“… Aveva notato però che i
denti di Tadzio non erano perfetti: un po’ irregolari, pallidi,
senza la lucentezza della salute, e anzi singolarmente fragili e
trasparenti come si nota talvolta negli organismi anemici. ‘È
molto delicato, è malaticcio’, pensò Aschenbach. ‘È
improbabile che diventi vecchio’...”
Questa breve considerazione del
protagonista de La morte a Venezia di Thomas Mann mi è
tornata in mente durante la prima quindicina di aprile che ho trascorso in preda a
serie difficoltà respiratorie causa una virulenta infezione a gola e
naso.
Da bambino mi capitavano spesso queste situazioni: quasi ogni anno trascorrevo due settimane a letto con la febbre alta, e solo gli antibiotici mi risollevavano. Grazie al progresso medico e al benessere diffuso ero semplicemente uno dei tanti bimbi influenzati, uno che sopportava il virus con maggiore difficoltà rispetto agli altri e necessitava di farmaci più potenti, però alla fine guarivo regolarmente. Anche i fastidi di aprile li ho vissuti con la stessa consapevolezza, sapendo che si trattava solo di pazientare pochi giorni e i farmaci mi avrebbero risanato.
Da bambino mi capitavano spesso queste situazioni: quasi ogni anno trascorrevo due settimane a letto con la febbre alta, e solo gli antibiotici mi risollevavano. Grazie al progresso medico e al benessere diffuso ero semplicemente uno dei tanti bimbi influenzati, uno che sopportava il virus con maggiore difficoltà rispetto agli altri e necessitava di farmaci più potenti, però alla fine guarivo regolarmente. Anche i fastidi di aprile li ho vissuti con la stessa consapevolezza, sapendo che si trattava solo di pazientare pochi giorni e i farmaci mi avrebbero risanato.
Se fossi stato bambino agli inizi del
novecento forse anch’io, come il Tadzio di cui si innamora
Aschenbach, sarei stato osservato con malinconia da qualche anziano
viaggiatore straniero che avrebbe tristemente pronosticato la mia
prematura scomparsa causata da malattie polmonari. In un certo senso
la vita che sto vivendo potrebbe essere classificata come un dono per
il quale devo ringraziare il progresso.
Il discorso può diventare più sottile
e scendere in ambiti assai più personali, slegati dal contesto
storico.
Gabriel Conroy, protagonista del
racconto I morti di James Joyce, scopre in modo casuale che
sua moglie aveva avuto un fidanzatino quando era ancora molto
giovane. Probabilmente lei lo avrebbe sposato se lui non fosse morto
all’improvviso, e di conseguenza non sarebbe mai diventata la
moglie di Gabriel. In un attimo la sua vita coniugale gli appare
come un ‘furto’ ai danni di un povero ragazzo deceduto
prematuramente.
James Joyce aveva potuto rendersi conto
della tangibilità di questi doni non dovuti del destino perché lui
stesso ne aveva beneficiato: la sua compagna, Nora, era rimasta
vittima della medesima disgrazia toccata alla signora Conroy nel
racconto. Lo scrittore irlandese fu talmente colpito da questo
scherzo del fato al punto da voler vedere la tomba dello sfortunato
fidanzatino di Nora nel cimitero di Rahoon, al quale dedicò anche
una poesia, Lei piange pensando a Rahoon.
Insomma, la vita e i suoi intrecci sono
un’infinita fonte di riflessione.
Sincronicità, Gestalt, quanti altri meccanismi si possono trovare per descrivere aspetti della vita che viviamo? Mi vado sempre più convincendo che la nostra volontà, alla fine, gioca davvero un ruolo quasi minimo nella vita che ci scorre sotto i piedi. Ma d'altra parte senza i nostri desiderata che mettono in moto il meccanismo, nulla esisterebbe. E i nostri comportamenti, a loro volta, coinvolgono e modificano le esistenze di chi ci sta vicino. Come in un gioco di ruolo complesso. Come sempre un post veramente azzeccato e pieno di suggerimenti. Anzi sai che faccio? lo condiviso sul mio blog!
RispondiEliminaTi ringrazio, lo apprezzo molto :-)
EliminaMi ricordo che pensai la stessa identica cosa quando lessi per la prima volta I MORTI di Joyce.
RispondiEliminaJoyce è particolarmente arduo come autore proprio perché affronta tematiche sgradevoli ma le racconta senza enfasi, le evidenzia con piccole sfumature e riferimenti appena accennati.
EliminaUn'infinita fonte di riflessione e, per chi scrive, una riserva inesauribile di materiale da costruzione...
RispondiEliminaDiciamo pure: un tentativo di dare una forma definita a qualcosa che in realtà non ce l'ha affatto.
EliminaRicordo quel racconto di Joyce. Sì lui ha in fondo sempre definito cose che non hanno una forma: pensieri, sensazioni, epifanie... Mi piace molto.
RispondiEliminaAnche le tue riflessioni, traendo le conclusioni da grandi classici, sono sempre dei piacevoli pensieri.
Grazie :-)
EliminaI Morti è il mio racconto preferito dei Dubliners: ma io non ho fatto questa riflessione leggendolo. Evidentemente la mia attenzione era concentrata su altri aspetti.
RispondiEliminaLa riflessione del post, invece, mi è propria pensando a me stessa e alla mia vita. Il mio blog non si intitola "Il Castello dei Destini Incrociati" per caso, anche se ora questa scritta non appare più nell'header ma è rimasto solo nel nome. Il sottotitolo era "Cronache surreali di ciò che la vita può riservare e di come, talvolta, la realtà superi la fantasia". Ora la mia vita è un po' più tranquilla, ma ci son stati anni in cui le persone che ho incontrato e le esperienze vissute son state così specieli nella loro casualità da farmi soffermare su quanto fossi stata fortunata ad averle vissute, rispetto a tutte quelle persone con una vita piatta e noiosa e sempre uguale…
E anche nei miei piccoli casi, non è che io avessi influenzato coscientemente gli incontri e le amicizie nate :-)
Stranamente, questo tipo di riflessione non è di quelle che non mi fanno dormire… ma riescono a scivolarmi addosso dopo averci riflettuto solo un po'.
Lo trovo naturale. Anche io non sto continuamente a pensare a queste cose, anche perché si rischia di stressare troppo la mente. A volte bisogna anche concedersi il lusso di vivere da "bete" come dicono i francesi.
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