venerdì 23 dicembre 2016

Buon Natale

Mi sono preso una lunga pausa quest'anno, ma penso che mi perdonerete se me ne concedo ancora una (molto più breve però ;-) per il periodo delle sante festività natalizie.
Buon Natale a tutti gli amici, i followers e i lurkers che rendono vivo questo blog con la loro presenza :-)
Ci rivediamo presto!

domenica 18 dicembre 2016

Effetto panorama

La maggior parte delle fotocamere digitali permettono di fissare immagini con l'effetto panorama, ovvero danno la possibilità di unire due o più foto in una, opzione utile quando ci si trova di fronte a una veduta che, anche usando il maggior grandangolare possibile, non verrebbe mai inquadrata nella sua interezza.
É scomodo per la stampa (e in fondo anche per la visione su pc) perché il formato a rettangolo allungato rimpicciolisce inevitabilmente l'area dell'immagine, pertanto ne deriva una precisazione importante: se volete vedere le foto di questo post un po' meglio (solo un po', eh!) cliccateci sopra ;-)
Quindi il risultato finale dell'effetto panorama presenta degli inconvenienti. Tuttavia, talvolta mi piace ricorrervi.
Questa è una veduta del lago di Bracciano come appare dalle mura del castello.


L'effetto si può utilizzare anche per vedute più ravvicinate che però non possono essere fotografate troppo da lontano per non perdere dettagli. Ad esempio un murale particolarmente lungo, che in questo caso mi sono permesso di evidenziare trasformando in bianco e nero il resto dell'immagine e lasciando a colori solo i disegni:


Lo uso anche in verticale. La Macchina di Santa Rosa, orgoglio di Viterbo durante la festa dedicata alla santa, può anche essere inquadrata in un unico scatto da lontano, ma ho provato a utilizzare due foto unite per mantenere un dettaglio maggiore. Purtroppo ho "tagliato" la base. Gli effetti speciali per correggere le cavolate del fotografo non sono in grado di fornire più occhio a chi non ne ha...
Vi capita mai di scattare foto usando l'effetto panorama?

martedì 13 dicembre 2016

Blocco dello scrittore non totale

Ho sospeso il blog per mesi, non ho scritto quasi nulla e anche di letture ne ho fatte meno del solito.
É quel che si dice il blocco dello scrittore, che in genere si estende anche ad altre attività correlate alla scrittura.
Però il blocco non è totale. Qualche guizzo ancora anima le mie mani in presenza di una tastiera, seppure con svogliata lentezza e discontinuità. Potrei definire questo mio stato di apatia narrativa come stillicidio dello scrittore scribacchino.
Sì, perché non si tratta di esperimenti o bozze. C'è una storia già definita nella mia mente, una scaletta, uno scheletro di idee che attende solo di essere rivestito. Ma non riesco a impegnarmici più di pochi minuti una volta ogni tanto.
Sono sempre riuscito a darmi dei tempi che scandivano l'avanzamento di scrittura, riscrittura e editing, e quantunque spesso non li ho rispettati, adottavo quanto meno un orario e un metodo di lavoro che procedeva regolarmente, anche se il rendimento era inferiore alle aspettative (per inciso: preferisco darmi da fare qualche settimana in più e ottenere un prodotto qualitativamente migliore: le scadenze non sono un problema per un autopubblicato).
Ora invece avanzo senza alcun metodo. Eppur si muove, ma così lento che, diamine, quanto mi ci vorrà per portare a termine i lavori in corso? Il manoscritto in gestione non farà mica la fine di quei lavori pubblici di ristrutturazione edilizia di cui non ci si ricorda più neppure in quale secolo siano iniziati?...
Quel che sia, comunque il blocco non è totale. Lo considero un fatto positivo.

giovedì 8 dicembre 2016

I paesaggi artificiali nell'arte e nella letteratura

Il me.me. lanciato da Cristina era troppo stuzzicante, non avrei potuto rimanere indifferente neppure se lo stato di apatia nel quale si è adagiato il mio cervello da alcuni mesi fosse stato peggiore di quanto non sia attualmente.
Pat e Tom (e sicuramente qualche altro che mi sfuggito) hanno dato il loro contributo. Oggi tento anch'io di mappare alcuni luoghi artificiali - ossia costruiti dall'uomo - nelle loro rappresentazioni artistico-letterarie che più mi hanno colpito.
Un edificio tipicamente umano che fortunatamente non ho mai sperimentato in prima persona e tuttavia mi spaventa come una possibilità concreta è il carcere. L'idea di essere recluso fra quattro mura e privato della mia libertà, nonché costretto a condividere il mio spazio vitale con degli sconosciuti, mi terrorizza (la seconda caratteristica della detenzione mi appare persino più inquietante della prima). Non sono il tipo di persona che commetterebbe reati passibili di arresto, tuttavia so che nel corso della storia le prigioni sono state talvolta riempite con innocenti che avevano la sola colpa di non essere allineati con chi deteneva il potere.
La tortura psicologica della carcerazione "politica", intesa anche come perdita totale della propria privacy e di ogni individualità, viene narrata straordinariamente da Milan Kundera in alcuni capitoli de Lo scherzo, uno dei suoi primi libri. Il protagonista teoricamente non è detenuto ma "coscritto militare" presso una caserma che di fatto viene riservata a coloro che sono stati classificati "nemici dello stato". Niente libere uscite, nessuna arma a disposizione ma solo divise da indossare coattivamente, lavoro massacrante, continui sermoni degli ufficiali per rammentare ai "coscritti" la loro indegnità morale... Il protagonista viene disumanizzato a poco a poco:
Tutti i fili erano spezzati.
Interrotti gli studi, interrotta la partecipazione al movimento, il lavoro, i rapporti con gli amici, interrotto l'amore e la ricerca dell'amore: si era, insomma, interrotto l'intero corso, dotato di senso, di una vita. Non mi era rimasto che il tempo. E quello, in compenso, lo conobbi così intimamente come mai prima.
E alcune pagine dopo:
... non conoscevamo nient'altro che fatiche e stanchezza, ogni due settimane ci rasavano il cranio a zero affinchè i capelli non ci dessero una qualche sconveniente autocoscienza, eravamo dei diseredati che ormai non si aspettavano più nulla di buono dalla vita...
Un quadro che a mio avviso esprime questa soppressione del singolo, trasformato forzatamente nell'elemento anonimo di un gruppo simile a un gregge, è Il cortile della prigione di Vincent Van Gogh:


Un altro luogo artificiale che invece conosco bene - lo vivo ogni giorno - è il porto. Una stazione di partenze e arrivi marittimi, navi cariche di merci, passeggeri, equipaggi provenienti da ogni parte del globo... La mia città non è una meta turistica, eppure so con certezza che vi hanno transitato genti di tutte le nazionalità esistenti al mondo. Il porto apre infinite potenzialità di viaggio, espresse stupendamente da Hermann Melville nel suo capolavoro Moby Dick:
Camminate ai margini della città in un sognante pomeriggio domenicale. Andate da Corlears Hook a Coenties  Slip, e di là per Whitehall verso nord. Che cosa vedete? Piazzati come sentinelle silenziose tutt'intorno all'abitato,  stanno migliaia e migliaia di mortali impietrati in sogni oceanici.
Alcuni appoggiati ai pali, altri seduti sulle testate dei  moli; questi spingono lo sguardo oltre le murate di navi che vengono dalla Cina, quelli aguzzano gli occhi verso l'alto,  nelle attrezzature, come cercassero di spaziare ancora meglio sul mare. Ma sono tutti gente di terra, uomini rinserrati nei giorni feriali tra cannicci e intonachi, legati ai banchi, inchiodati agli scanni, ribaditi alle scrivanie. Che significa allora? I prati verdi sono scomparsi? Che fa qui questa gente?
Ma guardate! Arrivano altri gruppi che marciano dritti all'acqua come volessero tuffarsi. Strano! Niente li soddisfa se non il limite estremo della terra, oziare a riparo del vento, all'ombra di quei magazzini, non basta. No. Debbono andare vicino all'acqua, quant'è possibile senza cascarci dentro. Ed eccoli là piantati per miglia e miglia, per leghe. Gente dell'entroterra tutti, vengono da traverse e vicoli, strade e viali, da nord e sud, dall'est e dall'ovest. Ma qui si ritrovano tutti quanti. Ditemi, è la forza magnetica degli aghi di bussola di tutte quelle navi, forse, che li attira qui?

Un artista che ha saputo raccontare l'attività febbrile che si svolge tra moli e banchine con continui arrivi e partenze di vascelli, è il maestro del vedutismo Canaletto. I suoi panorami veneziani non trascurano mai l'importanza dell'elemento portuale nella città lagunare:


Infine, un altro luogo artificiale che amo (e che sfrutto ogni volta che posso) è l'albergo. É un porto più raccolto, un punto di incontro e transito di umanità varia proveniente da luoghi diversi, ma anche - se si è clienti abituali - una sorta di seconda casa come racconta Pirandello nella novella Nell'albergo è morto un tale:
Cento cinquanta camere, in tre piani, nel punto piú popoloso della città. Tre ordini di finestre tutte uguali, le ringhierine ai davanzali, le vetrate e le persiane grige, chiuse, aperte, semiaperte, accostate.
La facciata è brutta e poco promettente. Ma se non ci fosse, chi sa che effetto curioso farebbero queste cento cinquanta scatole, cinquanta per cinquanta le une sulle altre, e la gente che vi si muove dentro; a guardarla da fuori.
L’albergo, tuttavia, è decente e molto comodo: ascensore, numerosi camerieri, svelti e ben disciplinati, buoni letti, buon trattamento nella sala da pranzo, servizio d’automobile. Qualche avventore (piú d’uno) si lamenta di pagar troppo; tutti però alla fine riconoscono che in altri alberghi, se si spende meno, si sta peggio e non si ha il vantaggio, che si vuole, d’alloggiare nel centro della città [...] Ci sono i vecchi clienti che chiamano per nome i camerieri, con la soddisfazione di non esser per essi come tutti gli altri, il numero della stanza che occupano: gente senza casa propria, gente che viaggia tutto l’anno, con la valigia sempre in mano, gente che sta bene ovunque, pronta a tutte le evenienze e sicura di sé.
Per concludere la partecipazione al me.me. di Cristina scelgo un'opera d'arte da abbinare all'ultima citazione, un'opera che esprima l'atto di soggiornare in un albergo con la stessa naturalezza che si proverebbe a casa propria. Hotel vicino a una ferrovia di Edward Hopper mi sembra il quadro ideale:

sabato 3 dicembre 2016

Autoritratti creativi

Chi ha frequentato questo blog sa bene che non ho mai mostrato la mia faccia. Anche quando ho postato foto personali ho sempre censurato il mio inutile volto.
Ne consegue che, anche se pubblico un post nel cui titolo compare la parola "autoritratti", non dovete mica aspettarvi che io abbia finalmente deciso di palesare il mio aspetto esteriore.
Se avete già sbirciato gli scatti fotografici allegati avrete notato che tendono più a nascondere che a mostrare: non volevo dipingermi fisicamente ma raccontarmi, creare un ritratto che dica come sono dentro più che come appaio fuori. Ecco il senso dell'aggettivo "creativi".
Lascio decidere a coloro che leggeranno questo post cosa traspare di me con queste fotografie: che personalità fanno immaginare? Che impressione trasmettono?
E magari lancio pure una piccola sfida: chi vuole provare a realizzare a sua volta un autoritratto creativo, più psicologico che somatico, e poi pubblicarlo?