Capitolo 9
Si, una voce di donna. Una voce che Soichiro conosce bene.
“Sei arrivato, alla buon’ora!”
“Nonna! Tutto a posto?”
“Si, tutto a posto. Ma non per merito tuo! La polizia è arrivata prima di te”.
Proprio in quell’istante giunge Akira, con un gran fiatone.
“Chi è questo tizio?”, domanda la signora Shigezugu.
“E’ un mio amico nonna”.
“Ah, hai portato i rinforzi. Per questo hai tardato. Male! Dovevi correre subito, anche a costo di venire da solo!”
“Ma si può sapere cosa è successo?”
“E’ successo che hai dimostrato di non essere affidabile! Come mi avevi detto prima di partire? ‘Sto a Hakone, in caso di emergenza basta un’ora di treno e sono da te’… Certo, come no! Ho mandato il telegramma stamattina alle dieci, e ti ci sono volute quattro ore per venire da me!”
La faccia di Soichiro si solidifica in una maschera di totale sconcerto. Akira invece è sufficientemente lucido da capire, e comunque chiede conferma: “Mi scusi signora Shigezugu: se ho compreso bene è stata lei a inviare quel telegramma in cui si parlava di un assassino?”
“Certo. Volevo mettere alla prova questo inetto di mio nipote! Volevo che si rendesse conto di quanto sia stato sciocco e superficiale a lasciarmi da sola, dicendo che in un’ora sarebbe tornato a casa a soccorrermi in caso di pericolo. Non le sembra un comportamento idiota?”
Akira evita di rispondere. E’ un artista trasgressivo e sregolato, ma non si permetterebbe mai di insultare una donna anziana con evidenti problemi di demenza senile…
Intanto, dall’oscurità della casa emergono due poliziotti.
“Loro sono venuti a salvarmi, non te!”, urla la signora Shigezugu.
“Li ho avvisati io nonna! Gli ho mandato un messaggio telegrafico!”
“Ah, è stato lei”, commenta uno dei due uomini in divisa. “Quindi è lei il coglione che ci ha fatto sprecare tempo prezioso per questa buffonata!”
“C’è un equivoco, io…”
“Si rende conto di quanto è stato idiota il suo comportamento?”, gli urla in faccia il secondo poliziotto.
“Lo vedi? Anche questi due bravi signori si sono accorti subito di quanto sei idiota!”, interviene la nonna.
Idiota. Le autorità cittadine e quelle domestiche glielo ripetono più volte, lo rimproverano, lo condannano. Soichiro china la testa e curva la spalle, ascoltando in silenzio. Anzi, neppure ascolta: semplicemente si ritira su se stesso come se rimpicciolisse, come se cercasse di diventare insignificante anche nel corpo. Una nullità.
“Che non si ripeta mai più una cosa del genere o lei verrà denunciato per procurato allarme!”, conclude il primo poliziotto.
“Vergognati! Sei il disonore di questa casa!”, aggiunge la signora Shigezugu. “E adesso vattene, tornatene pure a Hakone a divertirti mentre io sto qui a rischiare la vita! Scommetto che non sei neppure andato al tempio a pregare per me!”
Soichiro si volta e si allontana senza dire una parola.
Akira invece azzarda un “Arrivederci signora” e corre verso l’amico scrittore. Prova anche a scherzare: “Te l’avevo detto che era meglio farla assassinare dalla donna misteriosa, no?”
Nessuna risposta. Non ha voglia di parlare. La signora Shigezugu ha distrutto la sua vita come Suzuki Soichiro, e va bene, glielo può concedere come forma di riconoscenza per averlo cresciuto. Ma ora ha appena annientato la sua seconda vita illusoria, quella come Murasaki Tezuya.
Abe Akira era l’unica persona al mondo di fronte alla quale lui era sempre stato Tezuya, scrittore disinvolto che fa il giornalista a tempo perso e vive con una nonna innocua e rimbambita. In un attimo questa sua seconda identità è stata distrutta. Da oggi, anche di fronte all’amico incisore, lui è soltanto Suzuki Soichiro, piccolo giornalista con ridicole velleità da scrittore. Una nullità, un ometto insignificante che si fa mettere i piedi in testa da tutti.
“Visto che siamo entrambi a digiuno, perché non andiamo a pranzo?”
“Non ho fame Akira”.
“Dai, non prendertela troppo”, lo incoraggia Abe. “Andiamo a Asakusa, ci sono tante trattorie dove si mangia bene e si spende poco”, e prendendolo per un braccio lo trascina verso un intenso profumo di frittura e salsa di soia.
“Guarda quello”, gli dice mentre indica un ristorantino con il tetto spiovente e un nome quasi sacrale sull’insegna. “Somiglia a un tempio. Andiamo a recitare qualche preghiera per tua nonna. Un paio di orazioni a base di gamberetti e
yakiudon, dai!”.
La società umana nel suo complesso può essere ripugnante, ma alla base di tutto ci sono le singole persone. E la singola persona registrata all’anagrafe come Abe Akira riesce a far dimenticare la società, le vicissitudini personali e le singole persone sgradite come la nonna, il capo Kimura e il collega Hosono.
“Prendi il lato positivo di questa mattinata assurda: la situazione che hai appena vissuto potrebbe essere uno spunto per il tuo romanzo”.
“Il mio editore lo straccerebbe subito. E se per caso gli piacesse, lo straccerei io!”
Tezuya si sta riaffacciando timidamente nella mente di Soichiro. Ma solo per un attimo, perché all’improvviso gli viene in mente una cosa alla quale non aveva ancora pensato, e gli crea una certa agitazione. Si guarda attorno con aria sospetta.
“Che c’è Tezuya, qualche problema?”
“Si. Stavo pensando che se mi vede qualche collega del giornale sono finito. In questo momento dovrei stare a Hakone a raccogliere notizie sulla signorina Yoshizu. Se mi beccano qui a Tokyo che cosa gli racconto per giustificarmi?”
“Gli spieghi che il celeberrimo incisore Abe Akira ti ha convocato per una rivelazione esclusiva: la signorina Yoshizu avrebbe posato nuda per lui, e può anche mostrarti una copia della stampa che la ritrae senza veli”.
Akira scherza, senza immaginare che la sua battuta non é tanto lontana dalla realtà…
“Ora però è meglio che io vada. Vuoi tornare a Hakone anche tu a farmi compagnia?”
“No Tezuya, non fa per me. L’aria pulita del lago Ashi mi fa male ai polmoni, io ho bisogno di respirare la sporcizia e il caos di Tokyo. Mi piacciono il disordine e i vizi delle grandi città, e Tokyo è anche troppo virtuosa. Se solo potessi vivere a Parigi!…”
Un’ora e mezzo dopo Soichiro è di nuovo sul treno, sfinito. A Hodawara piovigginava, e così mentre aspettava la coincidenza per Togendai si è completamente bagnato, e visto che indossa yukata e zoccoli ha l’aria di uno che è appena uscito da un bagno termale e invece di cambiarsi d’abito è montato sul treno… Gli altri passeggeri lo guardano di sottecchi e ridono. Proprio come stamattina: altro che sorrisetti demoniaci, lo stavano solo prendendo in giro. E la voce dell’altoparlante non è infernale, semmai banalmente distorta dal microfono.
“Devo iniziare a scrivere il romanzo” pensa Tezuya.
“Devo assolutamente scrivere l’articolo per il giornale”, aggiunge Soichiro.
Sono le sei di sera e continua a piovigginare. Camminando lentamente, come se non si accorgessero delle gocce d’acqua che gli cadono addosso, lo scrittore e il giornalista percorrono il lungolago in direzione dell’hotel Tamaki.
Quando entrano nella veranda hanno i capelli fradici che gli cadono sugli occhi, il volto stremato e uno sguardo talmente bizzarro che nessuno ha il coraggio di chiedergli nulla, neppure il professor Komazu.
Entrati in stanza Soichiro ha il sopravvento. Nota una cosa metallica che brilla sul pavimento: le chiavi di casa… Altro che rubate dalla donna misteriosa, gli erano semplicemente cadute in terra!
“Va bene, adesso però devo scrivere l’articolo”.
Carta, penna e fantasia. Ma mentre si inginocchia un’ombra appare improvvisamente alle sue spalle…
Capitolo 10
L’ombra lo sovrasta in silenzio. Due mani affilate gli si avvicinano al collo e… gli tappano la bocca mentre una voce femminea e autoritaria lo invita a stare zitto.
“Si può sapere che fine hai fatto? Sei sparito per tutta la giornata!”
E’ la signorina Yoshizu. Non riesce ad accettare che altri esseri umani possano sfuggire ai suoi desideri e alla sua volontà.
“Dove sei stato?”
“Sono dovuto correre a Tokyo per una questione famigliare… E’ troppo difficile da spiegare”.
“Mi stai facendo qualche scherzo? Non mi dire che hai raccontato cose compromettenti al tuo capo…”
“No, glielo giuro! Il giornale non c’entra niente, si trattava di una faccenda privata”.
Yoshizu Sakura sembra diffidente, ma d’altronde lo sguardo di Soichiro appare sincero. E poi sinora è stato ai patti.
“Stamattina ho letto sul quotidiano l’articolo che ti ho dettato ieri. Ottimo risultato, la mia domestica ha raccolto diversi commenti in giro e tutti dicevano che ero proprio la ragazza ideale per diventare imperatrice. Però dobbiamo insistere”.
“Certo. Ho appena preso carta e inchiostro proprio per scrivere il pezzo per domani. Mancava solo lei, ma non sapevo come contattarla”.
“Ci penso io a farmi viva, te l’ho già detto. Hai mangiato?”
“No, non ancora”.
“Bene, ti ho portato io la cena. Ti farò gustare cose che solo pochissimi uomini hanno potuto assaggiare. In cambio sai già cosa devi fare”.
“Detti pure, io scrivo”.
La signorina Yoshizu è una ragazza moderna ma con un’anima autenticamente giapponese, anche dal punto di vista gastronomico. Pur avendo avuto la possibilità di conoscere la cucina internazionale, i suoi piatti preferiti restano quelli tipici del nostro paese, specialmente i più amati dalla gente comune come gli spaghetti ramen. Ella ricerca la semplicità e la tradizione anche nelle stoviglie in cui mangia. La sua posizione le permetterebbe di utilizzare pregiati servizi di porcellana importati dall’Europa, ma preferisce utilizzare le ciotole tradizionali in legno oppure
“Il corpo nudo di una donna come vassoio per il proprio pasto. E’ un’antica forma di perversione dei grandi feudatari”, spiega la signorina Yoshizu mentre dispone alcune pietanze sulla propria pelle.
Le piace molto il pesce, comprese le trote che si possono pescare nel lago Ashi. In questi giorni ne potrà gustare a volontà, lessate e senza troppi condimenti perché preferisce che mantengano il loro sapore naturale
“Gusta la carne”, gli dice mentre si fa scorrere un pezzo di pesce sulla coscia, “Gusta entrambe le carni…”
Oggi ha particolarmente apprezzato i dolci di riso tipici di Hakone, piccole palline tonde e morbide che vanno sapientemente impastate dalle mani esperte di un cuoco
“Senti come sono tonde e morbide. Impastale, dai”, ordina a Soichiro trascinandogli le mani verso due dolci di riso spalmati sopra due forme carnose, ugualmente tonde e morbide.
Al termine di ogni pasto sorseggia delicatamente del tè maccha per favorire la digestione. Ha numerose domestiche a sua disposizione che potrebbero prepararglielo, ma preferisce farselo da sola, con movimenti aggraziati e eleganti appresi dalle migliori istitutrici del paese. Per la signorina Yoshizu il tè è un’autentica passione, e ne conosce tutti i segreti
“Alcuni shogun lo bevevano solo se veniva filtrato nel pube di una vergine. Questo l’ho filtrato io, su me stessa. Non trovi che abbia un sapore speciale?”
Soichiro fa segno di si con la testa, ma non è molto convinto. Comunque ha sicuramente apprezzato la cena, e soprattutto il vassoio.
“Adesso corri subito all’ufficio postale a spedire l’articolo!”, gli intima di colpo la signorina Yoshizu.
“Si, vado. Ma lei come farà a uscire da qui senza farsi vedere da nessuno?”
“La signora Tamaki mi farà gentilmente passare attraverso le sue stanze private. Ma non ti preoccupare di queste cose, vai!”
“Per domani come ci incontriamo?”
“Organizzo tutto io. Adesso muoviti!”
Yoshizu Sakura è una viziata primogenita, ed é abituata ad essere interrotta solo da suo padre. Tutti gli altri devono stare zitti quando lei parla, e soprattutto devono obbedire ai suoi ordini. Il remissivo Soichiro è il soggetto ideale per adattarsi a questa indole autoritaria, e così, anche se vorrebbe farle altre domande e spiegarle che c’è tempo sino alle ventidue per spedire la corrispondenza, smette subito di parlare e si precipita fuori dell’hotel per correre a tutta velocità verso Togendai.
Per la terza volta cammina sotto la pioggia. Non ha pensato che poteva farsi prestare un ombrello dal signor Tamaki. Invece dei bagni termali oggi ha fatto i bagni pluviali. Pazienza, in fondo la giornata era cominciata male e invece è finita bene, e questa è una cosa positiva.
Incredibilmente, alla posta ritrova lo stesso impiegato della mattina.
“La polizia ha potuto fermare l’uomo che voleva assassinare sua nonna?”
“Ma era solo uno scherzo, non mi dica che ci aveva creduto!”
“Le giuro che sembrava proprio sincero”.
“So recitare molto bene. Mi raccomando, questa lettera domattina deve essere in consegna a Tokyo”.
Mentre percorre la strada a ritroso verso l’hotel, Soichiro nota che sopra le acque del lago si sono formate delle esalazioni di vapore. Ormai è giunta la notte, e una foschia biancastra sta avvolgendo entrambe le rive. Sui versanti del monte Komagatake
scende la nebbia.
Finalmente ha smesso di piovere, ma la sensazione di umidità aumenta anziché diminuire. Un denso fumo grigio inizia ad avvolgere ogni cosa. Il rosso del portale sacro di Ninigi svanisce dietro una cortina spettrale.
Soichiro si guarda attorno. All’improvviso Hakone sembra un luogo stregato. Non c’è anima viva in giro, le luci degli hotel sono pallide lanterne che si affievoliscono dietro un sipario di opacità. Meglio affrettare il passo.
Ma giunto a pochi metri dall’hotel Tamaki, intravede una figura che si muove nell’oscurità: una donna vestita di rosso che cammina in direzione del monte Futagoyama… Sembra la misteriosa ragazza uscita dalla stampa di Akira, la protagonista del suo prossimo romanzo che ha deciso di divertirsi alle sue spalle trasformandolo in un personaggio e facendogli vivere tutte le trame assurde che sarebbero toccate a lei…
“Aspetta! Fermati!”
Incurante della foschia e dell’oscurità, Tezuya insegue la sagoma rossa. E non si rende conto che dopo pochi attimi l’hotel Tamaki è svanito, il resto del mondo è scomparso, e c’è solo un infinito biancore che lo avvolge e lo isola dalla realtà…