venerdì 31 dicembre 2010

Ariano's side of Survival - 4

AVVISO: questo post non rientra nella normale routine del mio blog, ma appartiene al progetto Survival Blog


Primo giorno del 2016 (o meglio: un giorno qualsiasi)

Il paesino di cui sono stato re per alcune settimane si chiama Mugnano. Poi sono arrivati i razziatori natalizi e ho capito di non essere più al sicuro, oltre ad aver perso le mie scorte alimentari.
Adattarsi sempre all’ambiente e alle nuove circostanze, questo è il segreto della sopravvivenza. Ergo, dovevo trovare una zona di caccia sicura, priva di nemici più forti di me. Però ho esitato per alcuni giorni. Paura, incertezza, istinto.
Stamattina però era il primo giorno del nuovo anno. Stronzate. Un alba come tante altre, il concetto di “nuovo anno” fa parte dei retaggi anacronistici della mente sapiens. Ma io ho deciso ugualmente di considerarlo un “segnale” e di andare finalmente in cerca di una nuova tana. PRIMO ERRORE!
Dopo pochissimi chilometri ho sospeso incautamente la mia migrazione solitaria. Era inevitabile che transitassi davanti al fratello maggiore di Mugnano, il vecchio borgo tufaceo di Bomarzo, con il cartello turistico che ancora pubblicizzava il Parco dei Mostri. C’ero stato tante volte da bambino, e non mi aveva mai fatto paura. I “mostri” sono opere d’arte, da ammirare più che da temere.
Non avrei dovuto, ok. Gli animali non hanno ricordi. Io invece mi sono lasciato trascinare dai residui della mia umanità e mi sono addentrato nella boscaglia per rivedere le sculture di tufo, un pezzo di memoria di un’epoca talmente lontana che sarebbe stata preistoria persino cinque anni fa, quando ancora la pandemia era solo un trafiletto sulla cronaca estera. SECONDO ERRORE!
La vegetazione era selvaggia, ma non più di quanto sia sempre stata. Non lo hanno mai curato quel parco, era abbandonato a se stesso anche prima dello spopolamento. I rami degli alberi schermavano il sole, foglie secche e erba congelata scricchiolavano con discrezione sotto i miei piedi.
Le sculture erano sempre lì. Ed è accaduto che, a quarantacinque anni suonati, sono rimasto terrorizzato a causa della Grande Faccia. Non mi aveva turbato neppure quando ero un bimbo di sei, da adulto invece mi ha gelato il sangue. Perché stavolta l’ho vista viva. Feroce. Regredita anche lei. Non più elegante e allegorica opera figurativa creata da un brillante artista rinascimentale, ma idolo pagano di un pianeta primitivo, pronto a esigere il suo sacrificio umano.


Sì, la Grande Faccia aveva masticato un uomo. Le gambe erano già nelle sue fauci, mentre il tronco insanguinato ancora penzolava fuori come un boccone in attesa di essere inghiottito.
Era destino che anche le statue si dessero al cannibalismo. In questo mondo nuovo e diverso, nulla può più essere come prima. Se io ho banchettato con carne umana, se gli uomini del futuro lo faranno con ancor più naturalezza, è giusto che la Grande Faccia del Parco di Bomarzo si adegui.
Belle riflessioni eh? No, cazzate. Roba anacronistica. Un predatore non riflette, rischia di distrarsi. TERZO ERRORE!
E infatti c’è mancato davvero poco. Era troppo tardi quando ho capito che quello scricchiolio di foglie non lo stavo causando io. Ormai ero fottuto. Ero solo, in mezzo a una selva buia, perfetto bersaglio per qualunque nemico nascosto nell’ombra. Se ci fosse stato uno di quei “miliziani” ero praticamente già morto, pronto per essere il nuovo pasto della Grande Faccia.
Ne avevo ammazzati diversi di quei bastardi in mimetica: loro entravano in paese, pattuglie di due persone al massimo, e io sfruttavo la posizione nascosta per freddarli alle spalle. Bum bum. Ora la situazione era invertita: io bersaglio allo scoperto, loro cecchini invisibili.
Il terrore è aumentato. Sangue gelato come un’antilope in mezzo alla savana e l’odore di leone a troppa poca distanza per poter anche solo tentare una fuga. Insetto che ormai si rende conto che la foglia di quella pianta carnivora non si sta muovendo a causa del vento, è una morsa che si sta serrando attorno alle sue ali.
Mi sono preparato mentalmente all’idea di morire. Ciclo della natura. Mors tua vita mea. Stavolta tocca a me, ok, fa parte del gioco. Non ho più nulla da perdere. Preda sì, ma almeno boccone indigesto per il predatore, se possibile. Lentamente ho infilato le mani nel giaccone, afferrando le armi. Poi ho concentrato le orecchie verso il suono delle foglie secche. Mi sono girato di colpo verso destra e ho estratto a tutta velocità le pistole, come John Wayne in un film western. Un John Wayne imbranato, perché una pistola mi è caduta, e oltre tutto il rumore veniva da sinistra (evidentemente i miei sensi animali sono abbastanza scadenti).
Ma per fortuna era un “giallo”. Sì, per fortuna. Perché loro aggrediscono da bestie vere (non fittizie come me). Mi stava per saltare al collo, ma lui non aveva armi da fuoco. Ho fatto in tempo a girarmi e gli ho scaricato addosso cinque colpi, anche se il primo lo aveva già steso.
Per fortuna era un “giallo”, lo ripeto. Se fosse stato un miliziano a quest’ora non potrei raccontarlo. In questo nuovo mondo sono più pericolosi certi uomini che hanno mantenuto la loro umanità rispetto a quelli che ormai sono regrediti al cannibalismo endemico della pandemia. Io sono a metà strada, o piuttosto sperduto tra questi due estremi. Sperduto, anche tra i paesini della Tuscia. La mia strada è ancora lunga, ed estremamente incerta.
“Buon anno” a chi ancora mantiene nella sua mente questo bizzarro concetto legato al ciclo di rivoluzione della Terra attorno al sole. Anch'io continuo a concepirlo nella mia testa, e questo è sicuramente il mio QUARTO ERRORE.

giovedì 30 dicembre 2010

Medaglia d'argento

E così sono arrivato secondo nel concorso organizzato da Ferruccio. Complimenti alla vincitrice Michela che ha indubbiamente scritto il raccontino più bello, ma anche tutti gli altri partecipanti si sono ben difesi.
Riguardo il mio scritto dedicato a Borges, volevo fare una precisazione. A prima vista sembra quanto di più lontano possibile ci sia dalla sua letteratura: una partita di calcio, una folla di tifosi, un giocatore che ha appena fallito un rigore... sembra più adatto a celebrare un altro grande scrittore argentino, Osvaldo Soriano.
Però chi ha letto Borges sa bene che uno dei temi che spesso compare nelle sue opere è la passionalità furiosa e irrazionale degli argentini, che egli ammirava senza riuscire a condividere. Mezzo inglese, svizzero di adozione, la sua "argentinità" gli causava quasi vergogna proprio perchè era privo del coraggio guerriero dei suoi antenati e della tempra focosa dei gauchos della Pampa. Il racconto "El sur", o le sue poesie dedicate al nonno combattente e a un noto maneggiatore di coltelli della periferia di Buenos Aires testimoniano proprio questa sua particolare ammirazione per chi è privo di intellettualismo ma ha nel sangue il fuoco dell'azione.
E poi un altro tema tipico di Borges è l' "infamia". Il più celebre dei traditori, Giuda, viene quasi riabilitato dal racconto "Tre versioni di Giuda", e più in generale è una tematica che compare spesso nelle sue opere, a partire dalla "Storia universale dell'infamia". Colui che se ne rende colpevole deve in qualche modo redimersi, anche nella maniera più bizzarra o estrema.
Alla luce di queste precisazioni, vi invito a giudicare il raccontino in questione:

Un brivido oscuro raggelò Garcìa  e si propagò sulle tribune.
I tifosi del River Plate gremivano lo stadio invocando il gol risolutore che sbloccasse lo snervante 0-0 imposto dal Quilmes, in campo con un portiere, tre terzini, sei macellai, e un invisibile santo protettore che aveva eretto un muro davanti alla loro rete.
Invece Garcìa, pazzo per il River sin da bambino, aveva appena fallito un calcio di rigore.
Era il 92°, ormai sarebbe finita col pareggio e lo scudetto volava sulle maglie dell’odiato Boca Juniors.
Si sentiva perduto. Ma quando capì che la vita lo stava lasciando, sorrise. La morte per crepacuore avrebbe eternato il suo immenso amore per il club, salvandolo dalla vergogna.

mercoledì 29 dicembre 2010

Alfa e omega (come ogni fine dicembre)

Visto che siamo alla fine dell’anno, dovrei esprimere una serie di buoni propositi da portare a compimento durante quello nuovo che verrà.
Ebbene, nel 2011 io ho l’intenzione di…
No, ci ho ripensato. Sarà un caso, ma ogni volta che provo a stabilire un obiettivo, o anche solo a ripromettermi di essere più (aggettivo a scelta) e meno (idem), puntualmente non ci riesco. Non voglio dare la colpa al destino, è la classica scusa di chi non ha carattere. E probabilmente il mio problema è proprio questo: senza un’adeguata volontà non si può portare a compimento nulla. Ho dei progetti in testa, certo, ma all’atto pratico sono uno che si accontenta, uno che si arrangia con ciò che ha a disposizione, e la smania per avere le cose che ancora non possiedo non è mai così violenta da soffocare la soddisfazione per quelle che già ho. I risultati sono appannaggio degli ambiziosi, non dei sempliciotti magari insoddisfatti ma non al punto di essere bramosi. E io appartengo alla seconda categoria.
E per quanto riguarda i miei atteggiamenti, purtroppo non riesco mai a essere troppo severo con me stesso: posso anche promettere che eviterò certi comportamenti censurabili, ma so già che all’atto pratico, in determinate situazioni, non riuscirò a controllarmi e mi comporterò (male) come sempre.
L’unica cosa in cui posso provare a sbilanciarmi è l’attività scrittoria, anche qui senza garantire nulla.
Intanto vorrei terminare le cose in ballo: una terza tragedia di Shakespeare rielaborata in chiave noir (sto lavorando su “Macbeth”), il romanzo di fantascienza sociologica che ho già incominciato (ma per questo la strada sarà lunga) e un paio di racconti “da tradurre” di Hiroshi Miura per cui sono già a buon punto. Ancora lui, il mio autore giapponese preferito (^_^) potrebbe fornirmi lo spunto per un’esperienza letteraria in cui non mi sono mai cimentato ma che mi piacerebbe provare: creare il personaggio di una saga, che sia protagonista di diversi racconti avventurosi con tutti gli ingredienti classici. Detto così è un po’ vago, ma spero che le idee mi si chiariscano col passare delle settimane.
Anticipo gli auguri di buon anno a tutti, perché il post di fine anno cade nel week end, e sarà dedicato come ormai d’abitudine al survival blog.
Un felice 2011 a gli amici, ai lettori palesi e a quelli nascosti, con la speranza di continuare a condividere le nostre esperienze on line ;-)

lunedì 27 dicembre 2010

Scritture e idee

In questi ultimi giorni ho finalmente letto come si deve un "classico contemporaneo", ovvero La Storia Infinita di Michael Ende (farà sicuramente piacere a Mirco).
Una cosa che ho notato nella scrittura è la mancanza di ogni preoccupazione a proposito di certe regole "fondamentali" dettate dai manuali del settore. Vi sono avverbi e aggettivi ripetuti più volte all'interno della stessa frase (quindi ripetizione, ma magari sarà colpa del traduttore, non so), frasi involute, concetti espressi due volte consecutivamente con immagini diverse (ridondanza), descrizioni molto "tell" e poco "show"...
La narrazione procede grazie all'inventiva dell'autore. Con buona pace dei tanti precetti sul "come si deve scrivere un buon romanzo". Evidentemente nulla può insegnare la creatività, neppure il miglior manuale di tecniche letterarie. E allo stesso modo nulla riesce a rendere interessante un libro quanto il contenuto che l'autore riesce a infondervi, indipendentemente dal suo modo di scrivere.
Forse si potrebbe obiettare che questo è un libro per ragazzi, che è fantastico, e che le ormai stranote "regole" valgono per la letteratura tradizionale. Io però credo che in linea generale quando si crea qualcosa è inevitabile avere uno stile personale, e questo è una somma delle proprie competenze (libri letti, film visti, etc.), del proprio impegno, della propria inventiva (e questa è un dono innato), anche del manuale di scrittura, perchè no (ma è solo una parte, non certo il tutto), e infine delle proprie esperienze esistenziali. Certi capolavori non sarebbero mai stati realizzati se i rispettivi ideatori non fossero passati attraverso vicende personali molto particolari. Lo stesso Ende potrebbe essere un esempio, visto che la dittatura nazista influenzò negativamente la vita della sua famiglia, e l'esperienza del regime e della guerra costituì per lui un incubo reale. In assenza di questo evento, chissà che direzione avrebbe preso la sua attitudine creativa.
Concludendo, via libera alle idee e al confronto con gli altri. La revisione dei testi lasciamola agli editors ;-)

venerdì 24 dicembre 2010

Ariano's side of Survival - 3

AVVISO: questo post non rientra nella normale routine del mio blog, ma appartiene al progetto Survival Blog


Natale, anno 2015

Negli ultimi anni prima della nuova Era Gialla, ho sempre immaginato Babbo Natale come uno spiritello maligno che si introduce furtivamente nelle case e lascia un pacchettino invisibile con il suo speciale regalo per le feste: una bella maledizione. Che funziona sempre, anche se uno non se ne rende conto.
Stamattina neppure ci pensavo. Anzi, non mi ricordavo proprio che fosse il 25 dicembre. Avevo smesso di contare i giorni e di guardare il calendario.
Però verso l’alba ho sentito un rumore in lontananza. Ho dato un’occhiata dalla finestra della mansarda, la stanza strategica dove dormo e dalla quale si può dominare l’intero paese come un aquila reale su una pianura, o piuttosto come un cecchino in una città assediata.
Era lui, Santa Claus. Aveva un berretto rosso con la visiera, barba grigia incolta, giaccone verde invernale, calzoni militari e anfibi. E poi, a tracolla, il sacco coi regali: una mitraglietta e una cartucciera. Ovviamente c’erano anche le otto renne, con le tute mimetiche e il volto coperto da passamontagna o cappucci neri. Si erano stufate di trainare la slitta, e infatti camminavano su due piedi e viaggiavano sul retro di un furgone. Anche loro avevano i sacchi coi doni natalizi: fucili, pistole, granate, persino un mortaio portatile.
Se avessi avuto un equipaggiamento più appropriato avrei potuto realizzare uno dei miei vecchi sogni da uomo anacronistico e liberare il mondo dal flagello di quello spirito maligno che entra nelle case dei bimbi buoni per regalargli qualche brutta sorpresa (dai bimbi cattivi non ci va perché gli fanno paura, pure vigliacco il trippone mascherato). Ma non avevo i mezzi. Sapete, io non ho il porto d’armi, e quando ho chiesto all’armaiolo di fornirmi un paio di pistole di nascosto lui ha fatto un casino, non si può, è contro la legge, mi revocano la licenza, mi arrestano. Per convincerlo ho dovuto dargli più soldi di quanti ne ho spesi in cibarie. Se gli avessi domandato anche un fucile di precisione e un mirino a raggi infrarossi probabilmente non mi sarebbe bastata la liquidazione.
E così eccomi qua, in posizione vantaggiosa ma con due pistole e basta. Uno contro nove armati, due Beretta contro quattro Uzi, due Winchester, un paio di Remington e di tutto di più. Niente da fare, sarebbe un suicidio. Istinto di sopravvivenza. Nascosto e silenzioso in attesa che il nemico se ne vada.
Mentre il sole non sorgeva, e le nuvole cominciavano a far scendere a terra gli odiosi biglietti da visita delle festività noti come “fiocchi di neve”, Santa Claus e le sue renne incazzate hanno visitato proprio la casa che avrebbero dovuto evitare: la cascina in cui avevo stivato la maggior parte delle mie masserizie: taniche di benzina, scatole di proiettili, e decine di casse con cibi inscatolati. In pochi minuti Babbo Natale mi ha rubato tutto. Nuovo mondo, nuova versione: il vecchietto entra in casa e non ti lascia un cazzo, neppure la maledizione, anzi, si porta via le tue cose più preziose.
Ho valutato se fosse il caso di uscire allo scoperto e tentare una sortita in stile guerrigliero sudamericano: spara e nasconditi, spara e nasconditi. Poi mi sono ricordato che sandinisti, tupamaros, sendero luminoso e montoneros non hanno mai vinto una cazzo di rivoluzione che sia una, e ho concluso che anche se mi avessero derubato di tutto, quanto meno mi restava la vita. E due pistole cariche. E persino qualche derrata alimentare che mi ero portato nella mansarda proprio nell’ipotesi di assedio.
Non c’è stato alcun assedio perché loro non mi hanno visto. Le renne, anzi le cavallette natalizie hanno razziato tutto quello che entrava nel furgone. Dopo un’ora sono arrivati i rinforzi: tanti folletti vestiti di verde, con pistole non giocattolo e machete non di plastica e ben tre camionette per caricare il restante. Il paese sembrava ripopolato. Una succursale del polo nord, tra Santa Claus, renne e aiutanti, senza contare il freddo cane e i tetti delle case disabitate imbiancati.
Per fortuna negli ultimi mesi ho imparato a far scorrere le ore inutilmente senza andare in paranoia. Ho atteso sino a dopo il tramonto, quando la notte ha finalmente posto termine all’ennesimo maledetto Natale della mia vita. Sono uscito con estrema cautela, ma tanto loro non c’erano più. Spariti insieme a proiettili e scatolame. E benzina ovviamente, anche se un paio di taniche le tenevo nascoste altrove, vicino al generatore di elettricità autonomo.
Ora sono nudo. Ho autonomia per dieci, dodici giorni al massimo, poi devo diventare predatore. Non più avvoltoio che attende pazientemente le sue vittime e intanto spolpa i resti di una carogna. Non ho più nulla. Devo riorganizzarmi, sicuramente andarmene, anche se dubito che Babbo Natale ritornerà visto che il 25 dicembre è passato. Però non posso rischiare. Faccio il pieno a una vecchia Fiat e parto. Nei dintorni ci sono altri paesi che conosco bene, ma io me li ricordo solo in versione pre-gialla. Cosa siano diventati ora è un mistero. Proprio come il mio domani.

mercoledì 22 dicembre 2010

Post natalizio

Si avvicina il Natale, che io odio per i suoi aspetti ritual-consumistici e retoricamente moraleggianti nel segno dell’ipocrisia (nessun riferimento agli aspetti religiosi che, anzi, riescono invece a rammentarmi il vero significato della Natività).
Comunque sia, mi arrendo al buonismo d’obbligo e per stavolta intendo redigere un post privo di malignità. Oggi 22 dicembre 2010 voglio stilare un’edificante lista di ringraziamenti per chi ha creato quelle piccole cose che mi rendono più piacevole la vita.
Tanti auguri di buon Natale e infinite grazie a:
-la Alpro Soya per la sua soia gusto cappuccino (trovatevi all'improvviso nella situazione di non poter più bere né latte né caffè, e vedrete che la metterete anche voi al primo posto);
-la Mondadori e la Saturn per aver aperto due punti vendita all’interno di un mega-centro commerciale con annesso outlet (provincia di Roma), dove altrimenti rischierei di suicidarmi una volta al mese mentre la mia lei passa ore e ore fra migliaia di negozi di abbigliamento femminile;
-Matt Groening (i Simpson li conoscete tutti no?);
-il tizio che ha avuto la geniale intuizione di aggiungere una parte adesiva ai foglietti di un comune blocco notes e ha ottenuto il post-it, l’arma segreta di noi impiegati distratti;
-e infine, visto che siamo in inverno, onore all’ingegnere automobilistico che ha capito che, sì, le cinture di sicurezza, l’airbag e l’ABS sono importanti, ma aggiungere un bocchettone per l’aria calda all’altezza dei pedali per riscaldarti i piedi se te li senti congelati è comunque una buona idea.

lunedì 20 dicembre 2010

Haiku

Come avevo già accennato nel mio post dedicato al poeta giapponese Kobayashi Issa, ho una certa passione per gli haiku. Mi piace leggerli, e talvolta scriverli, pur consapevole dei miei limiti.
Le regole sono semplici: diciassette sillabe, suddivise in tre versi da cinque, sette, e ancora cinque sillabe. Io spesso faccio il furbo e applico le regole metriche italiane, pertanto considero un'unica sillaba l'unione fra l'ultima sillaba di una parola e la prima della parola successiva se c'é contatto fra vocali. Ad esempio: “azzurro intenso” é composto da sei sillabe, ma io ne conto cinque perché nella poesia classica italiana  sarebbero conteggiate così: az(1)-zur(2)-ro in(3)-ten(4)-so(5).
Una precisazione importante da fare riguarda i contenuti. L'haiku tradizionale é sempre ispirato alle stagioni e alla natura. Tuttavia esistono componimenti che seguono le stesse regole metriche ma sono improntati al paradosso, alla considerazione intellettuale condensata con un tocco di ironia, o comunque a tematiche più connesse all'umanità che non alla natura. Ad esempio questo di Matsuo Basho (n.b.: per esigenze di traduzione la regola delle 17 sillabe non viene rispettata):

Ammalato mentre viaggio,
i miei sogni vagano
su un campo d'erba secca.

che sintetizza splendidamente l'aridità del mondo circostante e quella intima del poeta malato e stanco.
Volevo invitare tutti a provare a comporne qualcuno. Un passatempo in più per queste giornate freddissime da trascorrere al chiuso ;-)

sabato 18 dicembre 2010

Ariano's side of Survival - 2

AVVISO: questo post non rientra nella normale routine del mio blog, ma appartiene al progetto Survival Blog


Un sabato del mese di dicembre, anno 2015

Provo a spiegare meglio come sono andate le cose.
Quando le prime notizie sulla pandemia e sui “gialli” hanno cominciato a circolare ero scettico, ma poi ho visto dei filmati decisamente crudi sulla tv satellitare. Erano canali credibili come NHK e Arirang, ma per la mia famiglia e i miei compaesani era come se quel programma venisse da Marte. I tiggì Mediaset dicevano di stare tranquilli, e allora tutti tranquilli. Cazzo, la parola di Siria Magri contro quella di uno sconosciuto mezzobusto coreano! Chi era quel muso giallo per contraddirla?
Io ho fatto del mio meglio per convincere la mia donna che bisognava subito fuggire in un luogo sicuro perché era in arrivo il ritorno all’epoca della sopravvivenza pura, mors tua vita mea, ma lei niente. Diceva che ero impazzito. Anche gli altri con cui parlavo erano completamente imbambolati davanti alla televisione, che gli diceva di non preoccuparsi. E quindi non si preoccupavano. Dopo il tiggì seguiva il talk show con la Marcuzzi, quindi sta zitto Ariano, rilassati, ne riparliamo il giorno dopo.
Uno spettacolo penoso. Uomini razionali ridotte a amebe col cervello atrofizzato dalla televisione. Allora ho avuto l’illuminazione. Quel che stava succedendo era GIUSTO! I “gialli” rappresentavano un’evoluzione migliorativa dell’uomo, un suo ritorno all’animalismo puro, selvaggio ma nobile, privo di civiltà ma pregno di dignitoso istinto. E allora bisognava adeguarsi. Diventare come loro.
Come già detto, ho onorato la mia donna facendone il mio primo pasto umano. L’ho resa per sempre parte di me. Poi ho noleggiato un camion, speso tutti i miei risparmi in cibi inscatolati, acqua minerale, armi, proiettili e taniche di benzina, e mi sono ritirato in un paesino isolato della Tuscia. Molta gente era fuggita, perché senza più rifornimenti di medicinali, concimi chimici e mangimi per il bestiame, la vita stava diventando difficile. C’erano rimaste due famiglie soltanto, dieci persone in tutto.
Ho sperimentato la sindrome di accerchiamento già al secondo giorno. Loro erano lì da sempre, amici da una vita, e senza viveri. Io ero uno straniero misterioso, un intruso con tonnellate di cibarie… Se avessero deciso che dovevo dividerle con loro, quante speranze avevo di farcela uno contro dieci?
Ma poi ho capito che non dovevo preoccuparmi. Il mondo era cambiato. Survival of the fittest. Niente scrupoli morali. Ragiona come un predatore e precedi le mosse dell’altro. Durante la notte ho caricato le pistole e ho fatto visita ai paesani. Dieci cadaveri. Due me li sono mangiati, gli altri no perché il terzo giorno iniziavano a puzzare e avevo paura che mi facessero male allo stomaco.
Da quel momento sono diventato il padrone del paese. E l’unico abitante.
Ogni tanto passa qualche “giallo”, e io non posso fare altro che bucargli la testa. Li rispetto seguendo un codice d'onore: io li ammazzo così come loro ammazzerebbero me. Un leale rapporto predatore / preda che può invertirsi in qualunque momento.
Ultimamente si vedono anche dei tizi in mimetica, e ovviamente sparo pure a loro. Sulla radio avevo sentito strani messaggi: dei sedicenti “miliziani” parlavano di “controllo del territorio”, ma non ci avevo dato peso. Comunque ho capito che sono peggio dei “gialli”. Non chiedetemi perché, lo dico seguendo l'istinto. Ormai ragiono tramite l’istinto e basta, mi sono adeguato subito a questo ritorno allo stadio semi-animale dei primi uomini. Infatti sono convinto che non è un caso se io ho immediatamente percepito l’importanza epocale della pandemia e ho saputo ambientarmi nel nuovo contesto. Era ciò che aspettavo – e speravo inconsciamente – da un bel pezzo. Mentre cammino fra le viuzze deserte in mezzo alle case di tufo, con la pistola pronta a far fuoco, mi sento in estrema armonia col mondo circostante. Parte del ciclo della natura. Fiori, cani randagi, mosche. E io. Un nuovo vecchio tipo di belva. Homo sapiens, anzi, homo e basta.
Una sensazione meravigliosa.
Oh, intendiamoci: Alex, Glauco, Luca, Temistocle, Ferruccio o qualunque altro mio amico possono transitare da queste parti senza problemi, mica gli sparo addosso. Anzi, magari possiamo scambiare due chiacchiere. A meno che non abbiate beccato il contagio o mi diciate che sono diventato matto. In questi due casi (beh, forse anche in altri tre o quattro casi un po’ più complessi) l’istinto prevarrebbe. Bum. Ma vi giuro che non vi farei soffrire e vi concederei l’onore di essere rispettosamente mangiati. Per sempre nel mio cuore. E nello stomaco.

giovedì 16 dicembre 2010

Libri vissuti - Il Signore degli Anelli

Non necessita di alcuna presentazione. E' stato uno dei fenomeni letterari della seconda metà del XX secolo, capace di riplasmare il genere fantastico e di appassionare milioni di lettori, oltre a spaccare la critica, divisa fra possibilisti e giustizialisti senza appello.
Viene considerato un libro “per ragazzi”, anche se sono in molti a dissentire. Io l'ho letto da adulto, quindi lontano dalle suggestioni adolescenziali e purtroppo parzialmente privo di quell'alone magico che genera spontaneamente la giovinezza. Ma é stato capace ugualmente di farmi vivere la narrazione. Per me é un "libro vissuto" a tutti gli effetti. Perché Tolkien ha saputo spingersi oltre il semplice aspetto avventuroso e fantastico.
La saga di Conan l'ho letta all'età giusta, mi ha coinvolto pienamente, però a distanza di anni mi rendo conto che R. E. Howard raccontava imprese e combattimenti fini a se stessi, sword & sorcery allo stato puro.
Ne “Il Signore degli Anelli” invece c'é la ricerca di una morale, il tentativo di creare dei valori. La seconda metà del '900 è dominata dal relativismo etico e dall'agnosticismo, anche e soprattutto in ambito intellettuale. Tolkien invece prova a dare una sua particolare collocazione a tolleranza, rispetto, rifiuto della violenza gratuita, abnegazione e spirito di sacrificio. Valori cristiani, é stato notato da alcuni. In effetti l'autore era dichiaratamente credente.
Per questa sua capacità di fondere morale e fantastico con risultati davvero straordinari sul piano dell'inventiva letteraria, inserisco la grande trilogia tra i miei “libri vissuti”. Forse non piacerà mai completamente alla critica e agli esperti, ma un romanzo deve piacere soprattutto ai lettori

mercoledì 15 dicembre 2010

Invidia

Ne avevo già parlato in questo post. Un autore che ha scritto un libro e ha fatto degli spot pubblicitari sulla Rai per promuoverlo (presumo a sue spese).
Lo ha rifatto, e stavolta ha usato come testimonial Manuela Arcuri (potete vedere il filmino su youtube).
Ammetto di essere invidioso. Per promuovere un mio libro io al massimo posso fare passaparola con parenti e amici...

martedì 14 dicembre 2010

Svuotando la libreria

Ringraziando le piogge abbondanti e le pessime condizioni delle pareti esterne del condominio, l'umidità ha potuto tranquillamente installarsi nella mia casa. Un'intera stanza da ridipingere, e un mastodontico mobile da spostare: la libreria. Siamo in tre, ognuno coi suoi libri: per bambini, per donne e per bloggers. Circa 500 pezzi, ovviamente tutti da sfilare e accantonare pazientemente in un'altra stanza in attesa che i lavori siano finiti.
Scavare negli scaffali è stata un' autentica operazione archeologica. Sono emersi libri che avevo dimenticato e che mi hanno rievocato dei ricordi.
Intanto l'università. “Fondamenti di Linguistica”, uno dei testi base del mio primo esame. Primo di una lunga serie. Quante nozioni ormai parzialmente dimenticate... “Libri, editori e pubblico nell'Europa moderna” di Armando Petrucci, saggio interessante ma di cui ricordo poco; o “Morfologia lessicale”, spaventoso almeno quanto il titolo.
Poi il periodo successivo alla laurea, quello delle letture libere. Messer Boccaccio e paron Goldoni, quanto è stato più piacevole leggervi in queste edizioni economiche ma integrali dei vostri capolavori invece che spezzettati e incompleti sui manuali scolastici. Niente annotazioni critiche e nessun professore che indirizza il senso della lettura.
E poi ci sono quelle piccole cose legate ai libri in quanto tali, sensazioni che solo un lettore accanito può capire. Quella sorta di feeling che si crea con un testo scritto. Tipo:
il romanzo che hai detto mille volte “lo devo leggere!”, però è lì intonso (spiacente monsieur Flaubert, “L'educazione sentimentale” devo ancora iniziarlo);
il romanzo elogiato dalla critica che che ti é stato consigliato da persone competenti, ma che dopo tre capitoli hai mollato perché proprio non ti prendeva (“Voyage au bout de la nuit”, le voilà, nulla di personale verso Céline anche se di sicuro non gli perdono le sue posizioni antisemite);
le poesie che a venticinque anni ti piacevano, ma oggi non ti incantano più allo stesso modo (T. S. Eliot non se ne abbia a male, ma la “Terra desolata” e gli altri suoi versi ora mi suonano lontani);
i libri che ti hanno regalato pensando di farti una gentilezza, ma che tu non hai mai neppure aperto (non si offenda don Camilleri, ma “Il cane di terracotta” poco mi attira);
quelle rarità che pochissimi altri hanno (ad esempio una raccolta di poesie di Salvador Espriu tradotte in spagnolo con testo originale catalano a fronte);
i classici che hai letto ma, nonostante tutto, non ti sono mai piaciuti (“Giulia o la nuova Eloisa”, ogni volta che vedo la copertina ho l'istinto a chiedere perdono a Rousseau);
i libri che ancora riescono a farti sognare (“I crepuscolari” e le loro patetiche poesie da adolescenti sfigati le sento più autentiche di tante liriche tecnicamente assai superiori);
quelli scritti da amici e parenti (avete mai letto “The point of splitting” o “Invito”? Beh, se non conoscete Sally e non siete nipoti di Renato, sarà difficile che vi siano capitati fra le mani...);
Tanti libri, tante letture e tanti ricordi e sensazioni. Anche una gran fatica per spostarli, lo ammetto, senza contare che fra qualche giorno bisognerà rimetterli a posto uno per uno. Ma si può fare. Per i libri si può fare tutto :-)

lunedì 13 dicembre 2010

Conversazione immaginaria (forse) - 4

TESTIMONE DI GEOVA: Posso rubarle un minuto?
IO: Veramente vado un po’ di fretta…
TESTIMONE DI GEOVA: Le chiedo solo una cosa: lei crede in Dio?
IO: Sì.
TESTIMONE DI GEOVA: Lei è cattolico?
IO: Sì.
TESTIMONE DI GEOVA: Lei lo sa che la chiesa cattolica le fa leggere una versione della Bibbia inesatta?
IO: Un attimo. Se parliamo di traduzioni della…
TESTIMONE DI GEOVA (interrompendomi): Lei non immaginava che la Chiesa Cattolica le dicesse il falso, vero?
IO (abbastanza infastidito perché odio essere interrotto mentre parlo): Allora, la Bibbia…
TESTIMONE DI GEOVA (interrompendomi di nuovo): Lo sa perché le mentono? Perché…
IO (interrompendolo a mia volta con lo sguardo torvo): All’inizio la prima versione utilizzata era la Vetus Latina, traduzione che si basava sulla versione delle Sacre Scritture in lingua greca creata dai leggendari Settanta Saggi di Alessandria d’Egitto del III secolo avanti Cristo. Lei sa chi erano i Settanta Saggi?
TESTIMONE DI GEOVA: No, però…
IO (deciso): E’ vero che lì ci sono delle ambiguità testuali e mancano interamente alcuni libri ritenuti canonici, però già nel IV secolo San Girolamo venne incaricato di redigere una nuova versione, quella storicamente chiamata Vulgata, e per realizzarla fece riferimento a più fonti, compresi documenti appartenenti alle tradizioni di lingua ebraica e aramaica, reperiti sul posto in un’epoca cronologicamente abbastanza vicina alla predicazione di Cristo…
TESTIMONE DI GEOVA (prova a interrompermi ma guardandomi in faccia capisce che non è il caso)
IO (alzando man mano la voce): Anche in questa versione sono presenti delle ambiguità, tuttavia le inesattezze sono per la stragrande maggioranza relative all’incapacità di trovare un giusto corrispettivo tra le parole originali ebraiche e la lingua latina, e ciò può influenzare solo alcune sottigliezze teologiche ma non il messaggio fondamentale del testo. Comunque sia, già negli anni ’60 venne iniziata una revisione della Vulgata facendo riferimento ad altre trascrizioni antiche con le quali è stato eseguito un riscontro incrociato, e il risultato è una nuova traduzione in lingua italiana. Negli anni ’80 è stata creata addirittura una Bibbia interconfessionale concordata fra Chiesa Cattolica e alcune Chiese Protestanti, dove sono riportate delle note a piè di pagina con le possibili varianti interpretative del testo, così qualunque lettore può consultarle liberamente e farsi una sua idea. Mi sa dire un solo cazzo di motivo valido per ritenere che la vostra traduzione sia migliore?!?!
TESTIMONE DI GEOVA (spaventato, allontanandosi man mano): No, beh, io non mi riferivo solo alla traduzione, ma… Comunque buona giornata, arrivederci.

sabato 11 dicembre 2010

Ariano's side of Survival

AVVISO: questo post non rientra nella normale routine del mio blog, ma appartiene al progetto Survival Blog


Sabato 12 (o forse 14, che importanza ha) del mese di dicembre, anno 2015

A voi evidentemente no, ma a me questo mondo nuovo piace proprio tanto.
Sto trascorrendo il fine settimana, cui seguirà il lunedì. Un anno e mezzo fa avrebbe significato uscire di casa infastidito per infilarsi dentro una scatola di metallo, incolonnarsi col gregge delle altre scatole di metallo, sopportare frastuono di motori, clacson e radio che rovinano il sacro silenzio del mattino, perdere tempo insieme a colleghi di lavoro che non sopportavo e che avrebbero appestato l’aria con le loro chiacchiere inutili.
Invece ora é diverso. Lunedì mi alzerò lentamente, e mi godrò la meravigliosa quiete dell’alba facendo un’oziosa passeggiata fra le strade deserte del paesino in cui mi sono sistemato quando ho capito cosa stava accadendo (non prima di essermi dimesso e aver speso qualche migliaio d’euro in cibi inscatolati, taniche di benzina, armi da fuoco e noleggio di un camion. Quelli del supermercato ridevano mentre io caricavo decine di carrelli con lattine e bottiglie per trasferirli sul rimorchio. Adesso credo che non ridano più).
Sarà un lunedì bellissimo. Passerò un’oretta a osservare il cielo, poi un’altra ora in cima al campanile a guardare il panorama dall’alto, poi magari scriverò qualcosa sul blog (buffo come i post di Alex mi abbiano fatto tornare voglia di aggiornarlo). Poi cosa altro farò?… Mah, non c’è fretta, ci penserò con calma quando sarà il momento. Anni fa sarei andato di corsa in ufficio, attraversando la strada sulle strisce pedonali ma rischiando ugualmente di essere investito dal testa di cazzo di turno che guidava e parlava al videofonino contemporaneamente, e si sarebbe pure fatto una risata spiegando al suo amico che stava per mettere sotto una persona, “Divertente no?”… La classica situazione in cui – inevitabilmente – avrei pensato: “L’ammazzerei questo coglione”, per poi invece lasciar perdere perché altrimenti faccio tardi al lavoro, pazienza, e poi ci sono le leggi, la civiltà, verrei denunciato, etc. …
Ora è tutto più semplice. Mi godo la quiete, e se qualcuno la interrompe con un rumore inatteso sono perfettamente legittimato ad alzare la pistola e sparare. Il contesto mi giustifica. Ormai chiunque potrebbe essere un pericolo per me. Bum! Due, tre, sei colpi. Ascolto i rantoli e aspetto di vederlo strisciare moribondo come una lumaca che sbava sangue. Se è un “giallo” gli do il colpo di grazia per non farlo soffrire, gli scavo una fossa e gli porto rispetto, perché loro hanno una logica e una coerenza nelle proprie azioni. Se invece è uno della milizia gli sputo in faccia e lo lascio agonizzare, perché quelli lì mi fanno veramente schifo. Ancora non ho capito chi li comanda e quali sono i loro scopi, ma di sicuro non voglio avere niente a che fare con loro. Se poi, per ipotesi, ho sparato a un essere umano qualsiasi che non c’entrava niente né coi “gialli” né coi nipotini di Rambo… beh, vorrà dire che per questo lunedì non devo aprire nessuna scatoletta. Accendo il fuoco e mi faccio una bella grigliata all’aria aperta, quella che una volta era un momento di relax ritagliato all’interno di una settimana di stress, e adesso invece é la normalità.
Non avrei mai pensato che un giorno lo avrei detto, e invece lo proclamo a gran voce: adoro il lunedì. E anche il martedì, il mercoledì, il giovedì...

giovedì 9 dicembre 2010

Librerie di qualità

Ultimamente si parla molto del rischio che le librerie indipendenti scompaiano e che la distribuzione libraria finisca completamente nelle mani dei tre giganti Mondadori, Feltrinelli e Giunti, più altre catene a livelli minori (abitando in provincia di Roma mi viene in mente la Arion). Ovviamente con un ruolo sempre più preminente per i distributori online IBS, Libreria Universitaria, BOL e Amazon, e una crescente espansione del libro digitale che non necessita di intermediari tra editore e lettore.
In questo contesto, le librerie indipendenti vengono presentate come oasi di libertà in mezzo a un deserto di omologazione, ameni luoghi a metà fra il circolo culturale e il salotto letterario, ovviamente gestite da illuminati intellettuali che amano i libri e non li considerano merce da vendere.
Andando controcorrente, mi dichiaro non del tutto d’accordo. Premessa: è ovvio che bisogna esaminare caso per caso, ogni libreria fa storia a se. E altrettanto ovviamente sono solidale a prescindere con tutti i librai, ai quali auguro di non dover mai abbassare le serrande per cessata attività. Voglio però dire che conosco molte librerie indipendenti che hanno a cuore un solo tipo di vendita: quella dei testi scolastici, per ragioni talmente ovvie che non vale la pena di spiegarle. Espongono anche narrativa, ma solo i romanzi più pompati dalla pubblicità e vincitori di premi letterari, quindi non brillano per l’originalità dell’offerta. E se uno prova a chiedergli un libro di un editore poco noto ti rispondono che lo ordineranno, ma poi magari passano settimane prima che arrivi, e il gestore non sembra particolarmente infastidito dal ritardo… Insomma, in molti casi sono assai peggiori delle Giu-Monda-Feltri
Credo che – come in tutti i settori – ci vuole la passione, e a volte questa latita. Io mi auguro che le librerie indipendenti sopravvivano, però spero che si pongano davvero come una reale alternativa alle grandi catene, e non come la loro brutta copia.

martedì 7 dicembre 2010

Celebrity

In questi giorni mi è capitato di leggere cose pubblicate da autori contemporanei che sicuramente non erano malvagie, però neppure così straordinarie rispetto a libri respinti da vari editori, e che al momento sono leggibili solo tramite il blog dello scribacchino bocciato. Presumo che a volte sia importante avere le conoscenze giuste, quelle che ti permettono di parlare faccia a faccia (e non tramite un plico postale con manoscritto rilegato dentro) con le persone che alla fine decidono materialmente se la tua creazione merita il codice isbn e un contratto firmato oppure no.
Ma un biglietto da visita davvero irresistibile per ogni editore, soprattutto quelli più affermati, è la notorietà. Sei famoso? Sei un politico, un cantante, un comico, un tronista della De Filippi? Di recente sei stato al centro di una caso di cronaca divenuto di interesse nazionale? Vai tranquillo, il tuo libro uno straccio di pubblicazione la rimedia. Non con Feltrinelli, ma almeno uno dei sei editori che reputava il tuo ultimo romanzo non confacente al suo catalogo, beh, di sicuro avrà cambiato idea.
Quindi finora ho sbagliato tutto già dalla premessa: non dovevo spedire manoscritti, perché devo prima diventare famoso. Dopo che ci sarò riuscito potrò iniziare a preparare i plichi. Il problema è soltanto il come…
Partecipare al GF sicuramente mi aiuterebbe, ma temo che dopo il terzo giorno lì dentro andrei in esaurimento nervoso e mi passerebbe la voglia di scrivere, pubblicare, e probabilmente anche di vivere.
Un omicidio atroce, di quelli che i mass media ne parlano morbosamente per cinque anni, potrebbe essere un’opportunità semplice da portare a termine, ma mi scoccerebbe abbastanza trascorrere ben tre mesi in carcere in attesa di essere rimesso in libertà prima sulla parola, poi tramite arresti domiciliari, e infine grazie all’amnistia necessaria a ridurre la densità delle troppo affollate prigioni italiane.
Diventare il nuovo fidanzato della Arcuri sarebbe ugualmente utile, e confesso che questa opzione mi interesserebbe anche se non fosse di nessun aiuto per pubblicare un libro.
Oppure... ci sono altre possibilità? Qualcuno ha dei suggerimenti?

domenica 5 dicembre 2010

Scritture a quattro mani

La scrittura normalmente è un’attività solitaria, ma esistono anche molti casi di libri scritti a quattro mani. Qualche maligno ritiene che questa opzione sia più frequente del previsto, e che parecchi romanzi firmati da autori ormai affermati in realtà sono il risultato di un lavoro d’equipe: autore, shadow writer, editor… il prodotto finale sarebbe assai diverso se fosse stato realizzato dal primo della lista e basta.
Ma io voglio parlare dei casi conosciuti, quelli dichiarati pubblicamente. Wu Ming (e prima ancora Luther Blisset) è lo pseudonimo dietro il quale si nasconde un noto collettivo di scrittura. Fruttero e Lucentini sono due nomi che è difficile immaginare separati l’uno dall’altro. Fantomas, misterioso protagonista di una serie di romanzi di successo a cavallo fra XIX e XX secolo, è nato dal lavoro d’equipe fra Pierre Souvestre e Marcel Allain. La coppia più celebre è però quella dei fratelli Goncourt, Jules e Edmond (quest’ultimo fondatore del premio letterario omonimo, che col tempo è diventato il più prestigioso di Francia).
In questa metodologia é fondamentale che ci sia il giusto feeling tra due menti diverse, e si può arrivare a livelli estremi. Souvestre e Allain avevano sviluppato una sintonia creativa talmente forte che si dividevano i capitoli: fatta la scaletta, uno scriveva quelli pari, l’altro i dispari, e poi facevano un controllo congiunto finale.
Asociale come sono, dubito che riuscirei a lavorare in coppia con qualcun altro. Però a volte mi piace sognare che i miei limiti personali possano essere superati proprio incontrando un partner scribacchino il cui talento si incastri perfettamente col mio: la somma di due decimali incompleti, entrambi con lo zero davanti, che finalmente conduce all’ 1, al genio intero sia pure suddiviso tra due cervelli distinti.
E’ solo una speranza, lo ammetto. Ma non si sa mai…

sabato 4 dicembre 2010

Conversazione immaginaria (forse) - 3

RAGAZZO 1: Guarda, quello nun capisce un cazzo.
RAGAZZO 2: Nun ha mai capito un cazzo.
RAGAZZO 1: Bravo. Hai detto bene: nun ha mai capito un cazzo. Io lo conosco da quando annava a le scuole medie, e già all’epoca diceva solo cazzate.
RAGAZZO 2: E che cazzo deve dì, nun c’ha er cervello.
RAGAZZO 1: Che cervello, quello nun c’ha un cazzo in testa. Completamente vòta.
RAGAZZO 2: Io me chiedo come cazzo fa a raccontà certe cazzate che…
RAGAZZO 1: Le cazzate che s’inventa? Eh, non c’ha limiti!
RAGAZZO 2: Infatti secondo me quello… ma come cazzo fa uno che non capisce un cazzo come lui a esse’ promosso, boh!
RAGAZZO 1: Perché fa pena. Pensano: povero testa de cazzo, promuoviamolo, sennò questo come cazzo fa se je tocca ripete’ l’anno…
RAGAZZO 2: Sì, ma uno che non capisce un cazzo come quello lì, e alla fine è promosso, è uno scandalo, eh! Io mi ci incazzo! Come cazzo se fa, dico io!
RAGAZZO 1: Che ti incazzi? Se sa che più uno è testa de cazzo e più va avanti.
RAGAZZO 2: Ma quello non è un testa di cazzo, quello nun sa un cazzo, che è diverso.
RAGAZZO 1: Nun sa un cazzo, ma è pure testa de cazzo, credime.
RAGAZZO 2: A me, me sta proprio sul cazzo.
RAGAZZO 1: Sapessi quanto sta sul cazzo a me. Io le teste de cazzo nun le sopporto, e lui più de tutti.
RAGAZZO 2: Lui se crede pure d’esse’ stò cazzo, sa? Lo vedi come cazzo s’atteggia certe volte…
RAGAZZO 1: E’ vero, mica se rende conto che non vale un cazzo come persona…
IO (senza pronunciare una parola mi alzo e mi allontano)
RAGAZZO 1: Che je avremo dato fastidio?
RAGAZZO 2: E stì cazzi. Che cazzo vole quello, mo’ nun se po’ manco parlà?
RAGAZZO 1: Sì, infatti stavamo solo a parlà, cazzo, manco che urlavamo.
RAGAZZO 2: Ma nun hai visto che faccia da cazzo che c’aveva? Sarà er classico fio de papà che se crede d’esse’ stò cazzo...
RAGAZZO 1: Un altro testa de cazzo. Semo circondati.
RAGAZZO 2: Che ce voi fa’, è un mondo der cazzo. C’è sempre qualcuno che rompe er cazzo…

venerdì 3 dicembre 2010

Vita

Lo spunto me lo ha fornito il post di Tim su argomenti seri come il biotestamento e l'eutanasia, al quale non ho voluto fare commenti articolati ritenendo di non poter dire nulla.
Il punto é che davvero mi sento impotente di fronte ad argomenti del genere, così come mi sento frustrato davanti all'ineluttabilità del decadimento fisico e della morte. E proprio a causa di questa frustrazione penso spesso che non vorrei mai arrivare a ridurmi a una larva umana, invecchiata e indebolita, senza più uno scopo.
Perché poi alla fine tutto si esaurisce qui: avere uno scopo per andare avanti. Può venire meno anche quando si é giovani, ma almeno la salute e il benessere fisico bastano da soli a fornire una spinta propulsiva, a compiere tanti gesti quotidiani che - fatti con piacere o per puro senso del dovere - finiscono comunque per trascinarti dentro un meccanismo di azioni incrociate coi tuoi simili, di empatia profonda che trascina la vita senza la necessità di percepirne le motivazioni reali.
Quando tuttò ciò viene meno, beh, il suicidio di Monicelli presumo abbia un'origine del genere. Ho una parente stretta che da alcuni mesi é ridotta in condizioni pietose, ha quasi cento anni, e gli ultimi dieci sono stati una progressiva sofferenza, la perdita graduale di vista, udito, mobilità sulle gambe, lucidità.
Io non so se sia giusto togliere la vita a una persona ormai priva di coscienza che, a suo tempo, aveva detto che prima di ridursi così preferiva morire. Non so esprimermi, lo dico con la massima sincerità.
Però sicuramente riesco a capire il profondo stato di prostrazione mentale che può spingere una persona anziana e malata a lasciarsi andare, rifiutare le cure, e magari accelerare quella che ormai le appare come una lenta agonia.

giovedì 2 dicembre 2010

Frank Frazetta

Torno a parlare di illustrazione, e lo spunto me lo hanno fornito i miei vecchi libri di Howard con la saga di Conan il Barbaro.
Avete presente quelle classiche copertine con donne fatali e supersexy, guerrieri muscolosi e invincibili, città incantate e scenari favolosi? Roba palesemente esagerata per letteratura da edicola, ok, perché no. Ma io (prendetemi per blasfemo) riesco a riconoscergli una sua dignità artistica. In fondo quel tipo di immagini sono create appositamente per descrivere un genere, e ci riescono perfettamente.
Partendo da Conan e dalle tante illustrazioni ispirate al ciclo hyboriano, é stato automatico risalire a Frank Frazetta, di cui ho potuto ammirare una gran quantità di tavole messe online sia da siti ufficiali che amatoriali. L'artista americano purtroppo é morto proprio nel corso del 2010, e io posso solo rendergli un omaggio postumo per come ha saputo interpretare gli universi immaginati da Howard e da altri autori del fantastico-sensazionale tipo Rice Burroughs, ma anche "fumettacci" come Creepy. Tutta roba disdegnata dagli intellettuali oltranzisti, ma che un dilettante come me può permettersi di apprezzare.
Io inserisco solo le abituali tre immagini, ma sul web c'é molto altro.