Lo spunto me lo ha fornito il post di Tim su argomenti seri come il biotestamento e l'eutanasia, al quale non ho voluto fare commenti articolati ritenendo di non poter dire nulla.
Il punto é che davvero mi sento impotente di fronte ad argomenti del genere, così come mi sento frustrato davanti all'ineluttabilità del decadimento fisico e della morte. E proprio a causa di questa frustrazione penso spesso che non vorrei mai arrivare a ridurmi a una larva umana, invecchiata e indebolita, senza più uno scopo.
Perché poi alla fine tutto si esaurisce qui: avere uno scopo per andare avanti. Può venire meno anche quando si é giovani, ma almeno la salute e il benessere fisico bastano da soli a fornire una spinta propulsiva, a compiere tanti gesti quotidiani che - fatti con piacere o per puro senso del dovere - finiscono comunque per trascinarti dentro un meccanismo di azioni incrociate coi tuoi simili, di empatia profonda che trascina la vita senza la necessità di percepirne le motivazioni reali.
Quando tuttò ciò viene meno, beh, il suicidio di Monicelli presumo abbia un'origine del genere. Ho una parente stretta che da alcuni mesi é ridotta in condizioni pietose, ha quasi cento anni, e gli ultimi dieci sono stati una progressiva sofferenza, la perdita graduale di vista, udito, mobilità sulle gambe, lucidità.
Io non so se sia giusto togliere la vita a una persona ormai priva di coscienza che, a suo tempo, aveva detto che prima di ridursi così preferiva morire. Non so esprimermi, lo dico con la massima sincerità.
Però sicuramente riesco a capire il profondo stato di prostrazione mentale che può spingere una persona anziana e malata a lasciarsi andare, rifiutare le cure, e magari accelerare quella che ormai le appare come una lenta agonia.
Non posso dare consigli a nessuno (come diceva De Andrè: si danno buoni consigli se non si può dare cattivo esempio), quindi quello che dirò è solo ciò che vivo, e non voglio giudicare la vita di nessun altro.
RispondiEliminaForse perché, per motivi diversi, ho comunciato a 'vivere' da poco, cioé a conoscere un mondo, quello reale, da qualche anno, mi trovo a voler fare tante cose: scrivere, approfondire, studiare, conoscere gente, starle vicino (anche solo la presenza). Però non so dire, nonostante abbia 50 anni e sappia che di buono me ne restaranno forse solo 15-20 (a meno che non muoia a 60!), perché non ho paura di non avere tempo di fare tutto. Forse è la mia vicinanza con le filosofie orientale (attenzione: non voglio dire che chi la pensa così ha risolto i problemi!) che insegnano a seguire il ritmo del tempo e delle cose e quindi ad accettare gli alti e i bassi -ma anche la bibbia lo dice: ogni cosa ha il suo tempo. Forse è una predisposizione innata. Forse è la credenza nella reincarnazione, per cui a volte penso: ma si, quello che non faccio ora è perché lo dovrò fare meglio in un'altra vita. Capisco che il problema non è tanto: le cose da fare, quanto: stare faccia a faccia con la morte. E su questo penso che la cosa migliore sia quella di non crucciarmi 'adesso' per qualcosa che sarà 'più in là', comunque in un momento che non sarò io a decidere; io non potrò scegliere né il come né il quando. Sarà una cosa ineluttabile. Quello che posso fare è 'prepararmi', come la tua parente: lei ha fatto la sua dichiarazione di volontà, che va rispettata, qualunque essa sia. Non possiamo noi decidere per lei, cosa è meglio per quella donna. Dobbiamo mettere la sua volontà davanti alla nostra e ai nostri scrupoli: la vita -o quel che ne resta- è sua.
Hai ragione: davanti a queste cose, restiamo impotenti. Ma non frustrati. E' il carpe diem, capitano, oh mio capitano.
Temistocle
Io ho sempre detto che se mai mi dovessi ridurre in condizioni tali da essere tenuta in vita solo da macchine, senza speranza di tornare indietro, vorrei che qualcuno staccasse la spina.
RispondiEliminaOnestamente... spero che il problema non si ponga mai, né per me né per i miei cari.
Spegnete tutto.
RispondiEliminaTranquilli.
Quello che vogliamo noi è più importante di qualsiasi legge scritta da qualcun altro.