Bazzicando su internet ho trovato una “lettera aperta” del direttore di una piccola casa editrice “istituzionale”. In essa il direttore sostiene di voler mettere in guardia tutti gli aspiranti scrittori dai rischi in cui si può incorrere, e gli fornisce validi elementi per diffidare del “print on demand”, la nuova frontiera dell’editoria che ha però dei limiti notevoli. Il direttore li elenca compiutamente:
-praticamente nessun controllo sulla qualità dello scritto, che viene pubblicato così come è;
-nessun genere di appoggio da parte dell’editore, che si limita a mettere il libro a disposizione sul proprio catalogo on line, senza alcun tipo di promozione, diffusione nelle librerie, inserimento nei circuiti letterari, etc.;
-banalizzazione del sogno di pubblicare un proprio lavoro, dando l’illusione di essere diventati “autori” con un libro stampato in serie ed un numero ISBN fornito tipo “codice a barre”…
-nel complesso: un sistema con cui TUTTI possono pubblicare, a discapito della qualità.
Che dire, sono argomenti ineccepibili. Però, caro direttore, mi permetta di esprimere il mio punto di vista.
Io appartengo ai “banalizzati” che hanno scelto di pubblicare il loro libro col “print on demand”. Per me è comunque una grande soddisfazione dare forma ai miei lavori, anche se magari saranno semplicemente regalati ad amici e parenti, spendendo una cifra molto bassa. Prima non era possibile, a meno che non avessi 5000 euro da buttare via ogni anno. Già questo è un punto a favore del “book on demand”.
E poi non si è soggetti alla “tendenze” del mercato. Al giorno d’oggi sembra che uno debba per forza scrivere un romanzo di almeno 500 pagine. I racconti brevi (guarda caso il mio genere narrativo preferito) difficilmente vengono presi in considerazione. Sono forse stati aboliti?... Mi viene il sospetto che Borges e Poe al giorno d’oggi non riuscirebbero a pubblicare nulla, e i loro manoscritti gli verrebbero rispediti con un modulo prestampato: “Per la pubblicazione prendiamo in considerazione solo romanzi”…
Tutti possono pubblicare senza alcun controllo a discapito della qualità? Vero. Ma i libri “on demand” non si trovano nelle librerie, sono solo su internet. Le librerie continuano ad esporre i libri delle case editrici “istituzionali”, quindi nelle librerie il “degrado” non si dovrebbe notare. Però si nota un’altra cosa: che anche con gli editori famosi TUTTI possono pubblicare. Tutti coloro che sono MEDIATICAMENTE FAMOSI… Ha notato che sono in vendita (o lo sono stati in passato) opere di narrativa firmate da Jovanotti, Marina Ripa di Meana, Maurizio Costanzo, Silvana Giacobini, etc.? Hanno aggiunto qualcosa alla letteratura? Eppure sono stati pubblicati da editori importanti… Poi, per carità, può succedere che il comico Faletti si riveli uno scrittore di talento. Ma in linea di massima é ovvio che qualunque partecipante del “Grande Fratello” mediasettiano o di “Amici” ha la certezza di poter pubblicare il suo romanzo (come infatti è successo…) solo perché sarà sicuramente “comprato” (non necessariamente letto) dai ragazzini che collezionano tutti i “gadgets” relativi ai loro idoli televisivi (mentre uno “scrittore ignoto” come me non ha questa chance, spesso non riesce neppure a far leggere il proprio manoscritto, e comunque deve sperare che l’incipit sia perfetto e che il redattore della casa editrice a cui ha sottoposto il proprio manoscritto non vada di fretta, altrimenti rischia di essere “bocciato” dopo dieci righe…)
Il degrado nella qualità della narrativa ha altre radici, non è certo colpa del “book on demand”.
venerdì 28 agosto 2009
giovedì 27 agosto 2009
Non mi posso lamentare...
Il post del 26 agosto di Alessandro "Alex McNab" ha ispirato (eufemismo per dire che ho letteralmente copiato la sua idea...) il mio post odierno. Ovvero, il punto sulla mia attività da "scrittore dilettante".
Una mia frase classica in merito é: "se solo avessi più tempo libero...". Però, direi che per quanto fatto negli ultimi tre mesi vale piuttosto la frase che ho usato per dare il titolo al post.
Recapitolando:
-ho aperto questo blog con vari post (se siano interessanti o no non spetta a me dirlo);
-ho pubblicato 3 ebook gratuiti su lulu.com;
-ho iniziato la procedura di pubblicazione di un libro con Boopen;
-ho creato tre libri (non da pubblicare ma solo da stampare) tramite ilmiolibro.kataweb;
-ho trascritto sul computer due miei vecchi racconti di cui avevo soltanto la versione cartacea;
-sto traducendo in italiano alcuni racconti di H.H. Munro;
-sto scrivendo alcuni raccontini brevi per realizzare, finalmente, un progetto che avevo in mente da anni;
-ho trovato comunque il tempo di leggere alcuni ebook di altri "maniaci" della scrittura come me;
-sto leggendo altri di questi ebook, più altri due libri la cui lettura é tuttora in corso vista la loro lunghezza e la struttura "a racconti brevi".
Insomma, decisamente, non mi posso lamentare. Speriamo di poter continuare così, e soprattutto di raccogliere qualche frutto prima o poi...
Una mia frase classica in merito é: "se solo avessi più tempo libero...". Però, direi che per quanto fatto negli ultimi tre mesi vale piuttosto la frase che ho usato per dare il titolo al post.
Recapitolando:
-ho aperto questo blog con vari post (se siano interessanti o no non spetta a me dirlo);
-ho pubblicato 3 ebook gratuiti su lulu.com;
-ho iniziato la procedura di pubblicazione di un libro con Boopen;
-ho creato tre libri (non da pubblicare ma solo da stampare) tramite ilmiolibro.kataweb;
-ho trascritto sul computer due miei vecchi racconti di cui avevo soltanto la versione cartacea;
-sto traducendo in italiano alcuni racconti di H.H. Munro;
-sto scrivendo alcuni raccontini brevi per realizzare, finalmente, un progetto che avevo in mente da anni;
-ho trovato comunque il tempo di leggere alcuni ebook di altri "maniaci" della scrittura come me;
-sto leggendo altri di questi ebook, più altri due libri la cui lettura é tuttora in corso vista la loro lunghezza e la struttura "a racconti brevi".
Insomma, decisamente, non mi posso lamentare. Speriamo di poter continuare così, e soprattutto di raccogliere qualche frutto prima o poi...
lunedì 24 agosto 2009
"Il delirio di una fata anziana" recensito
Ho letto con enorme piacere la recensione di Glauco Silvestri del mio racconto "Il delirio di una fata anziana", che si può leggere gratuitamente nella mia "vetrina" su lulu.com (il link é sulla barra di sinistra).
La soddisfazione é doppia: non solo la recensione é positiva, ma arriva da un lettore qualificato come Glauco"31ottobre", uno scrittore che ha già al suo attivo diverse pubblicazioni ed é molto stimato sul web, oltre ad essere una miniera di suggerimenti, idee e informazioni utili per chi si affaccia per la prima volta nel mondo delle pubblicazioni editoriali. Il suo talento meriterebbe maggiore attenzione da parte delle grandi case editrici...
Ovviamente questa recensione é anche uno stimolo per continuare a scrivere col massimo impegno, senza dare troppo peso al fatto che sono solo un dilettante.
La soddisfazione é doppia: non solo la recensione é positiva, ma arriva da un lettore qualificato come Glauco"31ottobre", uno scrittore che ha già al suo attivo diverse pubblicazioni ed é molto stimato sul web, oltre ad essere una miniera di suggerimenti, idee e informazioni utili per chi si affaccia per la prima volta nel mondo delle pubblicazioni editoriali. Il suo talento meriterebbe maggiore attenzione da parte delle grandi case editrici...
Ovviamente questa recensione é anche uno stimolo per continuare a scrivere col massimo impegno, senza dare troppo peso al fatto che sono solo un dilettante.
giovedì 20 agosto 2009
John William Godward
Uno dei miei pittori preferiti é praticamente sconosciuto in Italia. Pensare che invece lui in Italia ci ha vissuto, e il nostro paese rappresentava una fonte di ispirazione per le sue tele improntate al classicismo idealizzato tipico del periodo della Belle Epoque.
John William Godward (1861-1922) é stato un autentico virtuoso dal punto di vista della tecnica, anche se un po' limitato come temi ("donne e marmo", detto da un critico in senso dispregiativo).
A differenza di altri artisti non veniva da un contesto famigliare che lo aveva incoraggiato, anzi, i Godward erano tutti pragmatici banchieri e assicuratori. Persino le lezioni di pittura gli erano state "concesse" solo perché il maestro era un architetto, lasciando quindi pensare che poi il giovane John William si sarebbe indirizzato verso una professione rispettabile come la progettazione di case. Invece scelse la volgarissima pittura...
In parte per questo suo background famigliare, in parte per il suo carattere riservatissimo, rimase al di fuori dei circoli artistici, con pochi amici. Si sa poco della sua vita privata, addirittura non si hanno certezze sul suo volto (l'uomo che compare nel quadro "In attesa di una risposta", riportato qui in alto, dovrebbe essere un autoritratto, ma non esistono foto che possano convalidare questa ipotesi).
Un uomo solitario, che si era comunque creato un buon mercato per le sue tele neoclassiche. Ma senza una spiegazione plausibile, all'età di 61 anni, si tolse la vita. Perché?
Non avendo nessun documento o testimonianza che ci illumini sulla sua vita privata, é possibile solo fare ipotesi. La più accreditata é che avvertiva dei problemi a dipingere con la stessa qualità dei suoi anni giovanili. Gli ultimi quadri, pur riuscendo ugualmente a trovare acquirenti (aveva incassato 125 sterline pochi giorni prima della tragedia per una tela appena conclusa) mostrano una minore nitidezza. E' probabile che non accettasse di vedere la sua arte deteriorarsi.
Oppure (altra ipotesi) era sconcertato dal vedere il dissolvimento dell'ideale di bellezza classica a favore delle nuove correnti pittoriche basate sull'astrattismo e l'espressionismo. Chissà...
Sicuramente é stato un artista che credeva profondamente in quel che faceva.
John William Godward (1861-1922) é stato un autentico virtuoso dal punto di vista della tecnica, anche se un po' limitato come temi ("donne e marmo", detto da un critico in senso dispregiativo).
A differenza di altri artisti non veniva da un contesto famigliare che lo aveva incoraggiato, anzi, i Godward erano tutti pragmatici banchieri e assicuratori. Persino le lezioni di pittura gli erano state "concesse" solo perché il maestro era un architetto, lasciando quindi pensare che poi il giovane John William si sarebbe indirizzato verso una professione rispettabile come la progettazione di case. Invece scelse la volgarissima pittura...
In parte per questo suo background famigliare, in parte per il suo carattere riservatissimo, rimase al di fuori dei circoli artistici, con pochi amici. Si sa poco della sua vita privata, addirittura non si hanno certezze sul suo volto (l'uomo che compare nel quadro "In attesa di una risposta", riportato qui in alto, dovrebbe essere un autoritratto, ma non esistono foto che possano convalidare questa ipotesi).
Un uomo solitario, che si era comunque creato un buon mercato per le sue tele neoclassiche. Ma senza una spiegazione plausibile, all'età di 61 anni, si tolse la vita. Perché?
Non avendo nessun documento o testimonianza che ci illumini sulla sua vita privata, é possibile solo fare ipotesi. La più accreditata é che avvertiva dei problemi a dipingere con la stessa qualità dei suoi anni giovanili. Gli ultimi quadri, pur riuscendo ugualmente a trovare acquirenti (aveva incassato 125 sterline pochi giorni prima della tragedia per una tela appena conclusa) mostrano una minore nitidezza. E' probabile che non accettasse di vedere la sua arte deteriorarsi.
Oppure (altra ipotesi) era sconcertato dal vedere il dissolvimento dell'ideale di bellezza classica a favore delle nuove correnti pittoriche basate sull'astrattismo e l'espressionismo. Chissà...
Sicuramente é stato un artista che credeva profondamente in quel che faceva.
lunedì 17 agosto 2009
Questolibroesiste-2
Essendo un frequentatore di librerie, non posso fare a meno di notare certi titoli che compaiono sugli scaffali...
DISCLAIMER: io ho il massimo rispetto per i libri e per chi li scrive. In questa "rubrica" saltuaria magari non sembrerò tanto rispettoso, ma é solo un modo di scherzare sul variegato universo delle pubblicazioni editoriali italiche, senza voler offendere nessuno.
L'altro giorno, costretto dall'afa ferragostiana a cercare rifugio in un centro commerciale con tanta aria condizionata, sono entrato nell'immancabile libreria e ho visto ben esposto "Vola via con me", sottotitolo: "il nuovo romanzo di Amici" (si, proprio quella cosa lì)... L'editore é la Mondadori, che storicamente era la più prestigiosa casa editrice italiana, fino a quando é stata acquisita da un tizio presidente di una squadra di calcio, primo ministro di un paese del mediterraneo, e proprietario di un network televisivo che trasmette programmi altamente culturali tipo (appunto) "Amici"...
Recensione: per farla bisognerebbe leggerlo, quindi lasciamo perdere.
Consiglio: pochi giorni fa avevo scritto un post in cui dicevo che frequento sempre meno le librerie e ormai tendo a comprare libri su internet... Beh, credo che nelle librerie non ci entrerò più per niente.
DISCLAIMER: io ho il massimo rispetto per i libri e per chi li scrive. In questa "rubrica" saltuaria magari non sembrerò tanto rispettoso, ma é solo un modo di scherzare sul variegato universo delle pubblicazioni editoriali italiche, senza voler offendere nessuno.
L'altro giorno, costretto dall'afa ferragostiana a cercare rifugio in un centro commerciale con tanta aria condizionata, sono entrato nell'immancabile libreria e ho visto ben esposto "Vola via con me", sottotitolo: "il nuovo romanzo di Amici" (si, proprio quella cosa lì)... L'editore é la Mondadori, che storicamente era la più prestigiosa casa editrice italiana, fino a quando é stata acquisita da un tizio presidente di una squadra di calcio, primo ministro di un paese del mediterraneo, e proprietario di un network televisivo che trasmette programmi altamente culturali tipo (appunto) "Amici"...
Recensione: per farla bisognerebbe leggerlo, quindi lasciamo perdere.
Consiglio: pochi giorni fa avevo scritto un post in cui dicevo che frequento sempre meno le librerie e ormai tendo a comprare libri su internet... Beh, credo che nelle librerie non ci entrerò più per niente.
mercoledì 12 agosto 2009
L'università onnipotente
Ho aggiunto un nuovo racconto a quelli sulla mia vetrina su lulu.com
Stavolta é un racconto di fantascienza. Anche se non é un genere in cui io sia particolarmente portato, qualche anno fa ho avuto la cosiddetta "ispirazione" e ho voluto scrivere questa storia ambientata in un mondo simile al nostro, devastato dalle radiazioni e quindi parzialmente post-atomico ma entro certi limiti. La vita continua, ed anche le attività accademiche.
La protagonista del racconto si troverà a lavorare in una prestigiosa università che però si rivela molto diversa da come lei se la immaginava...
Anche stavolta ho scelto la formula dell'ebook gratuito, che può essere scaricato.
Chi ha voglia di leggerlo e poi darmi la sua opinione si accomodi pure. Sono solo 30 pagine, quindi non ruba molto tempo.
EDIT: NON UTILIZZO PIU' LULU.COM, MA E' POSSIBILE SCARICARE I RACCONTI DIRETTAMENTE DAL BLOG (LINK "i miei scritti" SOTTO L'AVATAR).
martedì 11 agosto 2009
Tamerici - 1
Come già detto nel post di rientro dalle ferie, nel corso del mio soggiorno a Montecatini ho potuto riammirare le terme Tamerici, un piccolo gioiello in stile liberty che purtroppo é in stato di semi-abbandono. "Semi" nel senso che la struttura é comunque utilizzata per mostre, iniziative, visite, ma é da un bel pezzo che non viene restaurata. Lo meriterebbe...
Nel post più in basso di questo ho inserito altre foto della struttura.
lunedì 10 agosto 2009
Fastidio in libreria...
Negli ultimi mesi mi é capitato di sperimentare una strana sorta di fastidio nelle librerie... Sono sempre stato un frequentatore assiduo, ma da un po' di tempo provo una specie di disorientamento di fronte alla gigantesca mole di libri di ogni genere (nel vero senso della parola...) accatastati come lattine o confezioni di caffé in un hard discount.
Non l'avrei mai creduto possibile fino a un anno fa, ma ora comincio ad interessarmi ai libri più tramite l'acquisto online. Mi connetto spesso su Amazon e IBS, magari mi leggo delle anteprime su Google libri...
Chissà se questa "saturazione" da libreria ha mai colpito altri bibliomani...
L'importante é che non mi passi mai la voglia di leggere (e possibilmente anche quella di scrivere).
Non l'avrei mai creduto possibile fino a un anno fa, ma ora comincio ad interessarmi ai libri più tramite l'acquisto online. Mi connetto spesso su Amazon e IBS, magari mi leggo delle anteprime su Google libri...
Chissà se questa "saturazione" da libreria ha mai colpito altri bibliomani...
L'importante é che non mi passi mai la voglia di leggere (e possibilmente anche quella di scrivere).
venerdì 7 agosto 2009
Sredni Vashtar
Come dicevo nel mio ultimo post, mi sono improvvisato traduttore. In fondo, visto che ho una laurea in lingue e letterature straniere che non riesco a sfruttare nel mondo del lavoro, perché non provare almeno a farla fruttare nelle mie "inutili" ambizioni letterarie?
H.H. Munro é uno scrittore inglese poco noto in Italia. Scriveva soprattutto racconti brevi permeati di un sottile "british humour", spesse prendendo in giro la buona borghesia dei primi del 1900. In molti casi riesce ad essere perfido, talvolta persino inquietante... Questo é un ottimo esempio.
N.B.: la mia traduzione é "letteraria" più che "letterale". Sono sempre stato dell'idea che la narrativa non é un manuale di istruzioni, quindi si possono fare delle piccole modifiche, ovviamente senza stravolgere nulla e mantenendo intatta la struttura e il senso dell'originale.
SREDNI VASHTAR di Hector Hugh Munro “Saki” – traduzione di Ariano Geta
Conradin aveva dieci anni, ed il dottore aveva espresso la sua professionale opinione secondo la quale il ragazzo non sarebbe sopravvissuto per altri cinque. Il dottore era un damerino smidollato, e la sua opinione contava poco, ma era stata approvata dalla Signora De Ropp che contava moltissimo. La Signora De Ropp era cugina e tutrice di Conradin, ed ai suoi occhi ella rappresentava quei tre quinti del mondo che sono necessari, spiacevoli e reali. Gli altri due quinti, in perenne antagonismo coi precedenti tre, si riassumevano con: se stesso e la sua immaginazione.
In quei giorni Conradin supponeva che avrebbe finito col soccombere di fronte all’efficiente pressione delle cose noiose e necessarie (tipo malattie, restrizioni alle cose piacevoli, e una prolungata monotonia). Senza l’aiuto dell’immaginazione, che cresceva in lui stimolata dalla solitudine, sarebbe crollato già da un pezzo.
La Signora De Ropp non avrebbe mai ammesso con se stessa (neppure nei suoi momenti di maggiore onestà) che a lei Conradin non piaceva. Comunque era quasi certamente consapevole che mettere dei freni a quel ragazzino “per il suo bene” era un dovere che non le risultava per niente fastidioso…
Conradin la odiava con una disperata sincerità, che sapeva mascherare alla perfezione. I pochi sollazzi che riusciva ad escogitare acquisivano un ulteriore piacevolezza grazie al prevedibile fastidio che avrebbero arrecato alla sua tutrice. E poi la teneva fuori dal suo mondo immaginario: lei era una cosa impura e non ne avrebbe mai scovato l’accesso.
Il cupo e deprimente giardino non offriva molte attrattive. Era sovrastato da innumerevoli finestre sempre pronte ad aprirsi per urlargli raccomandazioni tipo: “non fare questo”, “non fare quello”, o “è ora di prendere le medicine”... I pochi alberi da frutto erano tenuti gelosamente fuori dalla portata delle sue manine, come se fossero rari esemplari della loro specie sbocciati in un arido deserto (anche se sarebbe stato difficile trovare un fruttivendolo disposto a pagare dieci scellini per la loro intera produzione annuale…)
Tuttavia c’era un angolo dimenticato, quasi nascosto dietro alcuni arbusti malridotti, in cui si trovava un capanno per gli attrezzi inutilizzato e abbastanza ampio. Le sue pareti erano per Conradin un rifugio, un luogo che poteva cambiare forma da “stanza dei giochi” sino a “cattedrale”. Egli lo aveva popolato con una legione di fantasmi a lui famigliari, evocati in parte dai libri di Storia ed in parte dalla sua mente, ma il capanno poteva vantare anche due reclusi in carne ed ossa.
In un angolo viveva una spennacchiata gallina houdan, sulla quale il bambino riversava tutto il suo affetto non avendo praticamente altri soggetti cui destinarlo. Un po’ più in là, nel buio, si trovava una conigliera divisa in due parti, una delle quali aveva delle fitte sbarre frontali. Era la dimora di un grosso furetto che un amichevole garzone di macelleria aveva furtivamente introdotto nel capanno, con gabbietta e tutto il resto, ricevendo in ricompensa qualche pezzo di argenteria…
Conradin era terribilmente impaurito da quella bestiola flessuosa coi dentini aguzzi, eppure essa costituiva il più prezioso dei suoi possedimenti. La sua presenza nel capanno era una fonte di gioia segreta che gli dava i brividi, e la teneva scrupolosamente nascosta alla “Donna” (così aveva privatamente soprannominato sua cugina). Un giorno aveva inventato un nome per la bestiola, basandosi su elementi che il Cielo soltanto può conoscere, e da quel momento il furetto era divenuto per lui un dio ed una religione.
La Donna si concedeva un po’ di religione una volta a settimana, in una chiesa nei paraggi, e si portava dietro Conradin, ai cui occhi però la messa appariva un rito alieno celebrato in un tempio pagano. Ogni giovedì, nel silenzio flebile e stantio del capanno, egli praticava il suo personale culto con un elaborato e mistico cerimoniale di fronte alla conigliera in legno dove risiedeva Sredni Vashtar, il Gran Furetto. Fiori rossi quando erano di stagione, e bacche scarlatte in inverno, venivano dati in offerta al suo tempio. La bestiola era un dio che dava particolare importanza alla feroce impazienza, all’opposto della religione della Donna che, secondo quanto Conradin aveva potuto constatare, andava di gran lunga nella direzione contraria. Per le grandi celebrazioni veniva sparsa della noce moscata davanti alla conigliera (per la riuscita del rito era fondamentale che la noce moscata fosse stata rubacchiata di nascosto). Tali celebrazioni avevano cadenza irregolare, e venivano proclamate per il festeggiamento di un evento importante. Quando la Signora De Ropp ebbe un forte mal di denti che la tormentò tre giorni, per l’esatta durata di questi tre giorni Conradin eseguì le celebrazioni, riuscendo quasi a convincersi che Sredni Vashtar fosse il responsabile del mal di denti. Se fosse durato un solo altro giorno, le scorte di noce moscata si sarebbero esaurite.
La gallina non venne mai coinvolta nel culto di Sredni Vashtar. Conradin aveva stabilito già da un bel pezzo che essa era anabattista. Lui non aveva la benché minima pretesa di sapere cosa fosse un “anabattista”, ma sperava in cuor suo che fosse fascinoso e assai poco rispettabile. La Signora De Ropp costituiva il suo modello di “rispettabilità”, pertanto lui detestava tutte le cose rispettabili…
A un certo punto l’interesse di Conradin per il capanno degli attrezzi cominciò ad attrarre l’attenzione della sua tutrice. “Non è bene per lui bighellonare in quel posto sia quando c’è il sole che quando fa cattivo tempo” aveva prontamente sentenziato, e un mattino, durante la colazione, aveva annunciato a Conradin che la gallina era stata venduta e portata via durante la notte. Coi suoi occhietti miopi aveva poi squadrato da capo a piedi il bambino, aspettandosi uno scoppio d’ira o di pianto che era pronta a reprimere con un mare di argomenti validi e ragionevoli. Ma Conradin non disse nulla, perché non c’era nulla da dire. Il suo volto pallido provocò forse un momentaneo rimorso alla Signora De Ropp, fatto sta che all’ora del tè pomeridiano c’era un toast a tavola, una prelibatezza che lei aveva proibito sostenendo che gli faceva “male” (e poi anche perché la preparazione di un toast creava caos in cucina, un crimine mortale agli occhi della donna borghese media).
“Credevo che ti piacessero i toast”, aveva esclamato con aria offesa quando si era accorta che lui non lo aveva neppure toccato.
“Qualche volta”, gli aveva risposto Conradin.
Quella sera venne introdotta un’innovazione nel culto del dio-della-conigliera. Conradin abitualmente gli rivolgeva delle preghiere, stavolta invece chiese una grazia.
“Fa una cosa per me, Sredni Vashtar”.
La “cosa” non venne specificata. Visto che Sredni Vashtar era un dio, avrebbe dovuto capire da solo quale fosse. E mentre sospirava pesantemente fissando l’angolo vuoto che prima ospitava la gallina, Conradin ritornò nel mondo esterno che così tanto odiava. Ed ogni notte, nella bramata oscurità della sua camera da letto, ed ogni sera, nella semioscurità del capanno, ripeteva la sua amara litania: “Fa una cosa per me, Sredni Vashtar”.
La Signora De Ropp si accorse che le visite al capanno non erano cessate, e forse era il caso di fare un’ulteriore ispezione…
“Cosa nascondi nella conigliera?”, aveva domandato al bambino. “Scommetto che sono porcellini d’India. Li farò sparire tutti!”.
Conradin non disse una sola parola, ma la Donna mise sottosopra la sua stanza e alla fine riuscì a scoprire il posto in cui la chiave del capanno era stata maldestramente occultata, e a passo di marcia si diresse verso il capanno per aggiungere l’ultimo tassello al mosaico delle sue scoperte…
Era un pomeriggio freddo, e a Conradin era stato ordinato di non uscire di casa. Dalla finestra della sala da pranzo si intravedeva l’ingresso del capanno mezzo nascosto dagli arbusti, e il bambino non poté fare a meno di affacciarvisi. Vide la Donna entrare, e poi la immaginò mentre apriva la porta della sacra conigliera, coi suoi occhietti miopi che scrutavano la paglia ammassata dove era nascosto il dio. Forse la sua goffa impazienza l’avrebbe spinta a dare dei colpetti malevoli alla lettiera…
E Conradin ripeté la sua fervente preghiera per l’ultima volta. Ma mentre pregava sentiva di non riuscire più a credere. Sapeva che la Donna sarebbe uscita fuori dal capanno con quel sorrisetto vomitevole che lui odiava, e che nel giro di un paio d’ore il giardiniere si sarebbe portato via il suo meraviglioso dio, non più un dio ma un semplice furetto dentro una conigliera. E sapeva che la Donna l’avrebbe sempre avuta vinta come la stava avendo vinta in quel momento, e che lui si sarebbe ammalato sempre di più dovendo subire la sua autorità così irritante, prepotente e sagace, fino al giorno in cui non ci sarebbe stato più nulla da fare per lui, dimostrando così che il dottore aveva ragione a dire che gli restavano al massimo cinque anni di vita… E sentendosi addosso il bruciore doloroso della sconfitta, cominciò ad intonare ad alta voce e senza paura l’inno del suo idolo minacciato dal male:
Sredni Vashtar è partito,
I suoi pensieri erano rossi e i suoi denti erano bianchi.
I suoi nemici invocarono la pace, ma egli diede loro la morte.
Sredni Vashtar il meraviglioso.
E poi interruppe all’improvviso il suo canto e si avvicinò al vetro della finestra. La porta del capanno era rimasta socchiusa dal momento in cui la Donna era entrata, e i minuti passavano… Erano minuti lunghissimi, e tuttavia scorrevano. Intanto osservava gli storni che volavano e sfrecciavano in piccoli gruppi lungo il prato. Li contò e li ricontò più volte, tenendo sempre un occhio fisso sulla porta. Una cameriera dalla faccia acida entrò a preparare la tavola per il tè pomeridiano, ma Conradin rimase in piedi, in attesa, con lo sguardo fisso fuori… A piccoli passettini la speranza si stava facendo strada nel suo cuore e, infine, la luce del trionfo illuminò i suoi occhi che sino a quel momento avevano conosciuto solo la malinconica pazienza della sconfitta. Mantenendo nascosta la sua esultanza, tra un respiro e l’altro ricominciò a intonare il cantico della vittoria e della devastazione del suo idolo. E i suoi occhi stavano ammirando la ricompensa tanto attesa: dal capanno fuoriuscì una bestiolina bassa e allungata di colore giallo-bruno, con gli occhi tremolanti di fronte al chiarore morente del giorno, e piccole macchiette sul pelo sotto la mandibola. Conradin si mise in ginocchio mentre il furetto si avvicinava al ruscello artificiale del giardino, restando sorpreso per un attimo ma scovando subito una tavola che poteva fungere da ponte, grazie alla quale raggiunse un cespuglio dove scomparve. Queste furono le gesta di Sredni Vashtar.
“Il tè è pronto”, fece sapere la cameriera con la faccia acida. “Dove è la Signora?”.
“E’ scesa giù nel capanno in giardino, qualche minuto fa” rispose Conradin.
E mentre la cameriera andava ad avvisare la Donna che il tè era servito, Conradin rimediò una forchetta da toast nella credenza e iniziò a prepararsene uno da solo. E mentre lo abbrustoliva, e ci spalmava sopra tanto burro per poi mangiarlo lentamente gustandosi ogni boccone, ascoltava tutti i suoni concitati che provenivano al di là della porta della sala da pranzo. Le rumorose urla della cameriera, il coro di risposte sconcertate dalla cucina, il rimbombare di passi per tutta la casa e le richieste di aiuto ai vicini, e per ultimo, dopo una pausa di silenzio, i lamenti e i rumori goffi di chi stava trasportando in casa un fardello molto molto pesante…
“Chi glielo dice al bambino? Io non ci riesco, non ce la faccio!”, sibilò una voce stridula. E mentre discutevano su chi dovesse dargli la notizia, Conradin iniziò a prepararsi un altro toast…
H.H. Munro é uno scrittore inglese poco noto in Italia. Scriveva soprattutto racconti brevi permeati di un sottile "british humour", spesse prendendo in giro la buona borghesia dei primi del 1900. In molti casi riesce ad essere perfido, talvolta persino inquietante... Questo é un ottimo esempio.
N.B.: la mia traduzione é "letteraria" più che "letterale". Sono sempre stato dell'idea che la narrativa non é un manuale di istruzioni, quindi si possono fare delle piccole modifiche, ovviamente senza stravolgere nulla e mantenendo intatta la struttura e il senso dell'originale.
SREDNI VASHTAR di Hector Hugh Munro “Saki” – traduzione di Ariano Geta
Conradin aveva dieci anni, ed il dottore aveva espresso la sua professionale opinione secondo la quale il ragazzo non sarebbe sopravvissuto per altri cinque. Il dottore era un damerino smidollato, e la sua opinione contava poco, ma era stata approvata dalla Signora De Ropp che contava moltissimo. La Signora De Ropp era cugina e tutrice di Conradin, ed ai suoi occhi ella rappresentava quei tre quinti del mondo che sono necessari, spiacevoli e reali. Gli altri due quinti, in perenne antagonismo coi precedenti tre, si riassumevano con: se stesso e la sua immaginazione.
In quei giorni Conradin supponeva che avrebbe finito col soccombere di fronte all’efficiente pressione delle cose noiose e necessarie (tipo malattie, restrizioni alle cose piacevoli, e una prolungata monotonia). Senza l’aiuto dell’immaginazione, che cresceva in lui stimolata dalla solitudine, sarebbe crollato già da un pezzo.
La Signora De Ropp non avrebbe mai ammesso con se stessa (neppure nei suoi momenti di maggiore onestà) che a lei Conradin non piaceva. Comunque era quasi certamente consapevole che mettere dei freni a quel ragazzino “per il suo bene” era un dovere che non le risultava per niente fastidioso…
Conradin la odiava con una disperata sincerità, che sapeva mascherare alla perfezione. I pochi sollazzi che riusciva ad escogitare acquisivano un ulteriore piacevolezza grazie al prevedibile fastidio che avrebbero arrecato alla sua tutrice. E poi la teneva fuori dal suo mondo immaginario: lei era una cosa impura e non ne avrebbe mai scovato l’accesso.
Il cupo e deprimente giardino non offriva molte attrattive. Era sovrastato da innumerevoli finestre sempre pronte ad aprirsi per urlargli raccomandazioni tipo: “non fare questo”, “non fare quello”, o “è ora di prendere le medicine”... I pochi alberi da frutto erano tenuti gelosamente fuori dalla portata delle sue manine, come se fossero rari esemplari della loro specie sbocciati in un arido deserto (anche se sarebbe stato difficile trovare un fruttivendolo disposto a pagare dieci scellini per la loro intera produzione annuale…)
Tuttavia c’era un angolo dimenticato, quasi nascosto dietro alcuni arbusti malridotti, in cui si trovava un capanno per gli attrezzi inutilizzato e abbastanza ampio. Le sue pareti erano per Conradin un rifugio, un luogo che poteva cambiare forma da “stanza dei giochi” sino a “cattedrale”. Egli lo aveva popolato con una legione di fantasmi a lui famigliari, evocati in parte dai libri di Storia ed in parte dalla sua mente, ma il capanno poteva vantare anche due reclusi in carne ed ossa.
In un angolo viveva una spennacchiata gallina houdan, sulla quale il bambino riversava tutto il suo affetto non avendo praticamente altri soggetti cui destinarlo. Un po’ più in là, nel buio, si trovava una conigliera divisa in due parti, una delle quali aveva delle fitte sbarre frontali. Era la dimora di un grosso furetto che un amichevole garzone di macelleria aveva furtivamente introdotto nel capanno, con gabbietta e tutto il resto, ricevendo in ricompensa qualche pezzo di argenteria…
Conradin era terribilmente impaurito da quella bestiola flessuosa coi dentini aguzzi, eppure essa costituiva il più prezioso dei suoi possedimenti. La sua presenza nel capanno era una fonte di gioia segreta che gli dava i brividi, e la teneva scrupolosamente nascosta alla “Donna” (così aveva privatamente soprannominato sua cugina). Un giorno aveva inventato un nome per la bestiola, basandosi su elementi che il Cielo soltanto può conoscere, e da quel momento il furetto era divenuto per lui un dio ed una religione.
La Donna si concedeva un po’ di religione una volta a settimana, in una chiesa nei paraggi, e si portava dietro Conradin, ai cui occhi però la messa appariva un rito alieno celebrato in un tempio pagano. Ogni giovedì, nel silenzio flebile e stantio del capanno, egli praticava il suo personale culto con un elaborato e mistico cerimoniale di fronte alla conigliera in legno dove risiedeva Sredni Vashtar, il Gran Furetto. Fiori rossi quando erano di stagione, e bacche scarlatte in inverno, venivano dati in offerta al suo tempio. La bestiola era un dio che dava particolare importanza alla feroce impazienza, all’opposto della religione della Donna che, secondo quanto Conradin aveva potuto constatare, andava di gran lunga nella direzione contraria. Per le grandi celebrazioni veniva sparsa della noce moscata davanti alla conigliera (per la riuscita del rito era fondamentale che la noce moscata fosse stata rubacchiata di nascosto). Tali celebrazioni avevano cadenza irregolare, e venivano proclamate per il festeggiamento di un evento importante. Quando la Signora De Ropp ebbe un forte mal di denti che la tormentò tre giorni, per l’esatta durata di questi tre giorni Conradin eseguì le celebrazioni, riuscendo quasi a convincersi che Sredni Vashtar fosse il responsabile del mal di denti. Se fosse durato un solo altro giorno, le scorte di noce moscata si sarebbero esaurite.
La gallina non venne mai coinvolta nel culto di Sredni Vashtar. Conradin aveva stabilito già da un bel pezzo che essa era anabattista. Lui non aveva la benché minima pretesa di sapere cosa fosse un “anabattista”, ma sperava in cuor suo che fosse fascinoso e assai poco rispettabile. La Signora De Ropp costituiva il suo modello di “rispettabilità”, pertanto lui detestava tutte le cose rispettabili…
A un certo punto l’interesse di Conradin per il capanno degli attrezzi cominciò ad attrarre l’attenzione della sua tutrice. “Non è bene per lui bighellonare in quel posto sia quando c’è il sole che quando fa cattivo tempo” aveva prontamente sentenziato, e un mattino, durante la colazione, aveva annunciato a Conradin che la gallina era stata venduta e portata via durante la notte. Coi suoi occhietti miopi aveva poi squadrato da capo a piedi il bambino, aspettandosi uno scoppio d’ira o di pianto che era pronta a reprimere con un mare di argomenti validi e ragionevoli. Ma Conradin non disse nulla, perché non c’era nulla da dire. Il suo volto pallido provocò forse un momentaneo rimorso alla Signora De Ropp, fatto sta che all’ora del tè pomeridiano c’era un toast a tavola, una prelibatezza che lei aveva proibito sostenendo che gli faceva “male” (e poi anche perché la preparazione di un toast creava caos in cucina, un crimine mortale agli occhi della donna borghese media).
“Credevo che ti piacessero i toast”, aveva esclamato con aria offesa quando si era accorta che lui non lo aveva neppure toccato.
“Qualche volta”, gli aveva risposto Conradin.
Quella sera venne introdotta un’innovazione nel culto del dio-della-conigliera. Conradin abitualmente gli rivolgeva delle preghiere, stavolta invece chiese una grazia.
“Fa una cosa per me, Sredni Vashtar”.
La “cosa” non venne specificata. Visto che Sredni Vashtar era un dio, avrebbe dovuto capire da solo quale fosse. E mentre sospirava pesantemente fissando l’angolo vuoto che prima ospitava la gallina, Conradin ritornò nel mondo esterno che così tanto odiava. Ed ogni notte, nella bramata oscurità della sua camera da letto, ed ogni sera, nella semioscurità del capanno, ripeteva la sua amara litania: “Fa una cosa per me, Sredni Vashtar”.
La Signora De Ropp si accorse che le visite al capanno non erano cessate, e forse era il caso di fare un’ulteriore ispezione…
“Cosa nascondi nella conigliera?”, aveva domandato al bambino. “Scommetto che sono porcellini d’India. Li farò sparire tutti!”.
Conradin non disse una sola parola, ma la Donna mise sottosopra la sua stanza e alla fine riuscì a scoprire il posto in cui la chiave del capanno era stata maldestramente occultata, e a passo di marcia si diresse verso il capanno per aggiungere l’ultimo tassello al mosaico delle sue scoperte…
Era un pomeriggio freddo, e a Conradin era stato ordinato di non uscire di casa. Dalla finestra della sala da pranzo si intravedeva l’ingresso del capanno mezzo nascosto dagli arbusti, e il bambino non poté fare a meno di affacciarvisi. Vide la Donna entrare, e poi la immaginò mentre apriva la porta della sacra conigliera, coi suoi occhietti miopi che scrutavano la paglia ammassata dove era nascosto il dio. Forse la sua goffa impazienza l’avrebbe spinta a dare dei colpetti malevoli alla lettiera…
E Conradin ripeté la sua fervente preghiera per l’ultima volta. Ma mentre pregava sentiva di non riuscire più a credere. Sapeva che la Donna sarebbe uscita fuori dal capanno con quel sorrisetto vomitevole che lui odiava, e che nel giro di un paio d’ore il giardiniere si sarebbe portato via il suo meraviglioso dio, non più un dio ma un semplice furetto dentro una conigliera. E sapeva che la Donna l’avrebbe sempre avuta vinta come la stava avendo vinta in quel momento, e che lui si sarebbe ammalato sempre di più dovendo subire la sua autorità così irritante, prepotente e sagace, fino al giorno in cui non ci sarebbe stato più nulla da fare per lui, dimostrando così che il dottore aveva ragione a dire che gli restavano al massimo cinque anni di vita… E sentendosi addosso il bruciore doloroso della sconfitta, cominciò ad intonare ad alta voce e senza paura l’inno del suo idolo minacciato dal male:
Sredni Vashtar è partito,
I suoi pensieri erano rossi e i suoi denti erano bianchi.
I suoi nemici invocarono la pace, ma egli diede loro la morte.
Sredni Vashtar il meraviglioso.
E poi interruppe all’improvviso il suo canto e si avvicinò al vetro della finestra. La porta del capanno era rimasta socchiusa dal momento in cui la Donna era entrata, e i minuti passavano… Erano minuti lunghissimi, e tuttavia scorrevano. Intanto osservava gli storni che volavano e sfrecciavano in piccoli gruppi lungo il prato. Li contò e li ricontò più volte, tenendo sempre un occhio fisso sulla porta. Una cameriera dalla faccia acida entrò a preparare la tavola per il tè pomeridiano, ma Conradin rimase in piedi, in attesa, con lo sguardo fisso fuori… A piccoli passettini la speranza si stava facendo strada nel suo cuore e, infine, la luce del trionfo illuminò i suoi occhi che sino a quel momento avevano conosciuto solo la malinconica pazienza della sconfitta. Mantenendo nascosta la sua esultanza, tra un respiro e l’altro ricominciò a intonare il cantico della vittoria e della devastazione del suo idolo. E i suoi occhi stavano ammirando la ricompensa tanto attesa: dal capanno fuoriuscì una bestiolina bassa e allungata di colore giallo-bruno, con gli occhi tremolanti di fronte al chiarore morente del giorno, e piccole macchiette sul pelo sotto la mandibola. Conradin si mise in ginocchio mentre il furetto si avvicinava al ruscello artificiale del giardino, restando sorpreso per un attimo ma scovando subito una tavola che poteva fungere da ponte, grazie alla quale raggiunse un cespuglio dove scomparve. Queste furono le gesta di Sredni Vashtar.
“Il tè è pronto”, fece sapere la cameriera con la faccia acida. “Dove è la Signora?”.
“E’ scesa giù nel capanno in giardino, qualche minuto fa” rispose Conradin.
E mentre la cameriera andava ad avvisare la Donna che il tè era servito, Conradin rimediò una forchetta da toast nella credenza e iniziò a prepararsene uno da solo. E mentre lo abbrustoliva, e ci spalmava sopra tanto burro per poi mangiarlo lentamente gustandosi ogni boccone, ascoltava tutti i suoni concitati che provenivano al di là della porta della sala da pranzo. Le rumorose urla della cameriera, il coro di risposte sconcertate dalla cucina, il rimbombare di passi per tutta la casa e le richieste di aiuto ai vicini, e per ultimo, dopo una pausa di silenzio, i lamenti e i rumori goffi di chi stava trasportando in casa un fardello molto molto pesante…
“Chi glielo dice al bambino? Io non ci riesco, non ce la faccio!”, sibilò una voce stridula. E mentre discutevano su chi dovesse dargli la notizia, Conradin iniziò a prepararsi un altro toast…
giovedì 6 agosto 2009
Rientro dalle ferie...
... ovviamente con caos connesso in ufficio e montagne di fogli NON LETTERARI da evadere... Detto con poca eleganza: CHE PALLE!
Comunque i giorni trascorsi a Montecatini sono stati utili non solo al corpo ma anche alla mente. Ho trovato il tempo di leggere La lentezza di Milan Kundera, di vedere una mostra sui "macchiaioli" toscani (magari ne riparlerò più approfonditamente), ho potuto ammirare nuovamente la bellezza stile liberty delle terme Tamerici in colpevole stato di semi-abbandono (anche qui magari ci ritornerò sopra), e tanto per atteggiarmi a intellettuale in vacanza (non lo ero ma mi piaceva immaginarmi così) ho iniziato a tradurre in italiano alcuni racconti di H.H. Munro.
Se riesco a smaltire la montagna di fogli sulla scrivania prima che mi crolli addosso, conto di ritornare ad aggiornare il blog con maggiore frequenza...
Comunque i giorni trascorsi a Montecatini sono stati utili non solo al corpo ma anche alla mente. Ho trovato il tempo di leggere La lentezza di Milan Kundera, di vedere una mostra sui "macchiaioli" toscani (magari ne riparlerò più approfonditamente), ho potuto ammirare nuovamente la bellezza stile liberty delle terme Tamerici in colpevole stato di semi-abbandono (anche qui magari ci ritornerò sopra), e tanto per atteggiarmi a intellettuale in vacanza (non lo ero ma mi piaceva immaginarmi così) ho iniziato a tradurre in italiano alcuni racconti di H.H. Munro.
Se riesco a smaltire la montagna di fogli sulla scrivania prima che mi crolli addosso, conto di ritornare ad aggiornare il blog con maggiore frequenza...
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