venerdì 30 aprile 2010

Odon Lechner


Già in altri post ho parlato della mia ammirazione per lo stile Liberty, l’Art Nouveau e tutto quel complesso movimento artistico che fra la fine del 1800 e gli inizi del 1900 cercò di applicare l’estetica della bellezza (e non solo della mera funzionalità) agli oggetti di uso comune ma anche e soprattutto all’ambiente circostante: case, arredi, elementi urbanistici…
In quegli anni molti architetti seguirono con entusiasmo questi principii, e il favorevole contesto culturale gli permise di realizzare opere innovative e affascinanti, dando una nuova immagine a diverse città. Il caso più noto è ovviamente Barcellona.
La maggiore importanza assunta dal capoluogo catalano in seguito al crollo dell’impero spagnolo e alla perdita di prestigio di Madrid, e il sostegno economico della borghesia di Barcellona permisero la costruzione di tantissimi edifici pubblici e privati in linea con le tendenze dell’Art Nouveau. In questo contesto poterono operare al meglio delle loro capacità architetti come Josep Vilaseca i Casanovas, Josep Puig i Cadafalch, Lluís Domènech i Montaner e soprattutto Antoni Gaudì.
Ma sarebbe troppo scontato come post. Se possibile cerco sempre di spaziare oltre le cose già note alla maggioranza per fornire spunti nuovi.

Ebbene, qualcosa di simile accadde anche in un’altra capitale non molto lontana dall’Italia.
Nel 1867 gli Asburgo, consci dell’impossibilità di fermare le spinte indipendentiste delle varie etnie all’interno del loro dominio, concessero una larghissima autonomia almeno alla più numerosa fra esse, quella ungherese. L’impero Austriaco divenne ufficialmente impero Austro-Ungarico, e Budapest ebbe la possibilità di eleggere un proprio parlamento. Ovviamente questa quasi-indipendenza originò grande entusiasmo popolare, orgoglio nazionalistico e un prepotente fermento culturale, incluso il desiderio di creare un’arte veramente autonoma e libera dall’influenza tedesca.
In questo contesto, stimolati anche dal rinnovamento internazionale del Liberty, molti architetti ebbero la possibilità di cercare nuove forme espressive.
Odon Lechner (1845-1914), al pari di Gaudì, lasciò la propria impronta sulla capitale del suo paese. Per celebrare l’origine orientale del suo popolo (gli Ungari giunsero in Europa dall’Asia centrale, sostenendo di essere della stessa stirpe degli Unni) inserì elementi asiatici nelle strutture delle progettazioni, ovviamente perseguendo anche la bellezza estetica delle forme.
Il Museo delle Arti Applicate (in alto un interno) e la Cassa di Risparmio (in basso una guglia) sono solo alcuni esempi del suo stile così curato e attento ai dettagli. La sua mano ha plasmato molti altri edifici pubblici e privati della capitale magiara.

Capitolo 7

“La prego di andarsene”.
“Mi dica almeno in che stanza si trova”.
“La prego di andarsene”.
“Chi la accompagna? La mamma, alcune domestiche?”
“La prego di andarsene o la faccio buttare fuori a calci”.
La mattinata lavorativa è iniziata veramente male. I dipendenti dell’hotel Yamano non collaborano per niente. Soichiro voleva solo ricevere qualche informazione minima, tanto per imbastire una bozza di articolo. E’ una banale cronaca mondana, basterebbero un paio di pettegolezzi tipo: il colore del vestito che indossava e il numero delle domestiche che si è portata dietro.
Però niente da fare: l’addetto alla reception e il portiere non offrono alcun aiuto. Forse la cameriera in giardino sarà più loquace.
“La signorina Yoshizu è arrivata qui stamattina, giusto?”
“La prego di andarsene”.
“Volevo”
“La”
“Solo sapere”
“Prego”
“A che ora più o meno…”
“Di andarsene”.
Rimane il giardiniere, a cui magari potrebbe offrire una piccola mancia per corromperlo...
“Abbiamo ordini ben precisi, non ci metta nei guai”.
“Ho qualche yen in tasca…”
“La prego di andarsene”.
Incredibile, mai visto un clima del genere! Neppure per l’Imperatore in persona avrebbero creato un tale muro di silenzio! L’unica possibilità che gli rimane è gironzolare nei dintorni dell’hotel Yamano sperando di raccogliere qualche pettegolezzo dai clienti.
Però non c’è nessuno nei paraggi, tranne un ometto avvolto in uno yukata molto più largo delle sue spalle. Sembra un bambino con addosso un vestito di suo padre. E ha un viso famigliare…
“Takeshita!”
“Suzuki!”
Takeshita Noboru rappresenta la concorrenza. E’ un redattore di cronaca mondana per il secondo giornale più importante del Giappone, perciò in teoria dovrebbero essere concorrenti l’uno dell’altro e magari odiarsi reciprocamente. Ma come si fa a odiare la propria immagine riflessa allo specchio? Come si può provare risentimento per una copia di se stesso? Sono due esseri speculari: entrambi orfani, entrambi marginali nel loro lavoro, entrambi costretti ad obbedire ad un’infinita schiera di superiori. E così sono diventati amici.
“Allora, si sa nulla della signorina Yoshizu?”
“Ho scoperto che risiede all’hotel Yamano”, sussurra Soichiro fingendo di rivelare un oscuro segreto.
“Non scherzare Suzuki, io francamente mi sento demoralizzato. Possibile che non si riesca a reperire neppure mezzo pettegolezzo per scrivere uno straccio di articolo? Se non spedisco il mio pezzo entro stasera sono rovinato. Già immagino il mio capo: ‘Maledizione Takeshita! Dovevi solo prendere informazioni su una ragazza in vacanza alle terme, mica sull’ambasciatore americano in visita riservata dal primo ministro! E’ tanto difficile?’… Va a finire che mi licenziano!”
“Dai, vedrai che prima del tramonto qualcosa scopriamo. Al limite ce lo inventeremo!”
Noboru sospira. Il suo umore è pessimo.
“E se andassimo a fare un bagno per rilassarci?”, gli propone Soichiro, che sta cominciando a pensare come Tezuya.
“Non mi sembra il caso…”
“Ma dai, tanto per ora non possiamo fare nulla. E poi è assurdo stare alle terme di Hakone senza fare neppure un’abluzione!”
Takeshita si lascia convincere. “Ma si, andiamo. Il padiglione di Ashinoko appare proprio invitante stamattina”.
Soichiro (anzi, Tezuya) si rammenta all’improvviso dell’episodio della sera prima. Anche se ora i bagni sono aperti, passa attraverso il cancello quasi di soppiatto, con l’imbarazzo di un ladro che torna nel luogo dove ha commesso un furto. Le vasche sono piene di villeggianti che ammirano le acque cristalline del lago e i versanti boscosi della riva opposta. Per fortuna il settore maschile è separato da quello femminile con una palizzata alta due metri, altrimenti potrebbe saltare fuori una donna e svergognare pubblicamente un guardone che l’ha spiata la sera precedente…
“Tutto a posto? Sembri agitato”.
“Non è niente Noboru, sento solo caldo”.
I due giornalisti entrano nello spogliatoio, ma non fanno neppure in tempo a sfilarsi gli zoccoli. Un ragazzo con la divisa da fattorino irrompe all’improvviso e chiede chi dei due sia il rispettabile signor Suzuki Soichiro, alloggiato presso l’hotel Tamaki.
“La prego di seguirmi”.
“Posso sapere dove?”
“Sia così gentile da seguirmi. Le verrà spiegato tutto dalla persona che vuole incontrarla”.
“Beh, temo che non potrò farti compagnia”, sospira Soichiro.
Takeshita rimane in silenzio, osservando il suo amico - che poi non dovrebbe essere suo amico - mentre con passi nervosi segue il fattorino rigido e impeccabile dentro un’elegante divisa azzurra.

Accanto all’hotel Yamano c’è una piccola dependance molto lussuosa. E’ riservata alla clientela più prestigiosa, quella che costituisce il vanto dell’albergo.
‘Possiamo dire con orgoglio di aver ospitato il ministro Tale e il generale Talaltro…’
Attraversano l’atrio, costruito in stile europeo, con colonne di marmo e fregi sul soffitto, e molti quadri a olio di paesaggi idilliaci. Sulla destra invece c’è una stanza per il tè con tutti gli elementi tradizionali giapponesi: vuoto, sobrietà e penombra.
“Si accomodi”.
Di fronte al tavolino basso siede una giovane donna con un elegante kimono rosso, e Soichiro purtroppo la riconosce subito…
Il fattorino chiude la porta e li lascia da soli.
“Questi sono suoi”, esordisce la ragazza con tono deciso porgendogli un paio di zoccoli, quelli che lui ha perso la sera prima mentre fuggiva in mezzo al bosco… “C’era inciso a fuoco il logo dell’hotel Tamaki, la mia domestica ha fatto qualche domanda e ci ha messo un attimo a risalire a lei”.
Soichiro vorrebbe scomparire. Questa è una situazione in cui occorre la faccia tosta di Tezuya. “Mi permetta di spiegarle…”
“Non c’è bisogno che dica nulla, so già tutto”, lo interrompe con estrema sicurezza di sé la ragazza. “Immagino la sua soddisfazione quando mi ha visto ieri sera. Voglio sapere solo una cosa, e la prego di essere sincero: ha già telegrafato la notizia al suo giornale?”
“No”, replica confuso Tezuya senza aver afferrato il senso di quelle parole.
“Perfetto. E allora mi stia bene a sentire: sono stata un'idiota a farmi prendere da certe smanie proprio in quel momento, quindi le chiedo di dimenticare tutto. Potrei corromperla offrendole del denaro, ma presumo che la possibilità di fare un piccolo scoop valga più di qualunque somma, perciò le offro qualcosa di molto più prezioso”.
Con un gesto rapido delle mani la ragazza si scioglie l’obi e fa cadere il kimono a terra. Nuovamente nuda di fronte a lui.
“Io sono vergine. E’ stato un grosso sacrificio per me, ma d’altronde l’obiettivo che mi è stato proposto vale lo sforzo che sto facendo”.
“Mi vuole offrire la sua…”
“No, non sia stupido. Ovviamente non posso, questo lei dovrebbe capirlo”.
Invece Tezuya non sta capendo assolutamente nulla. Ma per fortuna le prossime parole della ragazza saranno chiarificatrici.
“Però le posso garantire che una donna non ha bisogno di concedersi interamente per dare piacere a un uomo. Esistono delle alternative persino più allettanti… Le principesse di Heian sapevano mantenere intatta la propria virtù sino al matrimonio senza deludere i loro amanti. Una mia amica fidata mi ha fornito dei manuali molto dettagliati sull’argomento, e abbiamo anche fatto pratica insieme. Io le posso dare ciò che nessuna donna le potrà mai far avere. In cambio lei deve scordarsi di avermi visto intenta in… attività sconsigliate alle giovani donne. Anzi, lei dovrà scrivere degli articoli in cui compaio come una ragazza seria e virtuosa, la fidanzata ideale per il principe primogenito”.
Ma è la signorina Yoshizu! La ragazza che gli sta accanto nuda è la potenziale futura imperatrice del Giappone!
“Io… posso aiutarla volentieri, certo. Entro stasera devo inviare il mio primo articolo, quindi mi dica lei cosa potrei…”
“Perfetto, le suggerisco io quello che deve scrivere. Sarà ampiamente ricompensato per la sua collaborazione”.

La signorina Sakura della onorevole famiglia Yoshizu è una ragazza molto riservata, e per evitare di essere notata dalla stampa è giunta a sorpresa ieri sera anziché stamattina. Il suo contegno e il suo decoro appaiono impeccabili

“Si prepari a un’esperienza indimenticabile perché lo so fare meglio di qualunque prostituta di Yoshiwara”.

Risiede nell’hotel Yamano, uno dei più belli di Hakone, nella camera n. 25, da dove è possibile ammirare il lago Ashi in tutto il sui splendore. E’ una ragazza rispettosa delle antiche tradizioni. Mantiene sempre gli occhi bassi e la testa chinata

E’ vero, ha gli occhi bassi e la testa chinata. Chinata proprio sopra il pube di Tezuya…

Al momento dell’arrivo indossava una stupendo kimono rosso con decorazioni floreali bianche, di una finezza straordinaria. E’ stato realizzato da una famosa sartoria di Kyoto, e sembra fatto apposta per essere

Buttato a terra come uno straccio e allontanato con una manata, perché se ci colano sopra certi liquidi organici potrebbe rovinarsi…

Negli hotel di Hakone si svolgono numerosi ricevimenti mondani, e la signorina Yoshizu sarà sicuramente invitata a ognuno di essi. Tuttavia è verosimile che eviterà di partecipare poiché è estremamente timida. Ho saputo da alcune fonti affidabili che ama ritirarsi in una piccola sala da tè nella dependance dell’hotel Yamano, per gustare in silenzio la sua bevanda favorita

“Un infuso di peonie e foglie di mandarino è la cosa migliore per togliersi dalla bocca il saporaccio del seme maschile. Lo vuole assaggiare? L’infuso intendo!”
Tezuya fa cenno di si con la testa, ma in realtà non ha ancora realizzato completamente ciò che é successo negli ultimi cinque minuti. Comunque ha il suo articolo pronto, e questa è una buona notizia.
“Ci vediamo anche nei prossimi giorni”, spiega la signorina Yoshizu. “Mi farò viva io. Adesso esca per favore!”
Un uomo trasognato, una via di mezzo fra Soichiro e Tezuya, si allontana dalla stanzetta. Viene scortato fuori dalla dependance tramite una porta di servizio, e sbuca in mezzo al fogliame fitto di un giardino all’inglese.

“Suzuki!”
La voce di Takeshita lo risveglia dallo stato di confusione mentale in cui si trovava. Ha vagato sul lungolago per una ventina di minuti cercando di dare un senso a ogni cosa, senza riuscirci.
“Cosa volevano da te?”
“Niente, tutto a posto”, replica Tezuya ritrovando il controllo di se.
“Ma cosa è successo?”
La capacità di inventare bugie in pochi istanti è una specialità dello scrittore. “Era solo un messaggio da casa. Mia nonna ha la pessima abitudine di pensare che ogni suo capriccio sia urgentissimo, e me lo vuole comunicare subito, anche per telegrafo. Dice sempre che ha la sensazione di morire da un momento all’altro, e vuole dirmi ogni cosa immediatamente perché se tarda anche solo di un minuto potrebbe non essere più di questo mondo”.
“Capisco. Cosa voleva?”
“Roba da vecchie nonne”, taglia corto Tezuya. “Ora però scusami, ma devo correre all’ufficio postale a mandarle una lettera”.
Una donna li osserva da lontano, e ascolta la conversazione con un sorriso ironico sulle labbra. “Murasaki Tezuya, stai attento a non scherzare troppo con le vecchie nonne che possono morire da un momento all’altro. Potresti avere delle brutte sorprese…”

giovedì 29 aprile 2010

Capitolo 8

Il resto del giorno è trascorso tranquillo.
Soichiro ha inviato il suo articolo al quotidiano. Ha incontrato nuovamente Takeshita che era ancora senza idee, allora gli ha confidato che la signorina Yoshizu è arrivata indossando un kimono rosso con decorazioni floreali bianche. Praticamente Soichiro ha fornito informazioni preziose alla concorrenza. Roba da licenziamento immediato. Ma anche un bel gesto di amicizia con cui si è guadagnato ulteriore stima da parte di Noboru.
Nel primo pomeriggio si è recato a Ubaku per concedersi finalmente un bagno termale, e verso sera si è calato nei panni di Tezuya e ha provato ad abbozzare qualche idea per il romanzo. Purtroppo senza esito.

Il nuovo giorno incomincia col cielo nuvolo e una pioggerellina sottile. Le acque del lago Ashi appaiono increspate, gelide, e il sole non ha alcuna voglia di farsi vedere.
Una giornata che si preannuncia grigia e piovosa, col rischio concreto che si debba rimanere chiusi in hotel e il professor Komatsu ne approfitti per prendere in ostaggio lui e gli altri clienti, seppellendoli sotto interminabili chiacchiere sull’arte della calligrafia e il teatro Noh…  Ottimi motivi per restare barricato in camera e gustare molto lentamente gli onigiri insipidi che la cameriera bassa e brutta gli ha portato in camera per fare colazione.
Qualcuno bussa.
“C’è una visita per lei”.
“Una donna?”
“No, un uomo. La attende giù nella veranda”.
Per essere un soggiorno solitario non c’è male: ha avuto più contatti con altri esseri umani qui negli ultimi due giorni che a Tokyo nei cinque precedenti. La capitale purtroppo è un carnaio, con milioni di persone ammassate che vivono a stretto contatto ma spesso neppure si conoscono. Pensa ad esempio ai suoi colleghi giornalisti che saluta ogni giorno:
Kuroda - in che strada vive? E’ sposato? E’ tokyota o viene da un’altra città?
Fuguno - quanti anni ha? A Osaka aveva una famiglia o stava lì solo perché lavorava alla sede centrale del giornale? E’ contento di essere stato trasferito nella filiale di Tokyo?
… e potrebbe farsi le stesse domande per tutti gli altri. Purtroppo vivono in una città talmente alienante che chiunque ci abiti finisce col disumanizzarsi, col diventare un…
“Incisore scansafatiche al suo servizio, rispettabile signor Murasaki!”
Abe Akira! E’ venuto a fargli visita! Beh, questo cambia tutto. Tokyo sarà pure una città alienante, ma c’è chi riesce a mantenere un livello più che accettabile di umanità.
Il professor Komazu, che non si allontana mai dalla veranda, si aggiusta gli occhiali per osservare meglio questo strano tizio dall’aria trasandata.
Barba di tre giorni, capelli lunghi e spettinati, una giacca nera da ricevimento serale abbinata con calzoni verdastri da operaio e una camicia bianca con tre bottoni mancanti. Ai piedi degli infradito di paglia…
L’incisore si accorge di essere attentamente esaminato, e con estrema naturalezza si volta in direzione del docente rivolgendogli un sorriso ambiguo. Ma un attimo dopo la sua attenzione è tutta per Soichiro (o forse è meglio dire Tezuya).
“Che piacere vederti! Ti ringrazio ancora per la sorpresa dell’altra sera, davvero speciale”.
Akira resta perplesso. Non capisce a cosa si stia riferendo il suo amico scrittore, ma si limita a chiedere: “Come va il romanzo?”
“Sono fermo”, risponde a bassa voce Tezuya mentre lo trascina via per un braccio e lo fa accomodare nella sua camera, piccola ma priva di ascoltatori impiccioni.
“Ancora tante pagine bianche, eh? Per forza, ti manca il personaggio! E’ per questo che sono venuto. Ieri notte il mio collega mi ha dato una copia di quella stampa che ti piaceva, e ho voluto consegnartela di persona”.
Da una tasca interna della giacca esce un rotolo di carta, che in un attimo si distende mostrando la ragazza nuda seduta sul tappeto.
“Ecco la protagonista femminile del romanzo che stai per scrivere”.
“L’originale però era molto meglio. Bella ragazza, e anche affascinante”.
“Già, mi piacerebbe proprio conoscerla!”
Stavolta è Tezuya ad avere l’impressione che qualcosa non quadri. “Scusa tanto Akira, ma tu la conosci. Non sei stato tu a farla venire in camera mia l’altra sera?”
“Non so di cosa stai parlando”.
Abe Akira è sincero. Una volta ascoltata tutta la storia riesce solo a dire: “Ti giuro che non ho la minima idea di chi diavolo fosse quella donna”.
“Assurdo. Eppure sembrava proprio che…”
Bussano nuovamente.
“Signor Suzuki, c’è un telegramma urgente per lei”.
I due amici si guardano negli occhi. Nessuno dei due dice nulla, ma entrambi hanno il sospetto che la misteriosa ragazza della sera prima abbia qualcosa a che fare con questo telegramma…
La mano ossuta della signora Tamaki porge il foglietto attraverso la porta socchiusa, e sparisce.
L’involucro rivela il seguente messaggio:

Tua nonna sta per essere uccisa da un assassino. Corri da lei se vuoi salvarla

“Che razza di telegramma è?”, commenta Akira.
Soichiro sente un brivido di terrore. “Me l’aveva detto quella donna misteriosa! Come se fosse uno scherzo, come una possibile trama per il romanzo!”
Rapidamente spiega al suo amico che quella donna aveva ipotizzato una storia perversa, in cui la protagonista femminile uccide la nonna del personaggio principale per aiutarlo a intascare l’eredità…
“Allora ti conviene lasciarla fare…”
“Per favore Akira, temo che non sia uno scherzo!”
“Ma sembra così assurdo…”
“Decisamente assurdo, ma purtroppo sembra che stia accadendo davvero! Perciò devo andare subito da mia nonna! E’ evidente che quella donna era una pazza sadica, un’assassina!”
“Però non puoi andare a Tokyo con lo yukata e gli zoccoli dell’albergo…”
“Devo perdere tempo a vestirmi mentre stanno uccidendo mia nonna?”
“Va bene, andiamo”. Abe Akira non riesce a calarsi nella gravità del momento. E’ impossibile per lui. Vive ogni situazione come se fosse una recita teatrale da cui si può fuoriuscire a piacimento, basta dire al regista: ‘Per oggi mi sono stufato’, si scende giù dal palco e la situazione finisce lì.
“Corri Abe, datti una mossa!”
“Si, vengo, un attimo”.
Alcuni villeggianti si sono concessi una passeggiata, ben protetti da larghi ombrelli colorati. Forse volevano osservare le ranocchie che gracidano, invece notano un turista che corre scalzo con gli zoccoli in mano e un tizio con una giacca nera e infradito di paglia che prova a stargli dietro. Ma perché vanno tanto di fretta? E come mai non si riparano dalla pioggia?
“Guarda che è inutile affannarsi così”, prova a spiegare Akira. “Il prossimo treno per Hodawara è fra un’ora”.
“E cosa faccio nel frattempo?”, si dispera Soichiro.
“Puoi mandare un telegramma alla polizia di Tokyo”.
Giusto suggerimento. L’ufficio postale è proprio accanto alla stazione ferroviaria di Togendai.
“Il destinatario del messaggio é il commissariato di Tokyo”.
“Quale? Ce ne sono tanti…”, fa notare l’impiegato.
“Il più vicino a Inaricho”.
“E’ un po’ generico… Comunque va bene lo stesso. Cosa devo telegrafare?”
“Shigezugu Yoko, Inaricho, casa dei gatti rossi. Un assassino vuole ucciderla”.
L’impiegato osserva attentamente Soichiro. Ha l’aria di un dottore che scruta un malato di mente per capire bene la sua sindrome…
“Non è uno scherzo, glielo giuro!”
“Va bene. Sono cinque sen”.
“Devo pagare cinque sen per avvisare la polizia che un assassino minaccia mia nonna?”
Evidentemente si.
Dopo pochi minuti lui e Akira raggiungono il binario dei treni per Tokyo. Trenta minuti di attesa.
“Ma quanto ci mette?”
“Sta calmo, hai avvisato le forze dell’ordine. Vedrai che andrà tutto bene”.
Soichiro non crede affatto che andrà tutto bene, è sconvolto. Lo stridio delle ruote metalliche sui binari gli entra nelle orecchie come un ago affilato, gli perfora dolorosamente i timpani. La voce cupa dell’altoparlante elenca le fermate del treno simile a una litania infernale mentre scandisce oscure maledizioni.
Si accomoda e si guarda attorno. I passeggeri del suo vagone hanno tutti il volto ombroso, sorrisetti demoniaci che sembrano irriderlo… E all’improvviso gli ritorna in mente quella strana donna e la sua voce inquietante:
Lei prenderebbe il treno per Tokyo la mattina presto, andrebbe a casa della nonna, la ucciderebbe e ritornerebbe subito alle terme’… ‘Si aspetti di tutto’…
“Era un’assassina paranoica, e io non l’avevo capito!”
Mentre si dispera gli vengono in mente altre parole:
Basta che lui le consegni le chiavi di casa’…
Terrorizzato, Soichiro infila le mani nella tasca dello yukata e si mette a frugare. “Le chiavi! Mi ha rubato le chiavi di casa! Può entrare quando e come vuole!”
I passeggeri si voltano tutti in direzione di quello strano tizio vestito come un villeggiante.
“Calmati, ti prego”, prova a tranquillizzarlo Akira.
Calmarsi? E’ impossibile. Il viaggio è interminabile, e ogni minuto che passa l’angoscia aumenta…
“Ma quanto tempo ci vuole?!”
Hodawara, il cambio di treno, poi la fermata a Kanagawa, poi quella a Kawasaki… Un’ora che sembra non finire mai. Intanto, davanti agli occhi di Soichiro prende forma la figura di sua nonna sgozzata, gettata in terra in un lago di sangue, il volto pietrificato in un’espressione di orrore. E poi sente la sua voce…
Tu non vuoi la mia salute, vuoi vedermi morta. In fondo sono una vecchia, sono un peso per te’… ‘E se mi sentissi male all’improvviso? Chi mi verrebbe a soccorrere?’… ‘Sei stato al tempio a pregare per la mia salute?’…
No, non c’è stato. Le aveva promesso che, appena arrivato a Hakone, avrebbe pregato per lei nel tempio di Ninigi. Invece non ci è più andato.
“E’ morta per colpa mia! Non sono rimasto con lei, non ho neppure recitato delle orazioni per lei!”
“Non ti agitare Tezuya, vedrai che la polizia è arrivata in tempo”.
Ma le parole di Akira suonano come rassicurazioni inutili. Soichiro abbandona la testa fra le mani e inizia a piangere.
“E’ colpa mia!”

La stazione di Ueno è affollatissima. Sono quasi le quattordici, eppure sembrano le sette di mattina, bisogna farsi strada passando in mezzo a un fiume di gente che cammina in direzione opposta. E’ come remare controcorrente.
“Scusate, scusate”.
Per la prima volta in vita sua Soichiro si fa largo a gomitate. Ormai vede la casa in lontananza, nulla potrebbe fermarlo. Va talmente veloce che si lascia Akira alle spalle.
Una corsa fino alla porta e poi inizia a bussare come un pazzo.
“C’è nessuno?! C’è nessuno!? Guardate che sfondo la finestra!”
“Arrivo subito”, risponde una voce femminile…

Divertissment

Talvolta mi piace scrivere solo per divertimento. Cosette leggere, tipo il compendio sui centri commerciali o i consigli per i quarantenni. Poche righe ironiche in libertà.
In passato mi è capitato di scrivere "divertissment" anche più lunghi, racconti e romanzi buttati giù seguendo un'ispirazione improvvisa in cui lo scopo era solo quello di rilassarmi (scrivere è anche una forma di relax, lo sapevate? ;-)
Nella giornata di ieri ho avuto un raptus creativo del genere. Sono andato avanti a ruota libera, e già solo la bozza è venuta fuori abbastanza lunga. Sono situazioni che vivo con sollievo perché quando ritrovo il piacere di scrivere ritrovo anche quello della vita quotidiana, nonostante alcuni problemi materiali che purtroppo restano. Perciò sono certo che nei prossimi giorni asseconderò questa "opera" che vuole uscire gioiosamente dalla mia testa.
Di queste cose scritte solo per il piacere di essere scritte ho sempre pensato che, trattandosi di una sorta di sfogo personale, hanno un valore espressivo esclusivamente per me, mentre agli occhi di un eventuale lettore sembrerebbero ridicole o insulse.
Chissà se invece, con qualche aggiustamento, potrebbero diventare presentabili...
Capitolo 9

Si, una voce di donna. Una voce che Soichiro conosce bene.
“Sei arrivato, alla buon’ora!”
“Nonna! Tutto a posto?”
“Si, tutto a posto. Ma non per merito tuo! La polizia è arrivata prima di te”.
Proprio in quell’istante giunge Akira, con un gran fiatone.
“Chi è questo tizio?”, domanda la signora Shigezugu.
“E’ un mio amico nonna”.
“Ah, hai portato i rinforzi. Per questo hai tardato. Male! Dovevi correre subito, anche a costo di venire da solo!”
“Ma si può sapere cosa è successo?”
“E’ successo che hai dimostrato di non essere affidabile! Come mi avevi detto prima di partire? ‘Sto a Hakone, in caso di emergenza basta un’ora di treno e sono da te’… Certo, come no! Ho mandato il telegramma stamattina alle dieci, e ti ci sono volute quattro ore per venire da me!”
La faccia di Soichiro si solidifica in una maschera di totale sconcerto. Akira invece è sufficientemente lucido da capire, e comunque chiede conferma: “Mi scusi signora Shigezugu: se ho compreso bene è stata lei a inviare quel telegramma in cui si parlava di un assassino?”
“Certo. Volevo mettere alla prova questo inetto di mio nipote! Volevo che si rendesse conto di quanto sia stato sciocco e superficiale a lasciarmi da sola, dicendo che in un’ora sarebbe tornato a casa a soccorrermi in caso di pericolo. Non le sembra un comportamento idiota?”
Akira evita di rispondere. E’ un artista trasgressivo e sregolato, ma non si permetterebbe mai di insultare una donna anziana con evidenti problemi di demenza senile…
Intanto, dall’oscurità della casa emergono due poliziotti.
“Loro sono venuti a salvarmi, non te!”, urla la signora Shigezugu.
“Li ho avvisati io nonna! Gli ho mandato un messaggio telegrafico!”
“Ah, è stato lei”, commenta uno dei due uomini in divisa. “Quindi è lei il coglione che ci ha fatto sprecare tempo prezioso per questa buffonata!”
“C’è un equivoco, io…”
“Si rende conto di quanto è stato idiota il suo comportamento?”, gli urla in faccia il secondo poliziotto.
“Lo vedi? Anche questi due bravi signori si sono accorti subito di quanto sei idiota!”, interviene la nonna.
Idiota. Le autorità cittadine e quelle domestiche glielo ripetono più volte, lo rimproverano, lo condannano. Soichiro china la testa e curva la spalle, ascoltando in silenzio. Anzi, neppure ascolta: semplicemente si ritira su se stesso come se rimpicciolisse, come se cercasse di diventare insignificante anche nel corpo. Una nullità.
“Che non si ripeta mai più una cosa del genere o lei verrà denunciato per procurato allarme!”, conclude il primo poliziotto.
“Vergognati! Sei il disonore di questa casa!”, aggiunge la signora Shigezugu. “E adesso vattene, tornatene pure a Hakone a divertirti mentre io sto qui a rischiare la vita! Scommetto che non sei neppure andato al tempio a pregare per me!”
Soichiro si volta e si allontana senza dire una parola.
Akira invece azzarda un “Arrivederci signora” e corre verso l’amico scrittore. Prova anche a scherzare: “Te l’avevo detto che era meglio farla assassinare dalla donna misteriosa, no?”
Nessuna risposta. Non ha voglia di parlare. La signora Shigezugu ha distrutto la sua vita come Suzuki Soichiro, e va bene, glielo può concedere come forma di riconoscenza per averlo cresciuto. Ma ora ha appena annientato la sua seconda vita illusoria, quella come Murasaki Tezuya.
Abe Akira era l’unica persona al mondo di fronte alla quale lui era sempre stato Tezuya, scrittore disinvolto che fa il giornalista a tempo perso e vive con una nonna innocua e rimbambita. In un attimo questa sua seconda identità è stata distrutta. Da oggi, anche di fronte all’amico incisore, lui è soltanto Suzuki Soichiro, piccolo giornalista con ridicole velleità da scrittore. Una nullità, un ometto insignificante che si fa mettere i piedi in testa da tutti.
“Visto che siamo entrambi a digiuno, perché non andiamo a pranzo?”
“Non ho fame Akira”.
“Dai, non prendertela troppo”, lo incoraggia Abe. “Andiamo a Asakusa, ci sono tante trattorie dove si mangia bene e si spende poco”, e prendendolo per un braccio lo trascina verso un intenso profumo di frittura e salsa di soia.
“Guarda quello”, gli dice mentre indica un ristorantino con il tetto spiovente e un nome quasi sacrale sull’insegna. “Somiglia a un tempio. Andiamo a recitare qualche preghiera per tua nonna. Un paio di orazioni a base di gamberetti e yakiudon, dai!”.

La società umana nel suo complesso può essere ripugnante, ma alla base di tutto ci sono le singole persone. E la singola persona registrata all’anagrafe come Abe Akira riesce a far dimenticare la società, le vicissitudini personali e le singole persone sgradite come la nonna, il capo Kimura e il collega Hosono.
“Prendi il lato positivo di questa mattinata assurda: la situazione che hai appena vissuto potrebbe essere uno spunto per il tuo romanzo”.
“Il mio editore lo straccerebbe subito. E se per caso gli piacesse, lo straccerei io!”
Tezuya si sta riaffacciando timidamente nella mente di Soichiro. Ma solo per un attimo, perché all’improvviso gli viene in mente una cosa alla quale non aveva ancora pensato, e gli crea una certa agitazione. Si guarda attorno con aria sospetta.
“Che c’è Tezuya, qualche problema?”
“Si. Stavo pensando che se mi vede qualche collega del giornale sono finito. In questo momento dovrei stare a Hakone a raccogliere notizie sulla signorina Yoshizu. Se mi beccano qui a Tokyo che cosa gli racconto per giustificarmi?”
“Gli spieghi che il celeberrimo incisore Abe Akira ti ha convocato per una rivelazione esclusiva: la signorina Yoshizu avrebbe posato nuda per lui, e può anche mostrarti una copia della stampa che la ritrae senza veli”.
Akira scherza, senza immaginare che la sua battuta non é tanto lontana dalla realtà…
“Ora però è meglio che io vada. Vuoi tornare a Hakone anche tu a farmi compagnia?”
“No Tezuya, non fa per me. L’aria pulita del lago Ashi mi fa male ai polmoni, io ho bisogno di respirare la sporcizia e il caos di Tokyo. Mi piacciono il disordine e i vizi delle grandi città, e Tokyo è anche troppo virtuosa. Se solo potessi vivere a Parigi!…”

Un’ora e mezzo dopo Soichiro è di nuovo sul treno, sfinito. A Hodawara piovigginava, e così mentre aspettava la coincidenza per Togendai si è completamente bagnato, e visto che indossa yukata e zoccoli ha l’aria di uno che è appena uscito da un bagno termale e invece di cambiarsi d’abito è montato sul treno… Gli altri passeggeri lo guardano di sottecchi e ridono. Proprio come stamattina: altro che sorrisetti demoniaci, lo stavano solo prendendo in giro. E la voce dell’altoparlante non è infernale, semmai banalmente distorta dal microfono.
“Devo iniziare a scrivere il romanzo” pensa Tezuya.
“Devo assolutamente scrivere l’articolo per il giornale”, aggiunge Soichiro.
Sono le sei di sera e continua a piovigginare. Camminando lentamente, come se non si accorgessero delle gocce d’acqua che gli cadono addosso, lo scrittore e il giornalista percorrono il lungolago in direzione dell’hotel Tamaki.
Quando entrano nella veranda hanno i capelli fradici che gli cadono sugli occhi, il volto stremato e uno sguardo talmente bizzarro che nessuno ha il coraggio di chiedergli nulla, neppure il professor Komazu.
Entrati in stanza Soichiro ha il sopravvento. Nota una cosa metallica che brilla sul pavimento: le chiavi di casa… Altro che rubate dalla donna misteriosa, gli erano semplicemente cadute in terra!
“Va bene, adesso però devo scrivere l’articolo”.
Carta, penna e fantasia. Ma mentre si inginocchia un’ombra appare improvvisamente alle sue spalle…



Capitolo 10

L’ombra lo sovrasta in silenzio. Due mani affilate gli si avvicinano al collo e… gli tappano la bocca mentre una voce femminea e autoritaria lo invita a stare zitto.
“Si può sapere che fine hai fatto? Sei sparito per tutta la giornata!”
E’ la signorina Yoshizu. Non riesce ad accettare che altri esseri umani possano sfuggire ai suoi desideri e alla sua volontà.
“Dove sei stato?”
“Sono dovuto correre a Tokyo per una questione famigliare… E’ troppo difficile da spiegare”.
“Mi stai facendo qualche scherzo? Non mi dire che hai raccontato cose compromettenti al tuo capo…”
“No, glielo giuro! Il giornale non c’entra niente, si trattava di una faccenda privata”.
Yoshizu Sakura sembra diffidente, ma d’altronde lo sguardo di Soichiro appare sincero. E poi sinora è stato ai patti.
“Stamattina ho letto sul quotidiano l’articolo che ti ho dettato ieri. Ottimo risultato, la mia domestica ha raccolto diversi commenti in giro e tutti dicevano che ero proprio la ragazza ideale per diventare imperatrice. Però dobbiamo insistere”.
“Certo. Ho appena preso carta e inchiostro proprio per scrivere il pezzo per domani. Mancava solo lei, ma non sapevo come contattarla”.
“Ci penso io a farmi viva, te l’ho già detto. Hai mangiato?”
“No, non ancora”.
“Bene, ti ho portato io la cena. Ti farò gustare cose che solo pochissimi uomini hanno potuto assaggiare. In cambio sai già cosa devi fare”.
“Detti pure, io scrivo”.

La signorina Yoshizu è una ragazza moderna ma con un’anima autenticamente giapponese, anche dal punto di vista gastronomico. Pur avendo avuto la possibilità di conoscere la cucina internazionale, i suoi piatti preferiti restano quelli tipici del nostro paese, specialmente i più amati dalla gente comune come gli spaghetti ramen. Ella ricerca la semplicità e la tradizione anche nelle stoviglie in cui mangia. La sua posizione le permetterebbe di utilizzare pregiati servizi di porcellana importati dall’Europa, ma preferisce utilizzare le ciotole tradizionali in legno oppure

“Il corpo nudo di una donna come vassoio per il proprio pasto. E’ un’antica forma di perversione dei grandi feudatari”, spiega la signorina Yoshizu mentre dispone alcune pietanze sulla propria pelle.

Le piace molto il pesce, comprese le trote che si possono pescare nel lago Ashi. In questi giorni ne potrà gustare a volontà, lessate e senza troppi condimenti perché preferisce che mantengano il loro sapore naturale

“Gusta la carne”, gli dice mentre si fa scorrere un pezzo di pesce sulla coscia, “Gusta entrambe le carni…”

Oggi ha particolarmente apprezzato i dolci di riso tipici di Hakone, piccole palline tonde e morbide che vanno sapientemente impastate dalle mani esperte di un cuoco

“Senti come sono tonde e morbide. Impastale, dai”, ordina a Soichiro trascinandogli le mani verso due dolci di riso spalmati sopra due forme carnose, ugualmente tonde e morbide.

Al termine di ogni pasto sorseggia delicatamente del tè maccha per favorire la digestione. Ha numerose domestiche a sua disposizione che potrebbero prepararglielo, ma preferisce farselo da sola, con movimenti aggraziati e eleganti appresi dalle migliori istitutrici del paese. Per la signorina Yoshizu il tè è un’autentica passione, e ne conosce tutti i segreti

“Alcuni shogun lo bevevano solo se veniva filtrato nel pube di una vergine. Questo l’ho filtrato io, su me stessa. Non trovi che abbia un sapore speciale?”
Soichiro fa segno di si con la testa, ma non è molto convinto. Comunque ha sicuramente apprezzato la cena, e soprattutto il vassoio.
“Adesso corri subito all’ufficio postale a spedire l’articolo!”, gli intima di colpo la signorina Yoshizu.
“Si, vado. Ma lei come farà a uscire da qui senza farsi vedere da nessuno?”
“La signora Tamaki mi farà gentilmente passare attraverso le sue stanze private. Ma non ti preoccupare di queste cose, vai!”
“Per domani come ci incontriamo?”
“Organizzo tutto io. Adesso muoviti!”
Yoshizu Sakura è una viziata primogenita, ed é abituata ad essere interrotta solo da suo padre. Tutti gli altri devono stare zitti quando lei parla, e soprattutto devono obbedire ai suoi ordini. Il remissivo Soichiro è il soggetto ideale per adattarsi a questa indole autoritaria, e così, anche se vorrebbe farle altre domande e spiegarle che c’è tempo sino alle ventidue per spedire la corrispondenza, smette subito di parlare e si precipita fuori dell’hotel per correre a tutta velocità verso Togendai.
Per la terza volta cammina sotto la pioggia. Non ha pensato che poteva farsi prestare un ombrello dal signor Tamaki. Invece dei bagni termali oggi ha fatto i bagni pluviali. Pazienza, in fondo la giornata era cominciata male e invece è finita bene, e questa è una cosa positiva.
Incredibilmente, alla posta ritrova lo stesso impiegato della mattina.
“La polizia ha potuto fermare l’uomo che voleva assassinare sua nonna?”
“Ma era solo uno scherzo, non mi dica che ci aveva creduto!”
“Le giuro che sembrava proprio sincero”.
“So recitare molto bene. Mi raccomando, questa lettera domattina deve essere in consegna a Tokyo”.
Mentre percorre la strada a ritroso verso l’hotel, Soichiro nota che sopra le acque del lago si sono formate delle esalazioni di vapore. Ormai è giunta la notte, e una foschia biancastra sta avvolgendo entrambe le rive. Sui versanti del monte Komagatake scende la nebbia.
Finalmente ha smesso di piovere, ma la sensazione di umidità aumenta anziché diminuire. Un denso fumo grigio inizia ad avvolgere ogni cosa. Il rosso del portale sacro di Ninigi svanisce dietro una cortina spettrale.
Soichiro si guarda attorno. All’improvviso Hakone sembra un luogo stregato. Non c’è anima viva in giro, le luci degli hotel sono pallide lanterne che si affievoliscono dietro un sipario di opacità. Meglio affrettare il passo.
Ma giunto a pochi metri dall’hotel Tamaki, intravede una figura che si muove nell’oscurità: una donna vestita di rosso che cammina in direzione del monte Futagoyama… Sembra la misteriosa ragazza uscita dalla stampa di Akira, la protagonista del suo prossimo romanzo che ha deciso di divertirsi alle sue spalle trasformandolo in un personaggio e facendogli vivere tutte le trame assurde che sarebbero toccate a lei…
“Aspetta! Fermati!”
Incurante della foschia e dell’oscurità, Tezuya insegue la sagoma rossa. E non si rende conto che dopo pochi attimi l’hotel Tamaki è svanito, il resto del mondo è scomparso, e c’è solo un infinito biancore che lo avvolge e lo isola dalla realtà…

mercoledì 28 aprile 2010

Un'ingenua poesia di Emily Dickinson

... talvolta serve anche anche un po' di ingenuità.


To make a prairie it takes a clover and a bee.
One clover, and a bee,
And revery.
The revery alone will do
If bees are few


Per fare una prateria ci vogliono un trifoglio e un'ape.
Un trifoglio, e un'ape,
e sogno.
Basta il sogno da solo
se le api sono poche.

lunedì 26 aprile 2010

e-reading

Ho detto più volte che resto attaccato al tradizionale libro cartaceo, però cerco di stare al passo coi tempi.
Avendo un vecchio palmare ormai inservibile per la maggior parte delle sue funzioni originarie, ci ho installato sopra Mobipocket Reader e ho sfruttato questo software abbastanza semplice per caricare un po' di e-book che mi sono stati... prestati (per onestà comunicativa devo aggiungere l'emoticon imbarazzata...)
Volevo rendermi conto se potevo abituarmi a leggere con questo supporto, e devo dire che tutto sommato l'esito  è stato migliore del previsto. La carta stampata rimane a un'altro livello, però sono riuscito a finire un romanzo intero in pochi giorni senza problemi alla vista, né disagi per la diversità di approccio al testo scritto
In ogni caso penso che lo utilizzerò con maggior frequenza di quanto avrei mai immaginato, soprattutto per approfondire la conoscenza di tutti quegli autori autoprodotti che mettono a disposizione i loro lavori in formato digitale.
E ne conosco diversi... ;-)

domenica 25 aprile 2010

Una segnalazione per l'Esistenza postuma

L'amico Alex, scrittore specializzato in narrativa horror e thriller, ha segnalato sul proprio blog il mio racconto "Esistenza postuma" con una recensione positiva.
Ovviamente lo ringrazio. Mi sento particolarmente lusingato visto che lui è un accanito lettore e ha una competenza letteraria superiore alla media, quindi i suoi apprezzamenti hanno un valore speciale.
Colgo l'occasione per segnalare che ho aggiunto il racconto sulla pagina dei download dei racconti fantastici. Potete trovare il link (e anche quelli relativi alla narrativa tradizionale e quella sui generis) in questo post.

sabato 24 aprile 2010

Ultimo quarantanni

L'ultimo post che avevo elaborato sui quarant'anni imminenti:

Evitare di sentirsi guru della finanza
A 40 anni si comincia a pensare ai possibili rischi di perdita del proprio benessere nel futuro. I genitori purtroppo non sono eterni, e intanto mogli e figli comportano spese e spesucce varie… Ed ecco che uno prova a risparmiare per mettere qualcosa da parte. Solo che con gli stipendi che girano oggi è un miracolo se si riesce a salvare dai 10 ai 15 euro al mese, quindi fra venti anni ti ritrovi con ben 2.500 euro nel cassetto, utilissimi per comprare il vestito da sposa di tua figlia (magari ci avanzano pure un paio di caffè). E allora l’idea geniale: “Faccio un investimento per farli fruttare meglio”…
Se posso dare un consiglio davvero spassionato: EVITATE, altrimenti vostra figlia si dovrà sposare coi jeans e una t-shirt bianca. Potrei fornire parecchi esempi di investimenti andati male, ma questo è un post “leggero” a sfondo umoristico, non mi va di renderlo tragico.
Un consiglio che posso dare è: evitate le spese veramente inutili. Allora si che vostra figlia riceverà non solo l’abito bianco, ma anche un utile contributo per il viaggio di nozze. E voi avrete la sua eterna riconoscenza, e mentre lei vi abbraccerà con commovente affetto e le lacrime agli occhi potrete pensare: “Ci sono cose che non si possono comprare! Per tutto il resto… adesso sono cazzi miei!”

mercoledì 21 aprile 2010

Spring

Finalmente, da un po' di giorni, la primavera ce l'ha fatta ad arrivare.
E il sollievo che provo mi fa capire che...... sto invecchiando.
In passato non capivo tutta questa soddisfazione per l'arrivo della bella stagione. Sarà che quando si é giovani (nel senso anagrafico della parola, senza trucchi chimici o burocratici) c'é ancora un'energia tale che nessun inverno é troppo freddo, e neppure l'estate é mai così calda. Le stagioni fanno poca differenza.
Anche i cambi d'umore, soprattutto nel periodo adolescenziale, sono causati solo dal superlavoro degli ormoni.... neppure ci si accorge degli impercettibili effetti che può avere una ridicola variazione del clima atmosferico o della temperatura.... -2 gradi, +25 gradi, neve, sole, che problema c'é? Basta cambiare abbigliamento.... 

"Mi sento stanco, colpa del cambio di stagione"
"La primavera mi mette allegria"
Le frasi fatte che un tempo mi davano fastidio e, adesso, dico anch'io...

Si, sto proprio invecchiando.

martedì 20 aprile 2010

Ricerca di testi traducibili in corso

Come avevo anticipato, nei prossimi mesi diminuirò il tempo dedicato a lettura e scrittura per concentrarmi su un'attività che in un certo senso ingloba le prime due: tradurre.
Già Mirco mi ha fatto un'ottima segnalazione, ma mi sono messo a cercare anche da solo, scoprendo sulle pagine inglesi e francesi di wikipedia gli autori morti fra il 1930 e il 1940 (ricerca macabra, lo so, purtroppo necessaria per motivi di copyright).
Ho inquadrato uno scrittore americano che attualmente è fuori catalogo in Italia, quindi farebbe al caso mio.
Però ho notato anche un autore giapponese, e la mia nippomania ha cominciato a solleticarmi... Sarebbe la traduzione di una traduzione, visto che io non conosco il giapponese, ma solo il francese delle uniche versioni in una lingua europea delle sue opere. E poi rischierei guai con la casa editrice - ammesso che un editore francese possa mai interessarsi al blog di uno scribacchino italiano - dal momento che i diritti sulle opere originali sono scaduti, ma sulle traduzioni sicuramente no...
Ci penserò su. Tradurre (non solo scrivere) è per me solo un'attività amatoriale, quindi non ho alcuna scadenza da rispettare, purtroppo...

lunedì 19 aprile 2010

Esistenza postuma (conclusione)

La mia prima giornata da defunto si è conclusa nel luogo più appropriato, il cimitero. Speravo di trovare lì qualche risposta, ma non è successo niente. Inoltre non mi sono accorto che l’orario di apertura stava per scadere e sono rimasto chiuso dentro. Ho dovuto trascorrerci il pomeriggio e tutta la notte, che peraltro mi sono sembrate abbastanza brevi.
Ho indugiato a lungo sulla tomba di Graziano. L’ho chiamato tante volte, però nulla da fare.
Dove sei finito?
E dove sono finito io? In che posto mi trovo esattamente? E’ il limbo? E’ il purgatorio? Insomma, che cosa c’è dopo la morte?

Se per caso stai cominciando a sentirti agitato, tranquillizzati. Non devi preoccuparti per me, e neppure per te stesso. Lo so che le mie domande sembrano angoscianti, ma neanche così tanto, soprattutto se te le poni da cadavere.
Vale anche per la situazione. Passare la notte in un cimitero sarebbe spaventoso, da vivente. Ma da morto è una cosa naturale. A ogni condizione la sua naturalezza.
Tu magari stai davanti a internet e stai fissando immagini statiche di persone, i loro avatar.
Anch’io sto fissando immagini statiche di persone: le loro foto sulle lapidi.
Tu batti le dita sulla tastiera per scrivere frasi.
Io pure tamburello le dita, però sul marmo di una tomba.
Se cambiassimo ruolo proveremmo entrambi stupore, ma finché siamo ognuno al suo posto tutto rimane coerente. Comunque, puoi fare una prova e sostituirti a me. Solo in modo virtuale. Tanto se sei connesso a internet la virtualità è una cosa alla quale sei abituato, no?
Quindi sei al cimitero. Hai passato la notte lì senza ricevere alcun segnale o risposta. Sorge l’alba e il custode apre il cancello. Ti trattieni ancora un po’ perché non sai bene dove andare, e ti metti a guardare il cielo azzurro, le nuvole bianche che si sfilacciano alla luce del sole. Chissà quante volte sei passato sotto questa meraviglia senza neppure guardarla. Andavi troppo di fretta, avevi tante cose da fare. Ma ora hai di fronte a te un tempo lunghissimo (almeno così dovrebbe essere) e nessun impegno, perciò resti a goderti la vista del cielo.
All’improvviso però vedi una gran calca. Arriva gente, sguardi addolorati, lacrime, corone di fiori, una cassa da morto. E’ un funerale. Abbastanza logico in un cimitero.
Peraltro é il tuo.
E la ragazza? A lei non glielo fanno?
Beh, sicuramente era una turista, quindi la seppelliranno altrove, nel suo luogo di origine. E poi staranno facendo l’autopsia per trovare elementi utili per le indagini. Tu potresti fornire l’identikit dell’assassino, se solo potessi comunicare con i viventi. Ma non puoi farlo, quindi è inutile. Se fossi ancora vivo saresti già corso alla polizia, vero? Non te ne saresti fregato, ne sono certo.
Chi c’è al tuo funerale? Tutti, anche la tua ex moglie. E piange pure. Strano. Se ci teneva tanto a te perché non te lo ha dimostrato mentre eri vivo? Che odiosa ipocrisia.
Tu da vivo hai sempre dimostrato il tuo affetto a tutte le persone care, non hai aspettato che morissero per accorgerti di loro. Almeno credo, io non posso sapere le tue cose personali.
Parlando di me invece lo affermo con certezza: non ho atteso che le persone crepassero per stargli vicino. Le ho rispettate anche da vive.
Magari con qualche eccezione.
In alcuni casi isolati avrei potuto fare di più.
Ma parliamo di pochissime situazioni, eh!
Sei – sette al massimo.
Beh, forse una decina.
Intanto hanno iniziato a deporre la cassa nel loculo. I ragazzi non ci sono, probabilmente li hanno portati in chiesa ma voluto risparmiargli il momento dell’inumazione. Approvo. Loro sono giustificati. Alla loro età hanno il diritto di essere esentati dai momenti tristi. In fondo a quattordici e sedici anni… beh, a sedici anni uno potrebbe anche essere coinvolto… E’ un’età in cui bisogna iniziare a rendersi adulti, addentrarsi nel bello ma anche nel brutto della vita.
Io ho iniziato… quando ho iniziato? Quando ho guardato in faccia le cose spiacevoli dell’esistenza invece di voltare le spalle e rifugiarmi in un sogno dove tutto era perfetto? Quando ho smesso di comportarmi come un idiota che ignora il dolore, il male, la sofferenza, il distacco e la morte stessa?
E’ imbarazzante ammetterlo, ma non me lo ricordo. Mi sento come se fossi stato un ignavo idiota per tutta la vita, sino al momento dell’impatto con quel fuoristrada.
E tu, quando hai iniziato a guardare in faccia le cose spiacevoli?
Ma ti sto distraendo proprio mentre è in corso il tuo funerale. Seguilo pure con attenzione, non ti infastidisco più.
Guarda i tuoi genitori come piangono! E’ proprio brutto vedere morire i propri figli, e loro sono disperati. Non ti va di vederli ridotti così, e allora te ne vai.

Si, me ne sono andato. La sofferenza dei miei genitori era troppo brutta da guardare. Non volevo vederla. Basta non guardare e le cose sembra che non esistano.
Ti è mai capitato di avere un atteggiamento del genere?
Io sempre, l’ho appena ammesso e lo confermo. Fuggivo le cose tristi, non le guardavo, volevo illudermi che non esistessero. Tu non fai come me, vero? Bravo, fai bene. Non ignorare certe cose, anche se ti possono far sentire male. Cambiare canale per non sentire, spegnere la radio per non ascoltare, far finta che certi posti non esistano… atteggiamento vigliacco. E tu non sei vigliacco come me. Tu si che sei davvero vivo, sotto ogni punto di vista.
Io non lo sono mai stato. Ero morto anche da vivo. Uno spirito che sfugge, una creatura che si rende invisibile, un soffio d’aria che passa attraverso gli eventi senza volersi sentire toccato. Lo sono ora e lo ero prima. L’unica differenza è che adesso sono un fantasma mentre prima ero un uomo in carne e ossa. Però, almeno per l’atteggiamento, cambia veramente poco.
Forse è per questo che le cose della vita mi mancano relativamente poco e che ho questa sensazione di distacco assoluto e di impassibilità. Non è causata dall’essere un fantasma, ma solo da me. Così ero e così sono rimasto.
A pensarci bene è orrendo.
Fortunato te che riesci ad essere vivo in tutti sensi. Se solo potessi tornare indietro vorrei essere come te… Esistere in modo attivo, non fuggire, non distrarmi di fronte alle cose belle, non comportarmi da vigliacco, non dimenticare le persone per ricordarmene solo il giorno del loro funerale.
Si, mi piacerebbe proprio.
E se facessimo una prova?
Dai, desidera di prendere il mio posto. Vediamo che succede. Forse per un attimo potresti essere morto ed assistere al tuo funerale, e io – sempre per un attimo – mi risentirei vivo e avrei modo di pentirmi per la mia vigliaccheria.
Lo stai pensando?
No.
Perché mai? Hai paura. E di cosa? Ho detto ‘un attimo’, mica per sempre. Solo un istante in cui ci scambiamo di posizione e sperimentiamo un rovesciamento di prospettiva. Capisco che per te suoni meno allettante di quanto suoni a me, ma in fondo si tratterebbe di una cosa brevissima.
La facciamo questa prova?
Niente, non sei convinto.
Va bene, non insisto.
In fondo fai bene a non rinunciare neppure a un istante della tua vita.
Anche se sarebbe solo per un attimo, da morto vedresti le cose in modo diverso.
Io almeno vedo le tue stesse cose, però è come se fossero schiacciate, come se avessi davanti a me un gigantesco schermo che proietta immagini. Ci cammino dentro, ma percepisco una superficie liscia di fronte ai miei occhi, una semplice proiezione bidimensionale, senza forma, senza concretezza, senza neppure verità. Un luogo falso, che sembra la realtà ma non lo é. Un quadrante piatto su cui scorrono figure, cose, persone, ma che per me sono soltanto un quadrante. Provo ad afferrare un oggetto, a stringere una mano, e sento scorrere il mio tatto lungo una parete liscia.
Sono isolato da ciò che vedo, anche se ho l’impressione di starci in mezzo. Sto guardando un film, ciò che vedo è una sequenza registrata, non verità. Eppure sembra così autentica…
Non dirmi che provi delle sensazioni simili a volte.
Non dirmi che stai sperimentando una strana forma di disagio.
Se è così, scappa via subito. Si, scappa!
Corri all’aria aperta, afferra cose reali, stringi la mano a persone vive.
Fuggi dallo schermo piatto su cui scorre il film della vita fittizia.
Però devi farlo da solo, io non posso aiutarti.
Ormai sono morto, e questo è un grosso problema per me.

venerdì 16 aprile 2010

Esistenza postuma (seconda parte)

Proprio così, non mi interessava vedere la mia salma portata via. A essere sinceri non ci ho neppure pensato. Questa è una considerazione che ho fatto un po’ di tempo dopo. In quel momento mi sono semplicemente allontanato per comprendere meglio.
Immagina: sei appena diventato un fantasma, non vorresti capire qualcosa di più di quello che puoi fare o non fare in questa tua nuova condizione? E allora vai in giro, provi a verificare cosa è cambiato, fai qualcosa tanto per vedere che succede.
Ti metti a camminare lungo la passeggiata che conduce al parcheggio, la stessa che avresti percorso se quel tizio in fuoristrada ti avesse mancato. Camminare, si, è la parola giusta. Sarai pure un fantasma, ma ti percepisci ancora nel modo in cui ti sei sempre percepito da vivo, con gambe che ciondolano, piedi che toccano terra (anche se non senti nulla), la testa che ruota in vari direzioni per osservare le solite cose che già sai: la fila di alberi a sinistra, il muretto a destra, il palazzo giallo accanto al parcheggio. C’è la tua macchina a pochi metri. Ci puoi entrare? I fantasmi dovrebbero passare attraverso i muri. Fai una prova, dai.
La tua mano si allunga verso il vetro. Lo tocca, lo… No, scompare. La tua mano affonda in un’invisibile nulla davanti al finestrino e svanisce. Ormai sei arrivato sino al gomito. La spalla. Anche la faccia è quasi a contatto col vetro, ma non riesce a oltrepassarlo. E’ come se fossi diventato una cosa unica col finestrino, vedi l’interno della tua macchina, ma non puoi andare oltre. E se provassi a rompere il vetro?
Colpisci!
Niente, il tuo pugno sparisce nel vetro, nella lamiera, ovunque provi a sfondare. Sei inconsistente, incorporeo. Però non puoi passare attraverso lo sportello.
Ma allora cosa sei diventato?
Sei un fantasma ma non puoi passare attraverso i muri, sei morto ma non puoi vedere gli altri morti. Non sei in paradiso, non sei all’inferno. Sei ancora nel mondo che conoscevi ma è come se non ne facessi più parte.
Cosa sei?

Io mi sono posto la domanda per pochi secondi, ma ho deciso di lasciar stare. Sarà capitato anche a te di trovarti di fronte a quesiti talmente imbarazzanti che l’unica risposta che ti è sembrata valida è stata il classico ‘Boh, meglio non pensarci’, no?
Ecco, una cosa simile. Anche da vivo avevo un atteggiamento del genere, evidentemente certe abitudini non si perdono neppure da morto.
‘Meglio non pensarci’, è sempre stata la mia filosofia esistenziale.
Ho continuato a muovermi lungo la passeggiata e riflettevo su quel che vedevo.
Il palazzo giallo era avvolto da una nuvola che sembrava sorgere dalla strada, anche se ovviamente era impossibile. Sovrastava tutto l’edificio, e anche il caseggiato accanto. Vedendo quella nube bianca che sembrava una spuma compatta e leggera sotto l’azzurro del cielo mi è venuta voglia di provare andarci sopra, come se potessi volare. Perché non fare una prova?
Il muretto dava sulla ferrovia, trenta metri più in basso. Sono montato in piedi e mi sono buttato nel vuoto. Da vivo sarei morto, da morto magari potevo capire meglio la mia condizione. Tornare vivo purtroppo no, ma volare magari si.
Salto!
Nulla, nessuna capacità di fluttuare nell’aria. Solo una luce accecante, e un attimo dopo ero sdraiato accanto al binario. Naturalmente non mi ero fatto male, però non avevo neppure provato la sensazione di aver volato, di essermi librato in aria, di essere precipitato verso il basso. Era come se mi fossi materializzato direttamente trenta metri più in basso.
E mi trovavo anche lontano dal piano stradale. Ho dovuto percorrere un bel pezzo a piedi prima di raggiungere un punto in cui il livello della ferrovia si riallineava con quello della città.
Di fronte c’era il Grand Hotel.

Cerco di farti capire il mio ragionamento: se sei diventato uno spirito incorporeo e nessuno ti può vedere e sentire, è come se fossi diventato l’uomo invisibile, perciò puoi entrare dove ti pare. Non riesci a passare attraverso i muri, devi comunque usare la porta, ma puoi accedere in luoghi che da vivo ti erano vietati. E io ero stato sempre incuriosito dall’albergo a cinque stelle di fronte alle terme.
Mi fermavo spesso ad ammirare la facciata e i suoi marmi lavorati, le decorazioni a mosaico, le sculture sui cornicioni. Mi azzardavo anche a sbirciare attraverso il portone con gli occhi puntati sul soffitto affrescato e sulle decorazioni alle pareti, ma non mi sognavo minimamente di entrare. Il portiere stava lì proprio per tenere lontani quelli come me, quei cittadini che non partecipano in modo attivo all’indotto del turismo termale e non hanno il diritto di ammirare gli interni di certi capolavori architettonici costruiti in forma esclusiva per la clientela benestante, quella che si può permettere di spendere cifre assurde per pernottare in un hotel e che pretende una serie di comodità, tra le quali il distacco da chi non appartiene al loro mondo. Niente vagabondi che entrano a chiedere l’elemosina, e neppure innocui curiosi attratti dalla creatività degli architetti e degli arredatori. Sparisci. Noi siamo di un altro livello, tu rimani fuori, stai lontano.
Infatti ero sempre rimasto fuori. Non appartenevo al loro livello, ovvio. Era stato il mio caso prima, e continuava ad esserlo. Dall’estraneità economica a quella esistenziale. Loro ancora viventi, io deceduto.
Ed ecco davanti a me il loro paradiso vietato, il Grand Hotel. Ho immaginato che l’ingresso fosse vietato anche ai fantasmi, ma poiché non era specificato sono entrato ugualmente. Il portiere mi ha guardato dritto negli occhi per osservare la turista che avevo alle spalle, che effettivamente era una gran bella ragazza. Calzoncini bianchi corti, gambe lunghissime, pelle liscia e lucente, camicetta celeste coperta sulla spalle dai suoi riccioli castani, lineamenti tondeggianti da quattordicenne, anche se sicuramente aveva almeno venti anni. L’ho seguita. In fondo non sapevo come muovermi in quel luogo.
I soffitti non erano solo affrescati, erano incorniciati da una fila di stucchi dorati veramente pregevoli. La scalinata che portava ai piani superiori era stata costruita in modo tale da far confluire la balaustra in metallo lavorato con alcune statuette in bronzo collocate sulle nicchie lungo le pareti. Uno spettacolo stupendo, di cui la ragazza sembrava disinteressarsi preferendo ammirare i propri sandali. Evidentemente quel luogo le era talmente famigliare che aveva finito con l’annoiarla, anche se trovarsi lì significava appartenere ad una minoranza privilegiata.
Il corridoio del secondo piano era coperto di pregiati tappeti, altro che quelle moquette da due soldi degli alberghi a due stelle. Le porte delle camere erano intagliate con sapienti lavori di ebanisteria, probabilmente una sola di quelle porte valeva più dell’intero arredamento di casa mia.
Casa mia, già. Difficilmente la mia ex moglie ci sarebbe tornata a vivere, e i nostri figli erano ancora troppo giovani. Quasi certamente sarebbe stata affittata a qualcuno, il mio letto sarebbe diventato il giaciglio di un estraneo. Tutto quel che avevo accumulato in anni di lavoro sarebbe servito solo a far apporre l’aggettivo “ammobiliato” accanto alla frase “affittasi appartamento”.
Intanto la ragazza aveva spalancato uno di quei capolavori di ebanisteria per accomodarsi nella suite n. 9, e ho pensato che in fondo sarebbe stato interessante vederla.
La suite intendo. Però ho visto anche la ragazza, perché ha cominciato subito a spogliarsi.
Un corpo perfetto. Mai visto una donna così bella, completamente nuda, a pochi passi da me. La mia ex e Antonella possono essere nude, ma mai belle.
Dopo pochi secondi aveva azionato la doccia. Io mi sono ritrovato ad osservare attentamente le pareti, le stampe in stile fine ‘800 appese su ogni lato, gli armadi di ciliegio, e la pelle bagnata di quella cliente.
Guardare senza poter toccare. Da vivo avrei sospirato, ma da morto non cambiava molto. Ammiravo quel corpo così come ammiravo gli arredi, contemplazione di bellezza senza alcun altro scopo che la contemplazione in se stessa.
Il rumore della porta che si apriva mi ha distratto.
L’uomo è entrato di soppiatto, avvicinandosi alla doccia nel silenzio più assoluto. Ho immaginato che fosse il fidanzato che voleva farle uno scherzo, ma mi sbagliavo. Appena è giunto alle sue spalle ha aperto di colpo lo scorrevole di plastica e l’ha afferrata alla gola. La ragazza ha esalato un grido di terrore che si è confuso col crepitio dell’acqua che cadeva sul marmo, subito soffocato dal coltello che le scorreva lungo la gola. L’uomo l’ha adagiata sul piatto della doccia in posizione seduta, con il getto d’acqua che continuava a scorrerle addosso lavando via il rosso del sangue che colava dal taglio sulla carotide.
Io stavo lì, immobile, spettatore di un omicidio a sangue freddo che non capivo.
Avrei dovuto fare qualcosa. Ma cosa?
Tu come ti saresti comportato? Almeno un tentativo di fermarlo l’avresti abbozzato? Magari una corsa fuori dalla stanza a chiedere aiuto?
Beh, non puoi. La porta è stata chiusa, tu non puoi aprirla, e non puoi passare attraverso le mura anche se sei un fantasma. E se per ipotesi potessi uscire dalla stanza, che cambierebbe?
Pensa: corri al primo piano e ti metti a urlare
-Aiuto!! Hanno ucciso una cliente nella stanza 9!!
Nessuno risponde, perché non possono né sentirti né vederti. Il portiere guarda la gente che passa, il ragazzo alla reception legge il giornale, e non hanno idea che a pochi metri di distanza stia avvenendo un omicidio.
Lo so che tu ci vuoi almeno provare, fare un tentativo, ma io preferisco lasciar stare. Perché so che sarebbe inutile. Ormai sono morto da più di un’ora, ho già capito cose che tu al momento non puoi immaginare perché… beh, perché sei ancora vivo. Da vivo è normale intervenire quando si assiste a un atto di violenza. Se tu assisti a un episodio del genere provi a fermare l’omicida, vero? Almeno chiedi aiuto, giusto? Non scappi via facendo finta di non vedere. Io invece ormai sono in questo stato di impossibilità, e ne sono pienamente consapevole. Lo sono stato già nel momento in cui assistevo al delitto. Ero cosciente di non poter fare assolutamente nulla, al massimo lo spettatore inerte.
Un uomo ha ammazzato una donna. Capita. Leggevo spesso notizie del genere sul quotidiano, o su internet, e giravo pagina. Vederlo coi propri occhi dopo che sei diventato un fantasma ti trasmette una sensazione simile. Prendi nota e basta. Non puoi pretendere di più.
Magari vorresti provare dispiacere, orrore, sdegno. Invece resti impassibile.
O più specificamente: io mi sentivo impassibile, e privo di sensi di colpa. Niente pietà e nessuna vergogna.
Un pensiero però ce l’ho avuto: mi sono chiesto se avrei visto il fantasma di quella ragazza trucidata.
Se ci pensi bene è una considerazione ovvia: ormai sei morto, le cose dei vivi appartengono ad un mondo che non è più il tuo. Ma quella bella  giovane è appena stata strappata da quel mondo e precipitata in quello di chi ha cessato di esistere. Peraltro in modo violento, inatteso, proprio come te. Nel tuo caso non c’era volontarietà, è stata un disgrazia, però resta un omicidio.
-Ragazza, puoi sentirmi? Mi hanno ammazzato poco fa, proprio come è successo a te. Mi senti?
Purtroppo il corpo resta fermo nella doccia, e nessuno spirito emerge dalle carni. Nessuna voce, solo i passi leggeri dell’assassino che apre la porta, la richiude al volo e si allontana.
Ecco, avresti dovuto approfittarne per uscire. Non ci hai pensato (e neanche io in quel momento). Ora siamo nuovamente chiusi dentro la stanza n. 9. Ma in fondo era più importante verificare se dalla ragazza sorgesse un fantasma. Purtroppo la nostra speranza è stata delusa. Riproviamo, tanto per non lasciare nulla di intentato:
-C’è nessuno?
Apparentemente no.
Sei confuso, vero? Forse esiste qualcosa dopo la vita solo per te. Oppure gli altri vanno a finire in qualche altro posto e tu non puoi vederli… Chi lo sa. Stai facendo queste considerazioni senza preoccuparti. Niente riesce a preoccuparti. E’ una sensazione di distacco così profonda da non poter essere spiegata, vero?
Esatto, non può essere spiegata. E’ così, te lo posso garantire per esperienza diretta.
Intanto mi ero accorto che la finestra era accostata, e un colpo di vento l’aveva spalancata, quindi potevo buttarmi giù di sotto e uscire dall’hotel.
Un salto, e all’improvviso sono ricomparso steso a terra, sul lato della strada, con una moto che passava proprio in quell’istante. Mi ha attraversato con l’effetto di una ventata d’aria infuocata, una sensazione di un attimo che subito è scivolata via.
Sono rimasto fermo in mezzo all’incrocio, con macchine e autobus che mi travolgevano di continuo, a cercare di capire cosa potevo o, piuttosto, dovevo fare…

(CONTINUA)

giovedì 15 aprile 2010

Anteprima...

Non so se sia correlato al mio stato d'animo delle ultime settimane, fatto sta che in questi giorni ho iniziato a scrivere un racconto un po' diverso rispetto alle mie abitudini... Non è ancora terminato, ma poiché le idee per il post odierno scarseggiano, ho deciso di postare le prime righe in una sorta di anteprima...
Magari anche per ricevere qualche commento sull'idea e sul modo di narrarla...


ESISTENZA POSTUMA

Sono morto lo stesso giorno del mio compleanno, ma presumo che sia solo una coincidenza.

Per me era normale routine passare in quel vicolo a piedi.
Le macchine che lo imboccano devono verificare attentamente che non arrivi un’altra vettura dal lato opposto, perché non c’è spazio sufficiente per il doppio senso. Però non hanno mai pensato di farlo diventare un senso unico, e neppure proibire il passaggio ai pedoni.
Il giorno dopo sulla cronaca locale c’era un articolo in cui si parlava di tragedia annunciata, però, onestamente, non mi ricordo di un solo incidente avvenuto in quel pezzetto di strada schiacciato tra due palazzi antichi. Penso proprio di essere stato il primo.
Ero tranquillo. Avevo appena staccato dal lavoro e tornavo a casa. Stavo imboccando il vicolo a piedi per andare verso il parcheggio, come ho fatto migliaia di volte negli ultimi venti anni, e all’improvviso ho visto in lontananza quel fuoristrada che arrivava a velocità pazzesca.
Ho pensato “Questo è matto”, e infatti si è lanciato nel vicolo senza rallentare. Un’altra vettura stava arrivando dalla direzione opposta, e l’autista del fuoristrada ha deviato d’istinto a destra, senza rendersi conto che c’erano il muro del palazzo e un pedone in transito.
Ho sentito un dolore atroce, ma è durato poco. Diciamo che sono morto sul colpo, come hanno scritto sul quotidiano. Dopo un istante ho visto il mio corpo schiacciato tra muro e macchina, la faccia contorta in uno spasimo, e il sangue che colava dalla nuca. Però non ha fatto nessun lago. Niente scena da film, col rosso che si espande tipo cerchio intorno alla testa. Solo un piccolo fiotto che si è fermato quasi subito.
E non c’è stata neppure quell’altra tipica sequenza cinematografica in cui uno guarda il proprio cadavere e pensa ‘Sono morto! Non è possibile! No, non può essere!’
Io ero lì, a due passi dal mio corpo, consapevole di essere deceduto, però mi sentivo calmo. Per capirmi meglio dovresti far finta di stare al mio posto.
Prova a immaginare.

Ti hanno appena investito. Sarà passata una frazione di secondo, e tu vedi il tuo cadavere che perde sangue, e pensi: “Non sono più vivo. Quella macchina mi ha falciato”. Ma lo pensi senza provare alcuna emozione particolare, lo ripeti a te stesso come la constatazione di un dato di fatto. Come se vedessi in televisione la scena di un incidente.
-Lo vedi? Quello è morto stamattina. L’hanno preso sotto.
-Ah. Dove è successo?
-Boh, in qualche città americana. C’era una telecamera fissa e ha ripreso tutta la scena.
Qui invece la telecamera non c’é. Hai visto tutto in diretta, e sei pure il protagonista. Comincia a accorrere gente, anche l’autista del fuoristrada. Ha un’espressione sconvolta.
Lo guardi in faccia, e sai che quel tizio mai visto prima ti ha appena ammazzato, però non ti riesce di provare rancore nei suoi confronti. Comunque vorresti dirgli qualcosa.
-Riesci a sentirmi?
No, evidentemente no.
Intanto si è creato un assembramento di persone. Una ragazzina inizia a piangere e urlare in modo isterico, la fanno allontanare, qualcuno chiama i soccorsi al cellulare. Tu provi a parlare con tutti.
-Sono qui. Oh!, guardate che io sono qui! Sono morto, ma sto bene!
Niente, nessuno riesce a vederti o sentirti. Sei un fantasma. Uno spirito. E nessuno si accorge di te. Cominci a pensare che anche quelle altre scene classiche da film, coi fantasmi che emettono respiri di aria gelata e sussurrano frasi nelle orecchie dei viventi, siano in fondo delle buffonate.
Per forza. Sono idee di un regista vivente, uno che non ha la minima idea di cosa ci sia dopo la morte. Neanche te lo sapevi fino a pochi secondi fa.
Magari qualche volta ci hai pensato. Che ti immaginavi? Un giardino incantato? Tutti i tuoi parenti morti che ti aspettano?
Io non mi ero mai posto il problema. A dire il vero credevo che dopo non ci fosse nulla. Però magari mi sarebbe piaciuto rivedere il mio amico Graziano. Un po’ ci speravo.
Riprova ancora a metterti nei miei panni: sei appena morto e ancora devi fare il punto della situazione, anche se sei perfettamente lucido e per niente sconvolto. All’improvviso ti viene in mente quel tuo amico morto due anni fa, più giovane di te, neanche quaranta anni. Ripensi a quanto hai pianto il giorno del suo funerale, al fatto che ti sembrava assurdo. Beh, adesso anche tu sei come lui. Deceduto. La tua esistenza è appena terminata. Non ti verrebbe in mente che sarebbe bello se ci fosse la possibilità di rivederlo?
-Graziano!
No, non risponde. E neanche i nonni, neanche zio Giovanni. Nessuno dei tuoi morti si fa sentire. Eppure tu sei lì, in qualche modo cosciente, anche se non più vivo. Ormai sei consapevole che dopo la morte c’è qualcosa, quindi questo qualcosa ci sarà stato anche per loro, no?
Però non li percepisci. L’unica cosa che riesci a vedere è il mondo che hai appena lasciato.
Intanto é arrivata la polizia. In lontananza si sente anche l’ambulanza, anche se ormai serve a poco. Il tuo assassino involontario sta seduto per terra, mentre un agente gli fa delle domande. Un altro invece fotografa il tuo corpo, probabilmente la procedura per stabilire la dinamica dell’incidente mortale e valutare il grado di colpa.
In teoria dovrebbe essere interessante, o quanto meno doveroso, assistere al trasporto in obitorio del tuo corpo, vedere i tuoi parenti che gli stanno attorno, si disperano, e fanno commenti. Però non ne hai voglia. Ti sembra inutile.
Almeno a me è sembrato inutile, perciò mi sono allontanato.

(CONTINUA)

martedì 13 aprile 2010

Traduttore dilettante

Mi sono già cimentato in traduzioni amatoriali (alcune storie di H.H. Munro "Saki" e il primo racconto lupiniano di Leblanc, senza contare qualche poesia), ma sto pensando di dedicarmici con maggiore intensità.
Non credo che smetterò di scrivere, ma in questo momento non mi sento particolarmente motivato. L'unica certezza é che ho due racconti già iniziati e lasciati in sospeso, ma presumo di terminarli quanto meno per forza d'inerzia. Spero di metterli online prima della fine di aprile.
Tradurre testi letterari dovrebbe aiutarmi a sfogare la mia mania scrittoria, visto che una traduzione permette di riscrivere ciò che altri hanno già scritto (detto così suona bizzarro e un po' paradossale, lo so, ma chiunque abbia tradotto letteratura sa bene che é molto diverso rispetto alla traduzione di un manuale di istruzioni o di una lettera commerciale).
Stavolta vorrei affrontare un testo lungo, magari un romanzo, però vorrei anche pubblicarlo sul blog e quindi mi serve un autore il cui copyright sia scaduto e che non sia mai stato precedentemente tradotto in italiano...
Ecco, ho stabilito il proposito. Ora mi mancano solo l'autore mai tradotto e il libro da tradurre, ovviamente in inglese, francese o spagnolo, visto che altre lingue non ne conosco.
Qualcuno può darmi un suggerimento?

domenica 11 aprile 2010

Les enfants terribles, di Jean Cocteau

Il quattordicenne Paul prova un'ammirazione morbosa per il compagno di scuola Dargelos, ma é proprio Dargelos a colpirlo con una sassata in petto durante una battaglia a pallate di neve.
La ferita lo costringerà a rimanere, malato, nella camera che condivide con la sorella Elisabeth e con il loro comune mondo fantastico, fatto di "tesori", disordine e soprattutto "gioco", una fervida immaginazione con cui viaggiano verso luoghi sognati.
Rimasti orfani, verranno accolti dalla famiglia di Gérard, compagno di classe di Paul che nutre per quel ragazzo fragile un profondo affetto e un senso di protezione fraterno.
La strana comunione fra Paul e Elisabeth continua nel corso degli anni, e Gérard può solo unirsi parzialmente ad essa. A questo trio si affianca successivamente Agathe, una ragazza che ha gli stessi lineamenti di Dargelos.
L'adolescenza trascorre, e i ragazzi giungono agli albori dell'età adulta. Gérard ama segretamente Elisabeth e vorrebbe sposarla, mentre Paul rivede il suo idolo Dargelos nella dolce Agathe, sentendosi inevitabilmente attratto da lei.
Le loro vite sembrano indirizzate verso la normalità, ma il legame quasi magico fra fratello e sorella é troppo potente per essere spezzato, e gli eventi prenderanno una direzione inattesa per condurli mano nella mano verso un finale tragico...
Romanzo breve, scritto con un linguaggio carico di suggestioni poetiche, fonde in modo straordinario la bellezza e il lato oscuro dell'adolescenza, la sua passionalità estrema e irrazionale, la follia di azioni compiute con il solo scopo di essere compiute ma senza nessuna reale motivazione, la trasgressione delle regole come gioco e come sfida alle leggi della vita.
Uno dei pochi libri che ho riletto a distanza di tanti anni e per il quale ho provato le stesse emozioni della prima lettura. Un piccolo capolavoro.

venerdì 9 aprile 2010

Ebook gratuiti

Ho messo a disposizione vari miei scritti. Basta cliccare sul link sotto il mio avatar, e si accede a a un post che linka due orride pagine-libreria (che dovrebbero diventare tre) da cui si possono scaricare le mie cosucce in formato pdf (l'epub non so gestirlo).
Inoltre, ho cancellato ogni riferimento alla parola "scrittore" (riferita a me ovviamente) e posso anticipare già da ora che l'etichetta "pubblicare" non comparirà mai più in nessun post.
In fondo scrivere é, per me, un modo di comunicare. Ciò che non so dire verbalmente, quello che ho dentro e devo in qualche modo far fuoriuscire, preferisce farsi espellere su un foglio di carta o su un file word.
Perciò, tramite questo blog e i miei "scritti" ("letteratura" é troppo pretenzioso) spero soprattutto di riuscire a comunicare con persone che condividano certi stati d'animo e certi interessi, e a stabilire dei rapporti di amicizia, che alla fine é la cosa più importante anche se, purtroppo, in questo mondo digitalizzato tende sempre a rimanere superficiale e soprattutto distante. Ma anche così é già qualcosa.

mercoledì 7 aprile 2010

Tanto per riprendere il ritmo...

A breve apporterò alcune modifiche al blog e alla disponibilità dei miei scritti.
Nel frattempo, i post confezionati in epoca precedente alla mia crisi esistenzial-letteraria mi tornano d'aiuto... Amici quarantenni, io vi penso sempre!

Evitate l’odiosa frase “Eh, i giovani d’oggi!”
Intanto perché è un’ammissione implicita di vecchiaia: se deplorate i giovani di “oggi”, evidentemente voi non lo siete più (e invece siamo ancora giovani anche noi quarantenni, giusto?... vabbé, io ci ho provato).
E’ una frase da evitare soprattutto perché i giovani di oggi non sono poi tanto diversi dai giovani di sempre.
Guardano il Grande Fratello? Si, però noi guardavamo i film con Alvaro Vitali e Bombolo…
Vanno su internet solo per vedere siti porno? Beh, noi compravamo “Le ore” di nascosto…
Sono maleducati, ignoranti, prepotenti, arrivisti e superficiali? Esattamente come i loro genitori.
Non hanno voglia di studiare né di lavorare? D’altronde sono nati in Italia, bisognava farli nascere in Giappone o in Germania.
E poi c’è sempre da imparare dai giovani. Mettiamo, ad esempio, che volete chattare con una donna conosciuta su internet e lei vi invita in un forum dove la stanza chat funziona solo coi codici HTML. Se volete impararli avete due possibilità: comprate un manuale e perdete sei giorni a leggerlo, oppure ve li fate spiegare in dieci minuti dal cuginetto quindicenne. Già che ci siete, dategli altri dieci minuti e fatevi insegnare come si usano emule e utorrent, così la prossima volta evitate di stare inutilmente connessi per 72 ore senza aver selezionato la funzione di download…

venerdì 2 aprile 2010

Pasqua

Il periodo pasquale capita proprio nel momento dell'avvento della primavera. La speranza di nuova vita che ci ha lasciato Gesù si interseca con la rinascita della natura, i fiori che sbocciano, gli alberi che tornano verdi.
E allora, augurandomi una buona resurrezione (perché a volte bisogna risorgere anche se si é ancora vivi), conto di tornare a scrivere qui da mercoledì prossimo, con le motivazioni giuste (non solo per il blog, ma anche per tutto il resto).

P.S.: Buona Pasqua a tutti :-)

giovedì 1 aprile 2010

Uno scherzo

E' tutto scomparso.
La mia camera da letto, il panorama fuori della finestra...
C'é rimasta solo la porta. E da lì entra un angelo.
"Pesce d'aprile! La vita che hai vissuto sino ad oggi era solo uno scherzo! Ma ora é finito".
Esco dalla stanza e ritrovo nuovamente la realtà che conoscevo. Ma io non sono più io. E' come se ricominciassi davvero da un nuovo inizio. Non c'é più nulla del mio passato. Posso ricostruire ogni cosa da zero, posso riscrivere la mia vita. Si, come se fosse un manoscritto: si straccia e si parte con una nuova trama, un nuovo incipit, dei nuovi personaggi...
La vita inizia oggi. Quel che é stato sino a ieri era solo uno stupido, noioso, pessimo scherzo...

... e invece no. Purtroppo niente é cambiato.
Il primo aprile é un giorno come tutti gli altri.