoni di Alberto Rabagliati. Quando era particolarmente di buonumore mia zia canticchiava i motivetti del Trio Lescano.
Ecco, lei riusciva a raccontare i momenti leggeri di quei decenni tristi, ovviamente dal suo punto di vista di donna, e sapeva trascinarmi nel regno dei suoi ricordi. La stessa leggerezza e la stessa femminilità avvolgono queste storielle di Amalia Guglielminetti, sicuramente dimenticabili sul piano letterario ma capaci di rievocare i momenti frivoli di quel periodo, gli stessi momenti che mia zia condivideva nostalgicamente con me.
Perciò, anche se non è certo un capolavoro, non chiedetemi di stroncare questo libro, non ne sarei capace. Mi sembrerebbe di fare un torto a mia zia e ai pomeriggi che talvolta passavo a casa sua quando lei era ancora di questo mondo.