Il post odierno si discosta parecchio dalla programmazione ordinaria del blog. I contenuti sono particolarmente seri, e ovviamente c'è un motivo.
L'idea è nata qualche mese fa in seguito a uno scambio di commenti con l'amico Nick. L'intento è di mantenere viva la memoria della guerra vissuta dai nostri padri nei luoghi in cui si trovavano.
Di Civitavecchia, la città in cui sono nato, ho già parlato qui
Il 14 maggio è una data drammatica per la sua storia poiché è il giorno in cui dovette subire il primo bombardamento ai tempi della seconda guerra mondiale, nell'anno 1943. Il bollettino militare dell'epoca parla di "circa 200 bombe" sganciate sull'abitato. Ma il dato numerico che fa realmente impressione è quando vengono "segnalati 286 morti e oltre 300 feriti".
Fu solo l'inizio. Per dodici mesi esatti, sino a maggio del 1944, la città venne costantemente colpita dai bombardieri angloamericani (87 incursioni) che distrussero quasi completamente l'abitato, senza fare distinzioni fra obiettivi militari e edifici civili. I morti complessivi furono circa quattrocento, compresi i miei bisnonni paterni.
La mia generazione mantiene una memoria viva di quell'evento pur non avendolo vissuto, poiché è la generazione di chi è cresciuto con genitori, nonni e zii che parlavano spesso di quel periodo così nero. Sin da bambino ho sentito raccontare decine di volte i ricordi, gli episodi, gli aneddoti di quei momenti durissimi, con descrizioni così dettagliate che ho finito per averne quasi una percezione vivida.
Così, anche se ovviamente quella che segue è solo la mia immaginazione, in una giornata del genere io provo a vedere quei ricordi di famiglia.
Dunque è il 14 maggio 1943. L'ipotesi che Civitavecchia (come qualunque altra città italiana) possa essere colpita dai "nemici" non è improbabile, c'è tensione già da parecchi giorni.
Vedo mia zia, una donna sposata da pochi anni e ancora giovanissima. Sta versando dell'acqua nel lavabo e lo scroscio risuona fra le pareti. É particolarmente intenso, in effetti troppo intenso... Il suono diventa cupo, c'è qualcosa di innaturale. Mia zia gira gli occhi verso la finestra e si accorge che i vetri stanno tremando.
É colta dal panico. Corre giù per le scale, urla "Arrivano! Arrivano!"
Ormai il rombo dei quadrimotori risuona nitido nell'aria. Mia zia e sua sorella corrono giù in cantina, non la scelta migliore, ma sono due giovani poco più che ventenni e hanno il terrore addosso.
Si ode il primo boato, poi un secondo, un terzo.... In pochi secondi è impossibile distinguerli l'uno dall'altro, è un'esplosione continua e il soffitto sembra vibrare. Le due sorelle si appiattiscono su una parete della cantina e pregano Cristo di proteggerle da quell'apocalisse.
All'improvviso, una deflagrazione più potente delle altre. É come se un camion a tutta velocità si fosse schiantato sul muro. Le due giovani si ritrovano scaraventate sulla parete opposta, mentre quella dove si appoggiavano un attimo prima si è riempita in un istante di crepe, l'intonacatura è venuta via ed è sparsa sul pavimento, c'è una nuvola di polvere. Le due sorelle urlano e invocano Dio. Ormai mia zia si aspetta di morire, è convinta che alla prossima esplosione lei e sua sorella lasceranno questo mondo.
Ma adesso i boati tuonano più lontani, e poi sembrano finalmente terminare. I boeing hanno sganciato i loro ordigni e se ne sono andati via, lasciandosi dietro un silenzio che ora appare irreale. Le due giovani salgono prudentemente lungo le scale: gli tremano le gambe, ma arrivano fino al portone di casa e lo aprono. L'aria sembra diventata tossica, tuttavia escono fuori per vedere. Lo sguardo si fissa sgomento sulla casa dei loro vicini. Che non esiste più. Sono rimasti solo dei tronconi di mura accartocciate al suolo. Le altre palazzine lungo la via sono ancora in piedi, ma con larghe crepe, a una è crollata la facciata. La strada è sventrata da una voragine. Si odono dei lamenti, ci sono colonne di fumo, un odore acre brucia le narici. Una sorella, la minore, quella ancora signorina, si porta le mani sugli occhi e piange sommessamente. L'altra, quella sposata, le poggia un braccio sulle spalle e la tiene stretta a se.
E ora vedo mio nonno, un uomo sui trent'anni che, in mezzo al caos, rivolgendosi a gente sconvolta quanto lui, chiede notizie dei suoi genitori. Viene a sapere che purtroppo sono rimasti feriti, forse travolti da un crollo. Alcuni parenti li hanno caricati su un carro per portarli nel vicino paese di Allumiere, visto che l'ospedale locale (a sua volta danneggiato dalle bombe) non è in grado di soccorrere tutti: ci sono centinaia di persone che necessitano di essere medicate. Malgrado il comprensibile clima di paura che lo circonda, mio nonno vuole andare da loro. La distanza è di pochi chilometri, ma in quel contesto è un viaggio non facile. Però sono i suoi genitori, coloro che gli hanno dato la vita. Dopo essersi organizzato per mettere al sicuro moglie e figli, si avvia verso Allumiere montando come passeggero sul carro di un contadino. Scoprirà che il viaggio della speranza non è servito: i suoi genitori avevano riportato delle ferite troppo gravi, non c'è stato modo di salvarli.
Mio nonno li rivede, ma soltanto per porgergli l'ultimo saluto. Lui ha una grande passione per la poesia, ha sempre una penna in tasca pronta a dare forma all'ispirazione creativa. Stavolta però gli serve solo per scrivere su una bara "papà" e sull'altra "mamma". Un gesto di affetto e anche un modo per riconoscere i feretri quando li farà riesumare, perché il giorno in cui la guerra sarà finita lui conta di riportarli a Civitavecchia e seppellirli lì, dove sono nati e dove sono tutti i loro antenati.
Ma quando sarà "tutto finito?"
Purtroppo non tanto presto. Come dicevo, quello fu solo il primo di numerosi bombardamenti.
Inevitabilmente quasi tutti i civili sono obbligati a fuggire verso i paesi vicini (i miei famigliari scelgono Monte Romano, dove hanno dei parenti). Peraltro bisogna sperare che quei paesi non siano inseriti nell'elenco degli obiettivi militari. Ma gli aerei seguono una rotta, e quando il rombo cupo dei bombardieri inizia a risuonare nell'aria nessuno può sapere se stanno solo transitando per proseguire oltre, o se invece scateneranno l'inferno.
Ed ecco che stavolta vedo mio zio. Mio padre ha solo cinque anni, non è pienamente consapevole di quello che sta accadendo. Ma suo fratello maggiore - pur essendo in fondo anche lui un bambino - ormai è abbastanza grande da capire l'orrore che incombe su di loro: il rumore sinistro dei quadrimotori americani è un potenziale messaggero di morte e distruzione, e con tremenda lucidità lui se ne rende conto. Mia zia - quella che si era rifugiata in cantina con la sorella - quando quel suono orribile echeggia fra le nuvole osserva il nipote e viene presa dalla paura assurda (ma neanche tanto a pensarci bene) che il ragazzino possa morire non per le bombe, ma per un arresto cardiaco: in quei momenti il pallore del suo volto è quello di chi sta per avere un collasso, gli si legge il terrore negli occhi. Purtroppo quel ragazzino ne dovrà passare ancora tante di giornate simili. Gli toccherà crescere in fretta e superare precocemente ogni paura, come d'altronde tutti i bimbi della sua generazione.
Intanto la guerra, oltre alla distruzione, porta la fame. I risparmi finiscono rapidamente, e comunque nel caos degli eventi bellici gli approvvigionamenti alimentari sono talmente difficoltosi che può persino capitare che, pur avendo ancora qualche soldo in tasca (nonché l'imprescindibile tessera annonaria), tale disponibilità economica sia inutile perché lo spaccio ha terminato le provviste.
Ora vedo mio padre. É un bambino di cinque anni che sta perdendo peso per quanto poco mangia. Gli adulti si arrangiano come possono, ma non è facile. Può capitare che vedano un contadino con ceste piene di piccoli legumi verdi che sembrano fave. Gli chiedono se è così, ma l'uomo spiega che in realtà li colgono da una pianta selvatica e che quei frutti vengono chiamati "favette": sono così amare e cattive che le usano solo come mangime per il bestiame. Teoricamente sono utilizzabili anche per l'alimentazione umana, non sono velenose; però talmente disgustose che, no, nessuno le mangerebbe.
Con un po' di imbarazzo mia nonna chiede: "Ce ne regalerebbe un sacchetto?..."
Per mesi vanno avanti con queste soluzioni di fortuna: grasso di pecora bollito, pane casereccio razionato sino a diventare rifatto. Eppure capitano giorni in cui mio nonno sostiene di non avere fame. Nonostante lo stupore generale insiste a dire che, no, davvero, non ha appetito, e quindi spezza la sua parte di pane in due e... la da ai figli piccoli.
La fame è un problema comune fra gli sfollati. Al marito di mia zia, calzolaio, ogni tanto qualcuno chiede "un buco in più sulla cinta". Ovviamente sempre a stringere. Lussi come il caffè e il tabacco non sono neppure da prendere in considerazione, perciò qualche concittadino prova a ingannare il palato sorseggiando infuso di cicoria, mentre i fumatori incalliti riempiono la cartina con tritume di foglie secche e fanno finta che sia una vera sigaretta.
Ma la guerra non vuole saperne di finire e li insegue persino in quel paesino strategicamente inutile: un giorno un aereo nemico lo sorvola e sgancia una bomba che cade inesorabilmente proprio verso la piazza centrale dell'abitato, è l'incubo che continua. Però fortunatamente l'ordigno non esplode. Si schianta sul selciato come un blocco di metallo inerte. Forse un cedimento strutturale, o forse l'equipaggio dell'aereo doveva sbarazzarsi di una bomba difettosa e con l'occasione ha voluto prendersi gioco dei civili nemici. Oppure era un atto voluto, impedito solo dalla casualità (non infrequente) di un innesco difettoso. Mio padre si avvicina con curiosità infantile a quella sorta di lungo silos, subito fermato da mia nonna che lo trascina via. L'oggetto resterà per qualche giorno lì in mezzo, come un monito, prima di essere neutralizzato.
La guerra è soprattutto un meccanismo infame che disumanizza chi vi si trova coinvolto. Così, una mattina in cui i miei famigliari stanno camminando verso l'orto di un parente per raccogliere qualche ortaggio, si accorgono che un incursore americano sta planando verso il basso. Loro sono due uomini in borghese, alcune donne e persino due bambini: certamente non hanno l'aria di un contingente militare. Stanno fuori dal paese, l'orto in cui si stanno recando è a un passo dal cimitero e non ci sono edifici che possano nascondere postazioni belliche. Eppure l'incursore aziona la mitragliatrice. Dal cielo arrivano proiettili, i miei parenti iniziano a correre terrorizzati. Dura solo pochi istanti per fortuna, l'aereo riprende subito quota e prosegue il suo volo. Ma perché il pilota ha compiuto un gesto simile? Per crudeltà? Per frustrazione, perché magari aveva visto morire un suo commilitone abbattuto da quei "bastardi" degli italiani? Per un errore di valutazione, di cui poi si sarà pentito dopo aver capito che quelle figure che scorgeva dall'alto erano solo un gruppo di civili? Chi lo sa, chi lo può dire? Come dicevo, il meccanismo della guerra è proprio disumanizzare un essere umano.
Intanto i miei famigliari riprendono fiato. Sembra che nessuno sia rimasto neppure ferito, meno male. Ancora spaventati proseguono il loro cammino verso l'orto e lì, purtroppo, scoprono che qualcuno è stato meno fortunato. Un contadino monteromanese è riverso al suolo. Mio padre, un bimbo di cinque anni, vede a pochi passi da lui un uomo colpito a morte da proiettili sparati a caso da un aereo...
Le privazioni e la paura continuano fino alla tanto agognata conclusione della guerra, che però non significherà tornare subito alla vita precedente. Quasi tutta Civitavecchia è stata distrutta, e anche la loro casa è una delle tante ridotte in macerie. A mio zio, sebbene, sia solo un bimbo da quinta elementare, viene chiesto di aiutare il papà a scavare tra le mura crollate, alla ricerca di qualcosa di salvabile. E quel papà - mio nonno - qualcosa recupererà. Darà particolare importanza affettiva a degli spartiti, perché lui è anche un maestro di musica e adora l'opera. Ma per il momento c'è poco da cantare. Ci vorranno ancora anni per poter tornare a vivere in una sorta di normalità. Gli anni della ricostruzione, delle ristrettezze economiche e dei grossi sacrifici del dopoguerra, grazie ai quali quelli della generazione successiva - la mia - hanno potuto vivere in un contesto decisamente più favorevole.
Ed è questo il motivo per cui noi figli e nipoti, pur non avendo vissuto di persona quegli anni orribili, ne manteniamo viva la memoria: perché siamo consapevoli che abbiamo beneficiato in prima persona di quei sacrifici e non potremo mai ringraziare abbastanza coloro che si sono impegnati tanto per permettercelo.
Un racconto commovente, di cuore e di pancia... Fare memoria non costa niente ma mantiene viva la vita dell'uomo, la fa passare di generazione in generazione, non fa disperdere esperienze ed energie. Se non facessimo memoria anche attraverso scritti come il tuo, non sapremmo più nulla delle nostre origini e quindi di noi stessi.
RispondiEliminaSì, in effetti quello che più mi affascina dei ricordi delle persone anziane è il fatto che ti permettono di vedere gli aspetti più immediati di come fosse la vita ai loro tempi. Tanti piccoli dettagli che fanno capire come possiamo ritenerci molto fortunati noi oggi.
EliminaÈ un racconto straordinario, emotivamente travolgente. Racconti quei fatti come se li avessi davvero vissuti, si sente e si respira una pregnante veridicità emotiva oltre che storica, e questo mi ha fatto immergere in quei momenti, me li ha fatti vivere con le stesse paure, lo stesso dolore, la medesima sofferenza e la stessa voglia di sopravvivere. Un post davvero incredibile, parole importanti per non dimenticare cosa sia una guerra parole che scavano nel profondo dell'animo umano, parole che mi hanno toccato il cuore.
RispondiEliminaGrazie, bellissime parole le tue che mi onorano. Io ho solo trasposto con parole mie situazioni che mi sono state raccontate dai mie famigliari più anziani, e che hanno emozionato anche me mentre le ascoltavo dalla loro voce.
EliminaBellissimo racconto, hai fatto molto bene a mettere su carta questi ricordi. Mi sono commossa a leggerli, e mi sono anche resa conto di come, a paragone, i miei genitori e i miei nonni siano stati più fortunati perchè, benchè fossero sfollati in campagna dai parenti, non hanno mai patito la fame così.
RispondiEliminaGrazie. Le situazioni specifiche dipendono sempre da tanti fattori. Per dire, mia madre venne provvidenzialmente affidata ai nonni in Abruzzo, e lei non ha ricordi negativi di quei momenti perché dove si trovava lei la guerra passò di striscio e quindi non ebbe nessun disagio.
EliminaTi ringrazio per questa splendida testimonianza, così come ti ringrazio per aver raccolto il mio vecchio invito a raccontare i ricordi di guerra della tua famiglia. Tremendo quello che è successo in quegli anni, tremendo il fatto che la gente avesse creduto all'inizio di poter vincere quella guerra ingiusta, inutile ed impari. Le testimonianze degli anziani concordano tutte: paura, fame e lutti. Purtroppo ci stiamo dimenticando di quello che i nostri nonni hanno vissuto.
RispondiEliminaPurtroppo è ciò che succede quando il potere finisce nelle mani di megalomani con delirio di onnipotenza, e in quel momento il paese era nelle mani dei peggiori in assoluto di questa categoria.
EliminaNick, ho deciso di partecipare anche io all'iniziativa, riproponendo una pagina di vita vissuta legata ad un episodio che coinvolse mio padre di cui avevo già parlato sul blog.Buon sabato!
EliminaHo i brividi Ariano. Hai raccontato la storia della tua famiglia ma è la storia di tutte le famiglie italiane dell'epoca.
RispondiEliminaIo ho dieci anni in più di te ma confermo cosa scrivi. Noi, nati dopo la fine della guerra e vissuti relativamente bene siamo i portatori della memoria, quella che i nostri vecchi ci hanno trasmesso perché a nostra volta trasmettessino ad altri.
Un dovere a cui non dobbiamo venire meno per non ricadere o almeno tentare negli stessi errori
La guerra è marciume e rende marci anche chi la combatte.
Bellissimo post!
Grazie Pat :-)
EliminaIn effetti in questo giorni vedendo i bombardamenti su Gaza e le immagini di bambini rassegnati davanti a case distrutte, ho pensato proprio quanto sia tremendo che eventi simili si ripetano.
Grazie di avere condiviso con noi il ricordo di questi fatti, passati ma ancora vivi.
RispondiEliminaFigurati, condividere ricordi con gli altri è un piacere reciproco, anche per chi li racconta.
EliminaAnche mio nonno mi raccontava spesso della guerra anche se probabilmente non l'ha vissuta così pesantemente e per lungo periodo.
RispondiEliminaPenso fosse più giovane (era del ’31) e viveva in un paesino di campagna che quindi immagino difficilmente potesse essere bersaglio fisso dei bombardamenti.
Ricordo però benissimo di quando mi raccontava quei momenti.
Mi diceva ad esempio che lui era un ragazzino e davanti casa avevano scavato delle buche profonde nel terreno proprio per ripararsi dai bombardamenti.
Anche la fame e la povertà erano argomenti fissi nei suoi racconti.
Non avevano niente se non forse quello che potevano procurarsi dalla terra.
Mi è rimasto impresso fin da piccolo quando mi raccontava che dopo i pasti non c'era bisogno di spazzare per terra perché non andava sprecata neanche una briciola di pane, anzi per quelle poche che rimanevano a tavola c'era la corsa ad accaparrarsele tanta era la fame.
Erano 7 fratelli ma diceva che di scarpe per andare a messa ce n'era un paio solo, quindi si andava a turno; poi a qualcuno stavano larghe a qualcuno strette...
Per non parlare della mancanza di tutte quelle comodità di cui noi oggi neanche ci accorgiamo: l'acqua corrente, il riscaldamento, i bagni. Forse più di tutto in campagna queste cose di fatto non esistevano. Mio nonno infatti da piccolo mi insegnava a non sprecare l'acqua quando la mattina mi lavavo il viso o i denti. Loro, mi diceva, avevano solo una brocca con l'acqua da versare in un catino e quella doveva bastare. I panni si lavavano al fiume. I bisogni si facevano nella latrina fuori casa o se era inverno e freddo nella stalla delle vacche. Per riscaldarsi c'era il fuoco e si usavano strumenti a dir poco pericolosi per scaldare le coperte prima di andare a letto.
Purtroppo noi (almeno fino alla mia generazione) possiamo a malapena comprendere quello che è stata la guerra, con fame, povertà e sofferenze, perché abbiamo ricevuto i racconti diretti di chi quelle cose le ha vissute e quando le narrava le rivedevi vivide nei suoi occhi. Ma i giovani di oggi, penso anche i miei figli, difficilmente potranno capire quello che è stato perché i miei racconti, oltre ad essere ormai lontani ricordi confusi di una storia ricevuta, non saranno mai la memoria fedele di chi l'ha vissuta sulla propria pelle.
È un peccato.
Forse è anche per questo che la storia continua inesorabilmente a ripetersi...
Grazie del commento molto esteso e articolato. È sicuramente vero che per i nostri nonni la povertà era una condizione legata non solo alla guerra, a volte era preesistente agli eventuali bellici. Noi siamo stati fortunati a non vivere in un contesto del genere, ma non ce ne potevamo rendere conto se non ci fossero stati i nostri nonni e genitori a spiegarcelo.
Elimina"Eventi", non "eventuali" (il correttore automatico fa sempre danni).
EliminaCiao Ariano, il tuo post mi ha colpito molto, se ci spostiamo più a sud, rivedo quel che successe quasi in misura identica ai miei nonni in Campania. Gli orrori della guerra, noi, le generazioni che hanno conservato memoria grazie ai racconti familiari, possiamo in larga parte ancora comprenderli e ritenerci fortunati per il lungo periodo di pace che abbiamo vissuto. Non so bene cosa succederà in futuro. Per questo ritengo indispensabile perpetuare la memoria. Ti ringrazio di cuore per la bella pagina di storia vissuta che ci hai regalato. Buon sabato💜
RispondiEliminaGrazie :-) Sì, purtroppo la guerra ha lasciato ferite profonde in tutto il paese, in ogni angolo d'Italia sono capitate situazioni analoghe a quelle del mio post. Speriamo davvero che non si ripetano mai più.
EliminaSon o senza fiato. Davvero una testimonianza bellissima scritta con il cuore, che conferma, se mai ce ne fosse bisogno, quanto dura fosse stata la vita delle generazioni che ci hanno preceduto. I miei non mi hanno lasciato molti racconti delle loro vicissitudini, forse per proteggermi o forse è solo colpa mia che, al contrario di te, non sono stato molto attento (e di cio, se così fosse, me ne dispiaccio). Oggi, quando pensiamo alla guerra, di solito ci limitiamo a pensare a come potevano essere i bombardamenti me è evidente che quelli erano solo il problema minore di una tragedia senza pari.
RispondiEliminaNel mio caso era impossibile non assimilare perché raccontavano di continuo: mia nonna, mia zia, anche altri parenti... mio padre e suo fratello maggiore a volte rievocano ancora oggi quei giorni lontani.
EliminaNei libri di storia viene descritto tutto in qualche riga ma ci vorrebbero racconti del genere, fatti di intere vite, per far capire e ricordare cosa è realmente la guerra!
RispondiEliminaSono memorie che stringono il cuore.
Che poi, in realtà, purtroppo basta vedere i notiziari e uno può davvero darsi un'idea di cosa sia la guerra. Speriamo che ce ne siano sempre meno, anche se purtroppo nella storia umana c'è sempre stato almeno un conflitto attivo...
EliminaCiao , molto emozionante questo post Ariano.
RispondiEliminaMi è sembrato di vedere le immagini di quello che raccontavi come in un film.
Se penso a come oggi ci lamentiamo per le restrizioni che ci hanno inflitto causa pandemia mi vien da vergognarmi.rispetto a quello che veramente han dovuto subire i nostri nonni in tempo di guerra.
I miei nonni fortunatamente non han vissuto la fame anzi mi han sempre raccontato che in pratica davano da mangiare a tutti i paesani ..mi dicevano che da loro non si negava un piatto di minestra a nessuno.
Da Nick avevo raccontato di un camion tedesco esploso a causa di bombe a cui i partigiani avevano programmato un attacco.
Purtroppo hanno sbagliato le tempistiche e quel camion è esploso a mezzogiorno in un posto poco distante da casa dei miei .
Ne uscirono incolumi.
Per fortuna.
Guarda non c’entra niente..ma proprio ieri su Rai Tre sulle otto di sera facevano quel programma dove raccontavano di eroi a cui è stata riconosciuta la medaglia al valore dal capo dello Stato in diversi ambiti.
Ieri han premiato un ragazzo che ha avuto la terribile esperienza di perdere alcuni dei propri cari a causa del terremoto di Amatrice.
Che poi si è adoperato per recuperare più ragazzi possibile nelle varie tendopoli per farli tornare a scuola o nelle scuole di fortuna che avevano allestito.
Il racconto delle tue zie ..la paura dei bombardamenti , la casa che trema , mamma mia deve essere un colpo veramente duro per chi prova ste esperienze direttamente.
E’ pure difficile immaginare.
Comunque grazie per il lavoro che hai fatto .
Meriti tutti i miei complimenti.
Tenere accesa la fiamma della memoria fa sempre bene.
Sì, è la stessa cosa che abbiamo pensato io e mia sorella mentre leggevamo una lettera dei tempi di guerra scritta da uno di questi nostri parenti (lettera trovata casualmente): in confronto a quello che hanno passato loro la pandemia e le restrizioni relative sono tutto sommato poca cosa.
EliminaEra da molto che non leggevo un tuo racconto. Dovresti pensare di tornare alla narrativa. La tua storia è struggente, soprattutto perché non partorita dalla sola fantasia, ma dai ricordi di un passato che vive ancora nelle testimonianze di persone appartenenti alla tua famiglia. Mi sono immedesimata e tra l’altro, in questo periodo sto pure leggendo “La storia” di Elsa Morante: mi è sembrato quasi di essere dentro una delle pagine di quel libro. Il dramma della guerra è qualcosa che possiamo solo immaginare: scriverne è sempre utile, per non dimenticare che siamo persone fortunate, fortunatissime a non avere mai vissuto quell’epoche tanto buie.
RispondiEliminaGrazie Marina, però per scrivere narrativa mi serve qualcosa di più profondo, come una sorta di ineluttabile necessità che mi nasce dentro. Per ora questa "ineluttabile necessità" è latitante, ma potrebbe rifarsi viva, chissà.
EliminaÈ una bellissima ed emozionante testimonianza questo tuo post, i racconti dei nostri genitori e dei nostri nonni sono importantissimi per non dimenticare un momento terribile della nostra storia. Anche Foggia fu praticamente rasa al suolo dai bombardamenti, mio padre mi raccontava che lui, era un soldato di 19 anni, salì a Foggia sul treno diretto ad Ascoli Piceno dove doveva raggiungere il suo battaglione, poco dopo la partenza del treno Foggia fu bombardata, in un certo senso fu un miracolato. Beh anche dopo visto che si salvò. Mi ha fatto una grande tenerezza pensare a tuo padre, bambino di 5 anni, che viveva una simile tragedia, mi ha fatto pensare ai bambini in generale che vivono nel terrore di una guerra anche oggi...
RispondiEliminaAnche nel caso dei miei familiari c'è stata fortuna, per certi aspetti. Mio padre a dire il vero ricorda solo la fame, ma dice di non aver mai avuto realmente paura grazie all'ingenuità dell'infanzia. Mio zio invece, di pochi anni più grande, l'ha sofferta tanto.
EliminaIn questo caso sono stato avvantaggiato dal fatto che ho raccontato cose che coinvolgono emotivamente anche me. Pensare che sarebbe bastato tanto poco e mia zia e mia nonna le avrei conosciute solo nel ricordo di mio padre... lui stesso avrebbe potuto non raggiungere l'età adulta, e io non sarei mai nato...
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaTorino durante la Seconda Guerra Mondiale era un obiettivo strategico, le fabbriche della FIAT erano state riconvertite a produrre armi, e quindi erano frequenti i bombardamenti sulla città. Ma anche Moncalieri non fu risparmiata, anche se so di un solo episodio (ma non so se fu l'unico).
RispondiEliminaIl 27 luglio del 1944 avvenne la fucilazione di tre partigiani detenuti (il più giovane aveva solo 16 anni) a opera dei fascisti, come rappresaglia per l'attentato al commissario del fascio, che era rimasto ucciso, nonostante la vedova avesse pregato di non causare altre morti. Quel giorno, durante la veglia funebre del commissario, gli Alleati scatenarono un incursione aerea su Moncalieri, che culminò con un pesante bombardamento sulla città, e provocò 67 morti.
Purtroppo tantissime città italiane hanno storie del genere riguardo quegli anni. Speriamo che mai più la guerra tocchi la nostra nazione. E nessun altra nazione in effetti, sarebbe un sogno.
EliminaMi hai fatto venire i lucciconi. Hai vissuto per interposte persone il clima della guerra, la paura e l'incertezza.
RispondiEliminaPurtroppo l'ho vissuto quel dramma, da bambina, e ricordo la paura che mi aggrediva quando, verso mezzanotte, su Milano, si sentiva rombare il motore dell'aereo di 'pippo'
che sganciava una bomba sulla città, a caso.
Poi ho vissuto il bombardamento su Terni, ove mia mamma aveva mandato me e mia nonna a casa di parenti , che dovevano trasferirsi in campagna. Non c'è stato il tempo e mai scorderò le 12 ore di rifugio e la 'riemersione' che mostrava tutta la violenza di una guerra
Grazie del bellissimo commento che rievoca la tua esperienza vissuta, molto più profonda della mia rievocazione che si basa sui resoconti dei miei genitori, nonni e zii. Posso capire la paura che hai provato ripensando a mia zia che era una donna dal carattere forte, eppure quando raccontava quel giorno del bombardamento, anche se erano passati più di trent'anni, diceva che non aveva mai avuto così tanta paura in vita sua.
EliminaCaspiterina Ariano, mi ero persa questo tuo bellissimo post che ho scoperto leggendo un altro sui ricordi, di un blog che forse conosci visto che fa riferimento al tuo.
RispondiEliminaPerò hai descritto così bene l'accaduto che sembra davvero che tu l'abbia vissuto in prima persona.
Mio suocero ci raccontava sempre di lui bimbo che si nascondeva tra sassi ed in grotte, ci raccontava del suo battito terrorizzato di denti.
Il ricordo è troppo importante e se viene raccontato alle giuste persone allora ciò che è accaduto servirà a qualcosa. Magari ad educare al bene, tra le altre cose.
Ecco perché ho dedicato da me un post sulla memoria (non sapevo del tuo altrimenti ti avrei citato 😉), talmente importante da avere quasi il terrore di perderla. Ti abbraccio carissimo, grazie di questo potente racconto. Ciao.
Grazie a te per averlo letto :-)
EliminaConservare la memoria di eventi tanto drammatici è importante proprio per rammentare quanto sia preziosa la pace e quanto sia invece orribile la guerra.
Queste cose sono accadute purtroppo anche in Giappone. Non dobbiamo dimenticare i sacrifici delle generazioni precedenti... mi dispiace per i tuoi bisnonni e il tuo nonno che ha assistito alla situazione così crudele...
RispondiEliminaPurtroppo è andata così. L'Italia era "responsabile" della guerra perché fu l'Italia a dichiararla, però a pagare il prezzo fu tanta gente innocente...
EliminaNel mettere in ordine l'appartamento di una zia, sorella più piccola di mio padre, avevo trovato molta corrispondenza dei tempi della guerra. In una lettera c'era il resoconto di mio nonno dei bombardamenti su Milano del 1943, insieme con dei ritagli di giornale. Sono tutte testimonianze preziosissime di una generazione che ci ha lasciato, sia per motivi anagrafici sia perché falcidiata dalla pandemia. Per questo i vostri articoli sono importanti, grazie di cuore di averli condivisi.
RispondiEliminaGrazie a te per averlo letto :-)
Elimina