Parlo nuovamente di pittura, ovviamente col mio solito approccio amatoriale e privo del sostrato culturale di chi si é dedicato interamente allo studio delle arti figurative.
Mi riferisco ancora ad un artista vissuto a cavallo fra 1800 e 1900. Anche in questo caso ad affascinarmi é lo stile che lo identifica, la profusione di dettagli con richiami esoticheggianti e la capacità di raffigurare una realtà trasfigurata, anche se sicuramente più "autentica" rispetto alle immagini "idealizzate" di Godward e quelle "sognate" di Moreau.
Francesco Paolo Michetti nelle sue tele ha rappresentato l'Abruzzo, un Abruzzo "selvaggio" e pieno di energia primitiva. Tra i suoi soggetti vi sono spesso situazioni connesse al sacro (processioni, eventi quali il Corpus Domini o le messe per il santo patrono) in cui pare di trovarsi di fronte a rituali pagani più che cattolici. La vivacità dei colori, delle persone e delle scene rappresentate riesce a trasmettere l'energia dell'azione che si sta svolgendo, la forza interiore e naturale di una regione all'epoca ancora rurale e legata a rituali tramandati di generazione in generazione. L'Abruzzo di Michetti ricorda l'Egitto di Gérôme o il Marocco di Delacroix, ma con una differenza fondamentale: per lui non era una "esotica colonia d'oltremare" dove attingere ispirazione, era la sua terra, alla quale era profondamente legato. E nelle sue opere infatti si legge l'amore per le scene rappresentate, rispetto alle quali egli non era solo uno "spettatore", ma un partecipante.
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