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mercoledì 26 febbraio 2014

Questo libro esiste - 10

Essendo un frequentatore di librerie, non posso fare a meno di notare certi titoli che compaiono sugli scaffali...
DISCLAIMER: io ho il massimo rispetto per i libri e per chi li scrive. In questa "rubrica" saltuaria magari non sembrerò tanto rispettoso, ma é solo un modo di scherzare sul variegato universo delle pubblicazioni editoriali italiche, senza voler offendere nessuno.

Dopo una nuova lunga pausa, aggiungo un post al tag "questolibroesiste".
Per chi non avesse familiarità con questa rubrica saltuaria, preciso che la utilizzo per rendere nota l'esistenza di libri che, se qualcuno ne sentisse parlare, potrebbe legittimamente pensare a uno scherzo. Invece esistono davvero...
Abitando a due passi da Roma frequento talvolta alcune librerie capitoline. Onestamente non si distinguono granché dalle altre librerie delle grandi catene con diversa collocazione geografica, se non fosse per la presenza massiccia di volumi sulla storia di Roma, sulla cucina romana, sui personaggi di Roma e ovviamente sulla società calcistica A.S. Roma.
Per raccontare le leggendarie gesta degli eroi giallorossi è stato scritto davvero di tutto, ma non avrei mai pensato di vedere anche...
Ebbene sì, un poema epico per celebrare Totti, ovviamente intitolato Totteide (vedere per credere a questo link). Per la modica somma di dieci euro potete leggere 1800 mirabolanti endecasillabi rimati a partire dall'indimenticabile incipit:

Donate a me la forza d‘un Titano,
l’estro dei vati ed il saper dei dotti,
ch’i’ vo’ narrar del Grande Capitano,
ch’i’ vo’ narrare di Francesco Totti

recensione: non sono romanista, quindi evito di espormi...
consiglio: ... però lo sconsiglio anche ai romanisti. Con dieci euro potete comprare tante altre cose più interessanti.

sabato 22 febbraio 2014

Stillicidi (o altre confessioni su me stesso)

Nutro un'ammirazione profonda per quelle persone che sembrano conoscere il segreto per estendere la durata del giorno a un numero d'ore maggiore rispetto alle ventiquattro canoniche.
Col tempo ho compreso che in effetti non c'è alcun segreto: basta velocizzare i tempi. Dormire cinque ore anziché otto, leggere duecento pagine al giorno e non venti, scriverne dieci anziché una, vedere un film e contemporaneamente aggiornare il blog e i vari account personali disseminati sul web, mangiare e intanto ascoltare l'audio del corso di aggiornamento professionale...
Ma io non ne sono capace. Non riesco a spingermi oltre l'esecuzione di una singola azione con durata limitata, e la conseguenza é: lentezza endemica che tende a rallentarsi ulteriormente.
Le mie letture, la scrittura di novelle o l'inseguimento di idee per il nuovo post del blog: sono stillicidi, pur sempre piacevoli ma comunque stillicidi che si centellinano lungo tempi dilatatissimi. Settimane per ultimare la lettura di un romanzo; mesi per concludere un racconto; giornate che si sommano le une alle altre cumulando attività al rallentatore, ammonticchiando granello su granello, costantemente alternate agli obblighi fisiologici (ecco, almeno su quelli sono preciso e tempestivo: nutrimento, sonno, relax, sesso, ginnastica, meditazione... su questi fondamentali non sgarro mai, anche perché nel corso degli anni ho dovuto affrontare periodi in cui questi forndamentali, separatamente o talvolta tutti insieme, non erano praticabili, e ho sperimentato quanto la loro assenza incida sul mio equilibrio psicofisico).
Naturalmente ci sono anche altre questioni essenziali quantunque non necessariamente gradite (tipo le quotidiane otto ore lavorative necessarie per generare un reddito...) e il quadro è completo. 
Però, proprio per effetto dell'eccessivo trascorrere del tempo, nel momento in cui concludo una lettura protrattasi alla media di poche pagine al giorno, o termino la stesura interminabile di uno scritto, o vengo a capo di qualunque altra cosa durata più a lungo del dovuto, ho una sensazione di leggerezza improvvisa. Mi pare di rinascere: un respiro profondo e via, pronto a ricominciare.
Sono queste reincarnazioni in un me stesso ancora vivente che mi aiutano a rigenerarmi come se fossi davvero all'inizio di una nuova vita. Forse è la spiegazione al perché una parte di me resta sempre un po' bambina, e quando mi chiedono quanti anni ho sono costantemente tentato di rispondere: 13... più 30.

martedì 18 febbraio 2014

Libri vissuti - Zorba il greco

Era un bel po' che non usavo questo tag.
Quando parlo di “libri vissuti” mi riferisco egoisticamente alla traccia che hanno lasciato in me. È possibile che in termini oggettivi non meritino l’appellativo di capolavoro, è persino plausibile che abbiano delle vistose imperfezioni tecniche, ma io non voglio giocare a fare il critico letterario. Intendo esclusivamente raccontare il loro impatto nella mia vita di lettore.
E nel caso di “Zorba il greco”, noto soprattutto per il film che ne è stato tratto (che ha influito anche sulle scelte dell'editore italiano, visto che il titolo originale del romanzo sarebbe "La vita e le avventure di Alexis Zorba") l’impatto è stato notevole.
Zorba è un animale pieno di vitalità feroce. Non viene idealizzato, e neppure trasformato in un vecchio saggio: è semplicemente un uomo che vuole ogni giorno riscoprire la vita e godersela sino in fondo.
Il romanzo è Zorba. In confronto a lui l’altro protagonista – lo scrittore che narra la storia del loro soggiorno a Creta nel tentativo di rendere fruttuosa una miniera di lignite – appare insignificante. È ripiegato dentro la propria mente, insegue questioni ideali senza quasi accorgersi di avere anche un corpo e degli istinti.
Detta così sembra una trama piuttosto cliché: il contrasto fra riflessione e azione, fra anima e carne, fra vita contemplativa e vita (prepotentemente) attiva… Però – che ci posso fare? – la semplicità della scrittura di Nikos Kazantzakis mi appare come un pregio anziché un limite. Le piccole ripetizioni che a volta si notano da un capitolo all’altro, la scelta di raccontare le scene più violente e grottesche quasi con pudore, lasciando sempre trasparire una comprensione e un amore profondo per la natura umana – di cui, comunque, non vengono nascosti né gli eccessi né i vizi – hanno una bellezza, una profondità che talvolta non si scorge in romanzi esteticamente impeccabili ma al tempo stesso asettici.
Un Zorba lo abbiamo conosciuto quasi tutti. É il tipo che ha viaggiato molto, si vanta di aver cambiato tante città e donne, e racconta continuamente le sue storie da spaccone che in molti casi sono talmente esagerate da lasciar pensare che le stia sparando grosse. Però, nonostante tutto, si fa finta di credere a ogni dettaglio e lo si lascia parlare perché la sua esuberanza, la sua energia, la sua vitalità sono troppo affascinanti. Gli si perdonano anche gli eccessi: raccontati da lui sembrano giustificabili anche i comportamenti che in genere non apprezzeremmo.
Ovvio che l'incontro fra due uomini così diversi sia illuminante soprattutto per lo scrittore-narratore. Lui trae il maggior guadagno, lui impara a riemergere dai meandri della propria vita fatta di sola meditazione e studio, lui inizia a comprendere meglio ogni cosa alla luce della furente, straripante energia del vecchio Zorba.
Invece Zorba non deve imparare nulla dallo scrittore: è un farabutto, è spietato, eppure capace di essere generoso; privo di ogni ideale ma disposto a lottare per una causa (e sempre pronto a mollarla in un attimo); è contraddittorio, talvolta odioso, ma compenetrato nella materialità della vita con un'intensità tale da capirla meglio di chiunque, anche nei suoi aspetti più difficili coi quali riesce sempre a trovare una conciliazione.
Una lettura in cui gli eventi, pur presenti, sono secondari rispetto alle numerose pagine dedicate all'introspezione psicologica della voce narrante, in contrapposizione agli aneddoti della vita di Zorba dove c'è spazio solo per le donne, il vino, il lavoro e il buttar tutto per aria e ricominciare daccapo, anche senza un motivo.
Una lettura fortemente incentrata sull'interiorità dell'uomo e i suoi eterni quesiti: la vita, la morte, gli ideali, le gesta, l'amore, la fede nel soprannaturale. Un libro vissuto perché ha esteso la mia visione della condizione umana.

domenica 9 febbraio 2014

Serissimi consigli per rendere originale la vostra scrittura

Dal basso della mia lunga esperienza come scribacchino mai pubblicato, ho sicuramente tutti i titoli necessari per non impartire lezioni di scrittura, e infatti mi sono sempre astenuto da iniziative simili.
Però nessuno mi impedisce di ironizzare sull’argomento.
Ordunque, coraggiosi aspiranti scrittori, predisponete le vostre menti a ricevere i sublimi suggerimenti del magnanimo Ariano Geta, che condividerà con voi le nozioni apprese dopo anni e anni di pratica.
Partendo con un minimo di serietà, sono giunto alla conclusione che la scrittura è il mezzo tramite il quale si persegue il fine ultimo della narrativa: raccontare.
Il mezzo e il fine sono entrambi necessari.
Un uomo che parla in modo estremamente forbito, ma di fatto non dice nulla, è vacuo. Uno che invece racconta storie interessanti, ma si esprime con un linguaggio grezzo, è genuino. Dovendo scegliere tra i due estremi è preferibile essere genuino, mantenendo però la consapevolezza di dover migliorare il mezzo.
Come si fa? Qual è il metodo giusto per rendere originale la propria scrittura? Ebbene… (da questo punto in poi la serietà scompare)… esistono varie tecniche.
Una è la rarefazione verbale. Periodi brevi. Separati da un punto. E basta. Niente virgole. Meglio è se la sintassi usuale non rispettano. Fa più figo. E poi interrompere una descrizione. Spezzarla. Al suo interno inserire stratosferiche levigazioni di un concetto. Inusuali perifrasi di simboli. Incoerenti come le due che precedono. Utilizzando però fantasmagoriche parole. Quanto basta per ipnotizzare l’inesperto lettore. Elevarlo sopra un empireo di significati. Ma prendendolo per il culo. Perché in realtà non gli hai raccontato un cazzo.
La tecnica opposta è la moltiplicazione verbale. Che si potrebbe descrivere ed estrinsecare come forma espressiva comunicativa mediata ottenuta tramite la proliferazione, l’accrescimento, l’estensione, l’aggiunta ossessiva e mai doma di parole vane ed inutili pur tuttavia utilizzate abbondantemente e senza limitarsi. Non fermandosi mai a un solo, unico, misero, riduttivo aggettivo. Ogni sostantivo venga invece preceduto e seguito da una corroborante sequela briosa di elementi pomposamente aggiuntivi. Scrivere, creare, raccontare, trasmettere, comunicare, emozionare l’incantato e incantevole lettore affascinato dall’ipertrofia incontrollata del movimentato testo in cui tante, numerose, infinite parole vengono entusiasticamente e gioiosamente sparate sulla bianca pagina in un pirotecnico fulgore di enfasi narrativa, quantunque a lungo andare potrebbe oltraggiosamente assumere la poco dignitosa forma di un’accozzaglia forzata. Per un’elegante gestione di tale particolarissima scrittura si raccomanda premurosamente un’infinita pratica onde evitare il disastroso e odioso esito di essere bollati come fastidiosi e prolissi.
Per oggi può bastare. Tornerò sull’argomento nei prossimi giorni. Forse.

martedì 4 febbraio 2014

Quando andai fuori di testa

Il mio umore oscilla fra estremi, pertanto genera comportamenti antitetici. Ragion per cui ho sempre ritenuto la coerenza un optional di lusso che non posso permettermi: troppo costosa in termini nervosi per la mia misera personalità lunatica.
Inevitabile che da ciò conseguano situazioni in cui sembrano agire due persone diverse: una posata, paziente, educata (ed è quella alla quale in genere affido la gestione del blog); e un’altra nevrotica, cinica, ignorante (normalmente incaricata di discutere coi clienti morosi e i fornitori ritardatari).
Talvolta però si scambiano di ruolo in contesti non specificamente assegnati…
Le attese nel traffico causa auto parcheggiata in doppia fila, ad esempio. In genere tendo ad affrontarle flemmaticamente. Spengo il motore e lascio al resto della fila l’incarico di clacsonare per comunicare al coglione di turno che se gli pesano le chiappe a percorrere dieci metri, allora dovrebbe noleggiare un elicottero e farsi calare davanti ai negozi col cavo d’acciaio in stile “Mission Impossible”, non certo lasciare la sua macchina a bloccare tutte le altre in attesa che lui termini l’acquisto.
Però, quella volta nel lontano 1997, ero piuttosto incazzato alterato per motivi miei.
Quando ho svoltato sul vicolo che dovevo per forza attraversare ho trovato una macchina ferma in mezzo alla strada. Intendiamoci: era strettissima, e anche se il mezzo fosse stato accostato al marciapiede avrebbe bloccato il traffico ugualmente. Infatti il conducente non aveva neppure simulato il tentativo di lasciare un margine finto e inutile per chi giungeva alle sue spalle. Motore spento e auto proprio al centro della carreggiata.
Suono il clacson. Prima una serie di colpetti, poi un lungo assolo.
Niente. Il tizio (lo intravedo che sta parlando col negoziante, deve essere per forza lui perché c’è una sola attività commerciale in quel vicolo) fa finta di non accorgersene. E diamine: lui sta allegramente cazzeggiando e c’è uno che si permette di interromperlo perché, con tante strade che ci sono, deve passare proprio in quella che lui ha adibito a parcheggio. Che maleducato!
Però il tizio in questione ignora che il maleducato impegnato a infastidire la sua conversazione a colpi di clacson è alla guida di un’autovettura prossima alla rottamazione…
Proprio così. Il lunatico in fase oscura che deve assolutamente attraversare quel vicolo è a bordo di una Fiat Ritmo, e tra pochi giorni questa verrà consegnata al concessionario e inviata allo sfascio in cambio di un Nissan Micra nuova fiammante.
State ipotizzando un'idea potenziale che però appare insensata? E perché mai dovrebbe essere insensata?...
... Metto la retromarcia e vado indietro il più possibile. Reinserisco la prima e do gas.
BUM!
L’allegro conversatore esce di corsa dal negozio.
Il conducente lunatico si affaccia dal finestrino della Ritmo.
“Ma sei coglione? Lasci la macchina in mezzo alla strada? Sono arrivato in velocità e non l’ho neppure vista!”
Il proprietario dell’auto tamponata da un’occhiata rapida al paraurti posteriore: poche sgraffiature, niente di rilevante. Il danno maggiore lo ha avuto la Ritmo, ma il conducente non sembra preoccuparsene. Preferisce continuare a gridare:
“Vuoi togliere stà cazzo di macchina, ‘mbecille?”
L’allegro conversatore (che non è più tanto allegro) guarda negli occhi il tizio che gli sta urlando di spostarsi. Si capisce che pensa qualcosa tipo: “È un drogato. Un malato di mente. Forse entrambe le cose”. Monta sull’auto, accende il motore e schizza via. Siccome anche il drogato malato di mente deve passare nella stessa direzione, i loro sguardi si incrociano un’ultima volta quando il conversatore non più allegro ha finalmente trovato uno spiazzo in cui posteggiare il suo mezzo senza intralciare il traffico. A ben trenta metri dal negozio, distanza clamorosa che dovrà percorrere due volte a piedi, poverino. E intanto – appunto – fa in tempo a voltare gli occhi in direzione della Ritmo che gli passa accanto e ad osservare ancora il conducente e il lampo di furore nelle sue iridi lucide.
La smorfia di tensione del tamponato è un libro aperto. C’è scritto: “Psicopatico, forse pericoloso”.
Un attimo dopo vede solo il portellone posteriore della Ritmo che si allontana in velocità. E non può minimamente immaginare che il drogato psicopatico forse pericoloso ha appena assunto l’espressione di un ragazzino sorridente mentre guarda beatamente i cartoni animati.
Postilla finale: a distanza di anni devo ammettere che mi vergogno un po' del mio comportamento in quella circostanza, anche perché, in un momento successivo della mia vita, è capitato pure a me di bloccare il traffico lasciando l'auto in mezzo alla carreggiata per entrare in una pizzeria e prenotare un tavolo per la sera... Morale: anch'io sono stato un allegro conversatore, ma nessun lunatico mi ha tamponato.