AVVISO: questo post non rientra nella normale routine del mio blog, ma appartiene al progetto Survival Blog
2016, un giorno qualsiasi
Alla fine ho commesso l’errore definitivo.
Avevo iniziato qualche giorno fa a sbagliare, lasciando riaffiorare nella mia mente dei residui anacronistici come “riflessioni”, “ricordi”, “contemplazione”…
Stamattina la macchina si è fermata. La benzina c’era ancora, ma si è spento il motore. Colpa del freddo atroce, un gelo che sembra calato dalle colline innevate giù sino alla strada.
Mi sono sentito subito nella merda. Le mie poche provviste erano nel portabagagli, troppo pesanti per essere trasportate a spalle e troppo preziose per abbandonarle. Una Fiat ferma nel bel mezzo dell’autostrada A1 non è tanto strana in questo mondo post apocalittico, però non potevo neppure stazionare lì. Troppo esposto, nessun riparo.
Negli ultimi giorni quella vecchia auto mi era servita anche come rifugio, una scatola in cui dormire al riparo dal freddo (entro certi limiti, ma sempre meglio che stare all’addiaccio). Praticamente mi sono ritrovato privo di tana, mezzo di trasporto e cibarie in un colpo solo.
L’istinto animale mi ha suggerito che in fondo quella era l’inevitabile destino. Lupi e orsi non posteggiano la loro city car nel parcheggio sotterraneo dell’ipermercato per riempire un carrello con alimenti sigillati in buste di plastica o cilindri di metallo. Mi trovavo di fronte alla svolta finale, addio ultimi residui di supporti tecnologici. Massima concessione possibile ormai solo la robetta (e neanche tanto robetta) del paleolitico: un ramo appuntito, un sasso legato tipo martello, un focherello furbo perché l’accendino lo tenevo ben stretto in tasca…
Ma l’uomo inutile del passato ha avuto un guizzo, una cosa brevissima: giusto il tempo di pensare che, forse, tutto sommato, per alcune cose non si stava tanto male nel mondo pre-giallo.
Errore definitivo. Se ti mostri debole, la tua debolezza ti viene a cercare.
Visto che ero nella merda, l’ho sperimentata anche materialmente. Una fitta all’intestino, e dopo pochi minuti stavo accovacciato sotto un albero ai bordi dell’autostrada a liberarmi, faticosamente perché il gelo mi aveva ghiacciato il buco del culo. Sembrava una fessura di pietra da cui dovevano fuoriuscire escrementi di granito.
E io di nuovo a pensare in modo sbagliato. Ancora a ponderare che, ma sì, certo che in un cesso bello comodo dentro un bagno riscaldato sarebbe stato più piacevole. Cazzo, con lo sforzo che stavo facendo chi mi dava la voglia e la lucidità per pensare?... Ovvio: la debolezza. L’avevo appena chiamata, e lei non si è fatta attendere. Rivuoi il w.c. di marmo con la tavoletta e il rotolo di carta igienica? Desideri un luogo adibito esclusivamente allo svuotamento delle budella? Senti nostalgia per il tuo status di homo sapiens, né bestia né angelo? E allora te li consegno subito. Vengo io personalmente.
Infatti l’ho sentita arrivare. Sì, la debolezza mi è venuta incontro. Un rumore sordo, metallico. Un rumore che si è moltiplicato, che scorreva sull’asfalto e poi sul prato. Infine ha preso forma. Un mostro con sette teste, anche se ognuna aveva il suo corpo e le sue gambe, tecnicamente sette persone classificabili come esseri umani non ancora ingialliti o imbestialiti. Ma era solo una finzione, non mi ha ingannato. Quella era la mia debolezza che si è improvvisamente materializzata. Volti coperti da sciarpe nere e cappelli di lana, maschere che fasciano i lineamenti lasciando aperta solo una fessura per gli occhi. Fucili automatici e pistole puntate contro di me, privo di nascondigli e con le mani impegnate a reggermi i pantaloni.
Adesso sono nel passato. Mi trovo in una confortevole stanza con muri imbiancati, lampadine accese, e un bel bagno in cui poter svolgere comodamente le mie attività fisiologiche, magari leggendo un libro. O scrivendo sul blog tramite il palmare (quello che sto facendo ora).
Sono tornato anacronistico. Essere umano civilizzato, mantenuto in vita dai propri ordigni meccanici, elettrici e informatici. Però prigioniero. I sette tizi armati mi hanno trasportato nel loro quartier generale e chiuso a chiave nella stanza di un ex albergo dopo avermi semi-immobilizzato con un paio di manette alle caviglie (però posso saltellare se devo andare al cesso, una brillante ironia inventata dal mostro della mia debolezza).
Non so chi siano questi uomini. Sono rimasto in silenzio perché non sapevo cosa chiedergli, e d’altronde non sono più abituato a parlare con altri esseri viventi. Anche loro non hanno detto nulla, e così da alcune ore sono recluso, senza sapere chi sia il mio carceriere.
Del resto, ha importanza saperlo? In questo momento sono solo una creatura ex animale ed ex homo sapiens, nostalgica di entrambe le forme, che comunque sia ha perso la libertà. E non ha la minima idea di cosa lo attenda.
Shock evolutivo? O una possibilità per tornare nel consesso della civiltà? I prossimi giorni ti porteranno una scelta e una risposta. Buona fortuna.
RispondiElimina(personaggio off) molto bello, drastico e realistico. Finalmente le utopie di ritorno alle origini sono venute allo scoperto: indietro non si torna, nella 'civiltà' come nella 'barbarie'. L'homo sapiens dovrà fare un lungo cammino se vorrà abbinare la pulizia preindustriale alle opportunità della società moderna. Forse 'in media stat virtus'.
RispondiEliminaTemistocle
@ Angelo (personaggio on) : per ora sarebbe sufficiente capire chi sono questi tizi e cosa intendono fare di me...
RispondiElimina@ Tim (personaggio off) : sì, ho in mente come proseguire e concludere la storia dandogli un taglio filosofico più che narrativo. Poi starà a voi leggere e giudicare la buona riuscita o meno.