Qualche anno fa vidi una commedia
inglese abbastanza simpatica, pur senza essere memorabile.
Il protagonista è uno sceneggiatore
televisivo di mezza età, un tranquillo uomo sposato che sta creando
lo script per un film, al quale viene affiancato un giovane regista
trasgressivo.
Discutendo a proposito di una certa
scena, il regista propone che la protagonista assuma delle sostanze
stupefacenti e abbia un trip visionario, ma lo sceneggiatore si
oppone sostenendo che il personaggio in questione non fa ricorso a
droghe.
Il regista lo fissa perplesso e gli
chiede di confermargli se, come lui aveva capito, si tratta di una
donna che ha superato i trent’anni.
Lo sceneggiatore conferma.
Allora il regista si fa ancora più
perplesso, poi di colpo radioso, e pieno di entusiasmo elogia la
fantasia incredibile dello sceneggiatore. Si complimenta sinceramente
con lui perché è riuscito a immaginare una trentenne che non si è
mai drogata in vita sua, una cosa inverosimile…
Questa scena sopra le righe racconta
bene il rischio in cui incorriamo spesso come lettori (o
scribacchini): contestualizziamo i personaggi e i loro comportamenti
in base alle nostre esperienze personali e – soprattutto –
all’epoca e al luogo in cui viviamo, dimenticandoci che non siamo i
depositari dell’esperienza umana nella sua totalità. Socialmente,
geograficamente e cronologicamente parlando noi ne sperimentiamo
soltanto una piccola porzione, saremmo dei presuntuosi se credessimo
che la nostra limitata conoscenza possa essere estesa universalmente.
Invece spesso capita. Magari si legge
un romanzo vecchio di duecento anni e di fronte alle smanie coniugali
della protagonista viene da pensare: “Ma questa è ossessionata
solo dall’idea di sposarsi? Che razza di femmina superficiale e
insignificante!”, dimenticando che due secoli fa per una donna
molte strade erano chiuse, e restare “zitella” significava
trascorrere la propria vita a invecchiare precocemente facendo da
badante ai genitori e a vivere in condizioni economiche assai
precarie, visto che le ricchezze di famiglie sarebbero state
utilizzate come dote per le sorelle sposate, e la sorella nubile non
avrebbe potuto neppure lavorare per mantenersi poiché all’epoca le
donne erano escluse dall’istruzione e conseguentemente da molte
carriere professionali.
Oppure, tornando all’ambito
cinematografico, mi viene in mente una scena di una commedia
americana degli anni ’30 con James Stewart e Ginger Rogers in cui
una grassa cameriera nera si dichiara pronta a lasciare suo marito se
per caso questi le proibisse di fumare. Vista con gli occhi di oggi
può sembrare una sequenza di cattivo gusto: il classico stereotipo
razziale che dipinge la donna nera come una popolana ignorante dedita
a vizi sottoproletari che possono nuocere alla salute. Ma nel corso
del film anche Ginger Rogers fuma piuttosto disinvoltamente (i
pericoli della nicotina erano sottovalutati a quell’epoca) e scopre
che persino sua suocera ama il tabacco e fuma di nascosto per evitare
rampogne dal marito. Pertanto è verosimile che gli spettatori degli
anni ’30 percepissero la scena con la cameriera di colore in modo
tutt’altro che negativo: probabilmente lei incarnava la semplicità
e la schiettezza delle donne del popolo in contrasto con l’ipocrisia
delle dame dell’alta società.
Insomma, occorre saper contestualizzare
in maniera corretta, altrimenti si rischia di fraintendere
completamente la condotta e il simbolismo dei personaggi.
Alzi la mano chi è caduto almeno una
volta in questo errore…
Io ci provo sempre a contestualizzare.. a volte quasi giustificare, ma non sempre mi riesce.. ^^
RispondiEliminaNon riesce facilmente a nessuno, te lo posso garantire ;-)
EliminaÈ verissimo quello che dici. Però io non riesco ugualmente quando leggo a non immedesimarmi nei personaggi (quando sono raccontati come si deve!)... a modo mio! Mi capita anche abbastanza spesso che inizio a seguire un personaggio in una storia e mi ci affeziono. Poi all'improvviso fa qualcosa di strano in base alle mie aspettative e non riesco più ad andare avanti. Lo stesso mi succede con i film: se c'è qualche personaggio che esce dall'idea che me ne sono fatto, mi sta subito antipatico. So che è stupido, ma è così! Ti faccio un esempio: sto seguendo in TV la serie del commissario Wallander, in una nuova edizione. Come sai Mankell è uno degli autori che amo di più, ho letto tutti i libri della serie del commissario di Ystad, e so che il rapporto tra lui e la figlia è molto conflittuale. Ora in questa trasposizione il personaggio di Linda compare sin dall'inizio (mentre nei romanzi, che coprono un arco di diversi anni, diventa poliziotta solo negli ultimi romanzi), probabilmente per inserire un personaggio femminile, e il suo comportamento mi risulta veramente scostante, molto più di quanto non lo sia stato nelle storie originali. Perciò continuo a guardare la serie (per il resto mi sembra fatta abbastanza bene) ma quella parte non la sopporto!
RispondiEliminaBeh, le trasposizioni che alterano i personaggi sono fastidiose. Io non sopporto l'ultima versione di Sherlock Holmes interpretato da Robert Downey, non mi piace proprio.
EliminaA me è successo l'opposto di recente con una miniserie inglese ambientata nel 600, The devil's whore. In questo caso mi ha dato fastidio proprio l'apparente incapacità degli autori di situarsi nel contesto dell'epoca. La protagonista sembrava una donna del XX secolo che avesse fatto un viaggio nel tempo e alla fine, dopo due episodi, ho smesso di seguire la serie.
RispondiEliminaPuò capitare anche quello, ovvio. Anche questa è una mancanza di contestualizzazione, però da parte dell'autore.
EliminaE' sempre difficile contestualizzare, bisogna la capacità di immaginazione...
RispondiEliminaImmaginazione e a volte anche un po' di cultura di base.
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