giovedì 25 febbraio 2010

Nippomane

E questo é l'ultimo dei tre racconti "nerdotaku". Ultimo almeno fino alla prossima idea...

NIPPOMANE

Quel giorno il mondo di Gianmarco crollò di schianto.
Fu l’implosione della base meganoide nel momento in cui Daitarn 3 pronuncia la magica frase “Attacco solare! Energia!” e la potenza della sua invincibile arma annienta ogni cosa.
Anzi no. E’ un paragone poco calzante. Parliamo di una persona e dei suoi sogni, non di una struttura volante meccanica.
Quel giorno la sua mente si frantumò come il cervello di Ataru Moroboshi nella puntata in cui gli fanno credere che Lamù e tutti gli altri compagni di classe sono morti. Nel caso di Ataru però si tratta solo di uno scherzo, e infatti ritorna in sé (perfettamente porco e pervertito come sempre) proprio nell’attimo che precede la sigla conclusiva. A Gianmarco sembrava invece che non fosse possibile alcun finale consolatorio. Una sorda sensazione di sconforto, soffocata sotto le apparenze della normalità, lo avrebbe accompagnato per il resto della sua vita, più o meno come accade a Lowell quando Georgie gli fa capire che rinuncia a stargli vicino e di fatto lo lascia nelle mani di Elisa… Almeno così pareva…

Gianmarco aveva iniziato a studiare indirettamente l’Impero del Sol Levante sin dal periodo prescolastico. Il magico mondo di Spank, le colorate storie d’amore di Licia, le fantastiche partite di calcio di Holly e Benji… immagini meravigliose che gli avevano rivelato un mondo straordinario. Disponendo di una discreta dose di curiosità e una particolare predisposizione allo studio, un giorno decise di prendere informazioni sugli strani nomi che scorrevano nella sigla di coda: Shigetsugu Yoshida, Aoki Fumiko, Suzuki Rinosuke…
“Giapponesi”, gli aveva spiegato con un certo disgusto sua madre, appassionata di Walt Disney ed estremamente critica verso quest’animazione così rozza e piena di contenuti equivoci di matrice orientale. L’aveva pronosticato sin dalla prima puntata di Atlas Ufo Robot, benché all’epoca non fosse ancora madre ma solo una ragazza ventunenne con qualche sogno nel cassetto: “Questa roba fa schifo”, era stato il suo giudizio secco, “rovinerà la mente dei bambini”. La verità di quell’affermazione così perentoria si sarebbe rivelata solo alcuni anni dopo, e lo avrebbe fatto nel modo più atroce: insinuandosi in colui che lei aveva portato in grembo per nove mesi.
Gianmarco iniziò a raccogliere tutte le informazioni possibili sul paese che compariva ogni pomeriggio nello schermo televisivo di casa.
Ideogrammi: le strane scritte sopra i negozi e all’ingresso delle case, case dove in genere non ci sono letti ma solo delle stuoie (le avrebbe poi codificate come tatami), e dove si fa colazione con gli spaghetti che però non stanno nel piatto, ma dentro un bicchiere di carta tipo quelli con la Coca Cola alla spina.
Uniformi: le portano tutti gli studenti, blu o comunque scure per i maschi, con la gonna e qualche cenno di bianco per le femmine.
Terme: (per essere precisi onsen) il luogo preferito per rilassarsi, possibilmente all’aperto e completamente nudi, in genere con vista panoramica sulla piscina delle ragazze (nude pure loro, ci mancherebbe).
… e l’elenco potrebbe continuare. Gianmarco disponeva solo di una vecchia enciclopedia degli anni ’60, e ogni giorno cercava di aggiornarsi con una notizia nuova seguendo uno schema ben preciso (arcipelago; migliaia di isole; quattro principali: Hokkaido, Honshu, Kyushu e Shikoku; suddivisione in regioni e prefetture: Hokkaido, capitale Sapporo; Aomori, capitale Aomori; Iwate, capitale Morioka; etc.)
Il pomeriggio continuava i suoi studi facendo ricorso a metodi audiovisivi. Analizzava attentamente ogni singola puntata (novità o replica che fosse) di ‘Lamù’, ‘Lo specchio magico’, ‘Bia la sfida della magia’ e altro ancora, tenendo sempre un foglio bianco in mano sul quale prendeva appunti. Seguiva qualunque serie ambientata in Giappone. Evitava invece accuratamente quelle con altre locations, tipo la finta America di Candy o la ridicola Grecia di Pollon.
Sua madre era abbastanza infastidita da questa ossessione, ma aveva altre priorità. I suoi sogni nel cassetto erano finiti esattamente due anni dopo quella maledetta prima puntata italiana del principe Actarus e del suo robot Goldrake (in realtà il robot si chiamava Grendizer, e il pilota Duke Fleed, ma la televisione italiana preferì utilizzare un’altra versione dei loro nomi.). Quel militare l’aveva implorata di non abortire promettendole di sposarla, ma dopo il parto aveva cambiato idea e se ne era andato via senza farsi più sentire. Magari si era trasferito proprio in Giappone, chissà.
Tra lavori e lavoretti vari per portare a casa qualche lira, la mamma era sempre fuori e Gianmarco doveva rimanere dalla nonna, alla quale non pareva vero che quel bambino stesse tanto buono semplicemente guardando la tv dopo aver regolarmente finito i compiti.
Ogni nuova nozione nipponica che acquisiva veniva subito condivisa.
“Nonna, lo sai che la capitale del Giappone si chiama Tokyo ed è la città più popolata del mondo?”
“In Giappone ogni scuola ha i suoi club sportivi”.
“Lo sport più diffuso è il baseball, sai come si gioca a baseball?”
E naturalmente le raccontava anche i suoi sogni.
“Da grande andrò a vivere in Giappone. E’ un paese bellissimo, il terzo paese più ricco del mondo dopo gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, anche se è grande praticamente come l’Italia. I giapponesi sono molto più intelligenti di noi, e lavorano di più”.

Nel mese di ottobre del 1990, secondo anno dell’Era Heisei sotto il regno dell’imperatore Akihito, Gianmarco compiva dieci anni. Chiese un regalo un po’ particolare: restare alzato fino a tardi per vedere il reportage giornalistico del TG2 sulle scuole giapponesi, purtroppo trasmesso in seconda serata a partire dalle 22:30.
“Ma è una cosa per grandi, è noiosa”, gli fece notare la nonna.
“E’ malato in testa”, semplificò la madre.
“Ti prego…”
“Ma si, veditelo pure”.
“Grazie mamma!” (e mentre lo diceva si chinava in avanti tenendosi le mani).

Aveva preparato un blocco notes di grosse dimensioni per prendere tutti gli appunti possibili. Per cena aveva voluto del riso bollito, però gli era toccato mangiarlo col cucchiaio, niente bacchette.
I grandi gli fecero compagnia fino alle dieci, poi si arresero al sonno indotto dalla tarda età e dalle necessità lavorative del giorno seguente.
Dopo un interminabile film francese, un sacco di pubblicità e segnali orari vari, finalmente l’annunciatrice informò i gentili ascoltatori che “TG2 Dossier” stava per avere inizio.
Gianmarco fremeva.
Aveva già visto immagini reali dal paese del Sol Levante, ma questa era la prima volta che scorrevano davanti ai suoi occhi interi spezzoni con ragazzi e ragazze in divisa, proprio come nei cartoni animati! Però dovette riconoscere che erano meno colorati e gli occhi non sembravano gli stessi, neppure i capelli…

La voce narrante inizia a spiegare come funzionano le scuole nipponiche.
le lezioni iniziano la mattina presto e finiscono nel tardo pomeriggio. Tre volte a settimana inoltre gli studenti devono partecipare a delle attività didattiche che li costringono a stare a scuola fino quasi all’ora di cena
Beh, si, in effetti si vedono sempre gli studenti che pranzano a scuola. Aika porta anche il suo cagnolino Spank.
non funziona correttamente. La pressione è tale che sono abbastanza frequenti casi di depressione o addirittura di suicidio, che in Giappone non viene considerato un atto di vigliaccheria ma una scelta personale dettata dal libero arbitrio
Eh?
(Primo piano di una donna in lacrime) Akiko ha perso suo figlio sei mesi fa. (Voce della doppiatrice italiana in tono patetico) ‘Il suo ultimo esame era andato male, e temeva di dover ripetere l’anno. Io gli dicevo di non preoccuparsi, ma lui era disperato’.
Eppure Gigi la Trottola non sembra tanto agitato quando prende dei brutti voti…
episodi di bullismo frequenti. Secondo un sondaggio del Mainichi Shimbun, uno dei più importanti quotidiani nazionali, il 75% degli studenti si aspetta di rimanere vittima di almeno un’aggressione nel corso dei sei anni di permanenza scolastica. Molto spesso le conseguenze sono gravi, ma il fenomeno rimane sommerso e i dirigenti scolastici si scontrano con un muro di omertà che impedisce di risalire ai colpevoli
Nessun commento. Nessun pensiero.
estrema severità da parte dei docenti, che talvolta fa pensare a certe pagine dei romanzi di Charles Dickens. Takeshi Yamada è il coach della squadra di pallavolo maschile, ragazzini dagli undici ai tredici anni che vengono sottoposti ad allenamenti estenuanti. Se nel corso dei tornei scolastici i risultati sono negativi lui li punisce rasandogli i capelli a zero
Veramente?
… ‘Non voglio umiliarli, voglio solo che capiscano di aver sbagliato’. (Primo piano di un ragazzino pelato, doppiaggio con voce infantile) ‘La scorsa settimana abbiamo perso una partita giocando molto male. L’allenatore non ci ha detto niente, ma noi ci siamo tagliati i capelli a zero di nostra iniziativa’…
Di nuovo nessun pensiero. Però alcune sensazioni strane e un po’ di acidità allo stomaco.
… (signore occhialuto intervistato) ‘Il Giappone ha compiuto un miracolo economico negli anni ’50 e 60’ diventando un paese ricco. Adesso è giunto il momento di compiere un miracolo morale e cambiare la nostra mentalità, o i nostri giovani saranno i più infelici del mondo’… (Fine del servizio. Si passa a un reportage sulla guerra civile in Sri Lanka).

Gianmarco rimase seduto per alcuni istanti con gli occhi fissi sullo schermo, anche se ormai non stava seguendo nulla. Si alzò, spense la televisione e si mise a letto con la sensazione che il mondo che lo circondava fosse solo l’inutile palcoscenico di un’indegna farsa.
Viveva in un pianeta morto.

I giorni successivi li trascorse in silenzio. Non parlò quasi mai né a scuola né a casa. La nonna si stupì nel vederlo lontano dalla televisione, ma lui spiegò che doveva studiare molto e non aveva tempo, anche se in effetti passava quasi tutto il tempo restando fermo sul bordo del letto a fissare la finestra.
Un martedì, verso le sei di sera, iniziò a ciondolare per casa senza uno scopo, solo perché si era stufato di rimanere fermo. La tv era accesa, e dal salone si sentiva un piagnucolare sommesso. Vide la nonna che si asciugava le lacrime con un fazzoletto.
“Che succede?”.
“Niente, non ti preoccupare”, lo tranquillizzò. “E’ così triste questa storia che qualche volta mi fa venire da piangere, ma è solo una telenovela”.
“Telenovela?”, domandò incuriosito Gianmarco.
“Si”, gli spiegò la nonna. “Quella ragazza, Andrea…”
“Ma Andrea è un nome da maschio”.
“Si, ma nel paese in cui si svolge la vicenda è un nome da donna. Lei è una ragazza povera, ma molto brava, però purtroppo ha una sorellastra perfida…”

Quella sera Gianmarco risorse. I suoi occhi erano lucidi, eppure il mondo aveva ripreso colore. Lo strano pianeta in cui viviamo è un luogo dove si soffre e si ingoiano bocconi amari. Si inseguono sogni destinati a schiantarsi contro il muro della realtà, si rimane soli e abbandonati sotto le loro fredde macerie. Ma per fortuna esiste un luogo in cui tutto il male assume un significato: un magico paese chiamato Brasile.
Finita la puntata con le disavventure di Andrea, Gianmarco afferrò avidamente il sussidiario scolastico e l’enciclopedia per raccogliere maggiori informazioni.
“La Repubblica Federale del Brasile è il quinto paese più grande del mondo, e copre il 47,7% della superficie del continente sudamericano. Possiede enormi risorse naturali, ma la ricchezza è distribuita in modo assai disomogeneo fra la popolazione…”

martedì 23 febbraio 2010

Il piccolo editore ideale

Lei mi ha spedito il suo manoscritto e la ringrazio, ma volevo farle una domanda: perché l’ha inviato proprio a me? Sa, per me l’editoria non è l’attività principale. Io mi guadagno da vivere con la stampa di cataloghi, manifesti, lavori tipografici di vario genere… L’editoria l’ho aggiunta perché mi piace leggere cose originali, e magari tra i vari manoscritti che mi mandano ne può capitare uno interessante. Però resta un’attività secondaria. Il grosso del guadagno lo faccio con la tipografia, quindi con l’editoria posso anche permettermi di guadagnarci poco. Ho detto: “guadagnarci poco”, non: “rimetterci”. Io non sono un ente di beneficienza, è sempre opportuno rammentarlo. L’editoria è il mio personale sfoggio di cultura, ovviamente non disinteressato. Per capirci: mi piace l’idea che la gente dica “Hai visto, Tizio fa l’editore!”. E’ una forma di vanità, lo ammetto. Però non mi guardi con quegli occhi! Proprio lei che vorrebbe pubblicare un libro! La sua non è forse un’altra forma di vanità? Io sono sicuro che tra le varie cose che la spingono a scrivere c’è anche il desiderio che la gente dica: “Hai visto, Caio fa lo scrittore!”, non lo neghi per favore!
Comunque, parlando di me come editore, la vanità di cui le dicevo mi costringe a fare un po’ di selezione. Tradotto in italiano, significa che non mi va di pubblicare ogni puttanata che mi viene proposta solo per poter dire: “Lo scorso anno ho messo in catalogo venti libri”. No, preferisco limitarmi a quattro / cinque libri l’anno, che però devono essere belli. Non intendo fare figure di merda inserendo roba di cattiva qualità.
Nel suo caso devo dire che il romanzo è ben scritto, e ha anche una certa originalità, però ci sono cose che non vanno. Il secondo capitolo è troppo ingenuo, bisogna rivederlo, e direi anche il quinto. I refusi e gli errori grammaticali può tralasciarli, quelli sono un problema mio, però certe parti vanno riscritte. Quindi eviti di dire agli amici che a breve pubblicherà un libro, ci vorranno minimo nove mesi prima che si arrivi alla stampa.
A proposito di stampa: è necessario che le faccia presente una cosa. Vede, io ho un caratteraccio, e ho litigato con Mondadori, Feltrinelli, Giunti e tutte le grandi catene librarie. Gli unici con cui riesco ad andare d’accordo sono tre librai della mia città, i soli ai quali concedo l’onore di vendere i miei prodotti. Siccome sono tre librerie piccole non posso dargli duecento copie a testa, non saprebbero dove metterle. Perciò la prima edizione sarà limitata a cento, anzi facciamo ottanta unità. Ma non intendo costringere eventuali acquirenti del suo libro a venire sin qui per prenderne una copia, non sono così cattivo. Ci inserirò un codice ISBN in modo che possa essere comprato via internet tramite i principali rivenditori on line tipo Ibs o Webster.
Cosa dice? Ottanta le sembrano poche quindi… NON CI PROVI NEANCHE! Non si azzardi a propormi di contribuire alle spese di stampa o a garantirmi l’acquisto di un numero minimo di copie per aumentare la tiratura! Lei faccia l’autore, a fare l’editore ci penso io.
Come penso di promuoverla? Beh, sicuramente i tre librai con cui sono convenzionato parleranno del suo romanzo ai loro clienti abituali. Consideri che parliamo di cento / centocinquanta persone al massimo, e non è detto che il suo libro possa interessare a tutti. Per il resto d’Italia deve pensarci lei. Al limite posso darle una decina di copie che potrà dare in conto deposito ad una libreria di sua fiducia. Se restano invendute le rivoglio indietro, chiaro? Le tengo in magazzino, magari l’anno prossimo salta fuori un best seller con un argomento affine a quello del suo romanzo e così ottiene una certa visibilità riflessa. A volte succede.
Lei non è convinto, eh? Pensa che non sono in grado di darle la giusta visibilità… Mettiamola così: stampando una tiratura tanto bassa a me basta vendere trenta copie e mi sono già rifatto delle spese. Se le vendiamo tutte e ottanta possiamo valutare una seconda edizione, ok?
… Lei vuole sapere che tipo di garanzie posso darle nel caso che il suo romanzo susciti un interesse tale da rendere legittimo il desiderio di una maggiore presenza sul mercato. Beh, intanto la invito a non volare troppo con la fantasia: sono tanti i romanzi pur discreti che rimangono inosservati e pressoché invenduti. Se il suo caso fosse diverso, e magari il suo libro riuscisse a stuzzicare qualche editore più grande e più simpatico di me, lei mi faccia semplicemente telefonare. Noi editori siamo soprattutto imprenditori, quindi si tratterebbe solo di trovare un accordo economico. Io accetto di pubblicare il suo libro a mie spese e rischio il mio denaro, perciò se capita che un collega più ricco di me mi chieda di cedergli i diritti di pubblicazione vorrei avere un piccolo tornaconto. E’ come se avessi fatto scouting, una provvigione me la merito, no?
E poi mi dovrà obbligatoriamente concedere di farmene un vanto. Se riesco a scovare un autore che diventa famoso, vorrei scriverlo sul mio sito internet. Una cosa tipo: Caio ha pubblicato il suo primo romanzo con noi, e ci metto tanto di copertina e una sua foto. Lei, da parte sua, dovrà avere la compiacenza di non fare lo snob. Quando le chiederanno: “Ma è vero che il suo primo libro è stato pubblicato da quel piccolissimo editore che novantanove lettori su cento non sanno neppure chi sia?”, faccia un sacrificio e ammetta: “Si, è vero, ho iniziato con lui. E’ stato il primo a credere nelle mie capacità come scrittore”.
Adesso però basta con le chiacchiere, è ora di lavorare. Tenga presente che ci sono molti scrittori che pubblicano cinque, sei, dieci libri rimanendo perfetti sconosciuti e guadagnando veramente poco. La cosa che gli interessa davvero è portare avanti un’attività che gli dia soddisfazione a livello personale, senza considerare gli aspetti economici, e perciò per mantenersi continuano a fare altri lavori. Esattamente il modo in cui io faccio l’editore. Se questo modo non le piace si rivolga a qualcun altro.

lunedì 22 febbraio 2010

Quarantanni - 2

Di lunedì preferisco limitarmi a post non impegnativi, tipo il compendio sulle cose da evitare a 40 anni...

Evitare gli eccessi di prudenza
Quaranta è il doppio di venti, quindi l’epoca delle cazzate di gioventù è finito. Però attenzione a non eccedere nella prudenza, si rischia di fare peggio. Esempio:
state guidando la macchina in una strada a corsia unica, con una nettissima linea continua al centro della carreggiata e divieti di sorpasso ogni 10 metri. All’improvviso vi trovate davanti qualcuno che, forse perché sta facendo una passeggiata panoramica o forse perché ha paura della velocità, mantiene l’andatura intorno ai 20 km orari.
La prudenza della maturità vi imporrebbe di mettervi pazientemente in coda e impiegare 30 minuti per percorrere una distanza che normalmente ne necessità al massimo 10.
E INVECE NO! Trenta minuti alla velocità di una tartaruga zoppa vi faranno sicuramente addormentare, ed è noto che i colpi di sonno sono la causa principale degli incidenti stradali.
In questi casi abbandonate parzialmente la prudenza: appena siete certi che la corsia opposta è completamente libera sorpassate la lumaca che vi aveva bloccato, aprite il finestrino e urlategli un po’ di insulti (serve a far montare l’adrenalina e ad allontanare definitivamente il rischio di addormentarsi) e continuate il vostro viaggio ad una velocità decente.
Controindicazione: se per caso quel tizio era un agente della stradale in borghese riceverete una sanzione di 200 euro e qualche punto in meno sulla patente… però vi siete salvati dal rischio di un incidente stradale. La vita vale più di qualunque multa, o giù di lì.

giovedì 18 febbraio 2010

Segnalazione televisiva

Nello squallore generalizzato della tivvù italiana, che raggiunge picchi paurosi grazie al fondamentale contributo di tre canali privati che appartengono tutti allo stesso gruppo, vorrei segnalare un programma interessante messo in onda da TV2000, un canale legato a doppia mandata al mondo cattolico e al quotidiano Avvenire... So che con questa premessa molti partiranno prevenuti, ma garantisco che "La compagnia del libro", in onda tutti i mercoledi alle 20.15 e in replica sabato alle 19.00 e domenica alle 20.40, é un'ottima trasmissione.
Si parla di libri, editoria, autori e mercato letterario in modo pacato, senza urla o effetti speciali, ma non é neppure un noioso monologo in uno studio televisivo. Il programma é anzi dinamico, segue gli autori alla presentazione dei libri, visita le conferenze librarie, gli eventi letterari, intervista gli adetti ai lavori... E senza quella "prudenza" che si potrebbe immaginare per un canale di orientamento cattolico (ieri sera si parlava di libri noir, con uno degli editors di Neri Pozza che lamentava la lunga assenza in Italia di autori capaci di inseguire filoni di genere inseriti nella mainstream literature, citando "Mattatoio 5" di Kurt Vonnegut e facendo notare il ritardo italiano in questo settore...) L'assenza di volgarità e il prevalere della pacatezza non é necessariamente sintomo di programma noioso, almeno per come la vedo io.
Se poi per rendere la tivvù interessante c'é per forza bisogno di culi, tette, litigate furiose, chiacchiere da comare, allusioni sessuali e umorismo da caserma, beh, la scelta non manca...
Onestamente questa "Compagnia del libro" é un programma che mi piacerebbe vedere sulla Rai, che invece preferisce imitare i citati tre canali privati tutti appartenenti allo stesso gruppo, ma questa é un'altra storia...

martedì 16 febbraio 2010

Maurice Leblanc

Sapete chi era Maurice Leblanc?
Uno scrittore ovviamente. Uno di quelli che ha saputo creare un personaggio entrato nell’immaginario collettivo, un personaggio che nel corso dei decenni è diventato più celebre dell’autore stesso. Affinché il discorso sia più chiaro faccio un’altra domanda:
chi è Arsène Lupin?
Il ladro gentiluomo, anzi “le gentleman cambrioleur”, è nato dalla fantasia di questo scrittore francese vissuto tra il 1864 e il 1941. La gran parte della sua produzione letteraria è dedicata proprio a Lupin, protagonista di quindici romanzi, una quarantina di racconti, e persino una pièce teatrale.
Considerato un autore di letteratura “popolare” nel senso dispregiativo del termine, Leblanc ha egregiamente svolto il suo lavoro di scrittore professionista per tutta la vita grazie al ladro gentiluomo, sempre amato dai lettori e diventato poi protagonista di molti film, capace inoltre di ispirare il fumettista giapponese Monkey Punch nella creazione di uno dei suoi personaggi più noti, quel Lupin III che sarebbe un diretto discendente di monsieur Arsène.
Maurice Leblanc, poco noto anche a coloro che conoscono perfettamente il suo personaggio, merita sicuramente un suo spazio speciale nell’universo degli scrittori proprio per aver saputo creare un “eroe” di carta così particolare.
Ho pensato di omaggiarlo inserendo nel blog questo post a lui dedicato. E ho aggiunto anche una traduzione dal francese all’italiano (eseguita dal qui presente) del racconto che, nel ciclo lupiniano creato nel corso degli anni, rappresenta il primo nell'ipotetica cronologia della serie. E’ una sorta di introduzione al personaggio di Arsène Lupin, e curiosamente termina col suo arresto, di cui però si capisce subito che sarà molto breve…
Lo trovate nei due post che precedono questo. Sono circa 25.000 battute.

L'arresto di Arsène Lupin - 1

L’arresto di Arsène Lupin


Lo strano viaggio! Era cominciato così bene! Da parte mia non avevo preoccupazioni, perché tutto si annunciava sotto i più favorevoli auspici. Il “Provence” è un transatlantico rapido, confortevole, comandato dai più affabili tra gli uomini. La crema della società era lì riunita. Nascevano nuove relazioni, ci si divertiva. Avevamo la splendida sensazione di essere separati dal resto del mondo, noi rappresentavamo l’umanità come se ci trovassimo su un’isola deserta, essendo perciò obbligati a stare vicino gli uni agli altri.
Avete mai pensato a quanto ci sia di originale ed imprevedibile in quei gruppi di persone che fino al giorno prima neanche si conoscevano, e che per un po’ di tempo – tra il cielo infinito e il mare immenso – saranno in stretta intimità e insieme sfideranno la collera dell’oceano, gli assalti terrificanti delle onde e l’infida calma del mare addormentato?
E’ come vivere in forma ridotta e tragica l’intera vita, con le sue tempeste e le sue grandezze, la sua monotonia e la sua varietà. Ed è per questo, forse, che una breve crociera viene gustata con ansia febbrile e voluttà intensa; perché si riesce a scorgere la sua fine già nel momento stesso in cui inizia.
Ma in mezzo a tanti viaggi ce ne fu uno in cui accadde qualcosa di speciale che andò a sommarsi in modo singolare alle emozioni della traversata.
La piccola isola galleggiante dipende sempre dalla terraferma da cui si crede affrancata. Un legame sussiste, e si snoda a poco a poco in mezzo al mare, per poi riannodarsi all’improvviso. Il telegrafo senza fili! Messaggero di un altro universo da cui si ricevono notizie nel modo più misterioso! L’immaginazione non ha più neppure la possibilità di evocare dei fili di ferro nelle cui pieghe scorrerebbe il messaggio invisibile. Il mistero è ancora più insondabile, anche più poetico, e per spiegare questo nuovo miracolo si può ricorrere solo alle ali del vento.
All’inizio ci sentivamo seguiti, scortati, perfino preceduti da questa voce lontana che, di tanto in tanto, sussurrava qualche parola a ognuno di noi. Due amici mi parlarono. Altri dieci, venti ci inviarono a tutti, attraverso lo spazio, i loro saluti tristi o piacevoli.
Il secondo giorno, mentre stavamo a cinquecento miglia dalla costa francese, nel bel mezzo di un pomeriggio piovoso il telegrafo senza fili trasmise un dispaccio di questo tenore:
“Arsène Lupin a bordo della vostra nave, prima classe, capelli biondi, cicatrice all’avambraccio destro, viaggia da solo sotto il falso nome di R…”
Il quel preciso momento un tuonò risuonò violentemente nel cielo cupo. Le onde elettriche si interruppero. Il resto del dispaccio non ci pervenne. Del nome sotto il quale si nascondeva Arsène Lupin sapevamo solo l’iniziale.
Se si fosse trattato di un’altra notizia sono certo che sarebbe stato scrupolosamente mantenuto il segreto, sia da parte degli impiegati del telegrafo che del commissario di bordo e del comandante. Ma era uno di quegli eventi capaci di scardinare anche la più rigorosa delle discrezioni. Il giorno stesso, senza che si sapesse in che modo questa informazione si fosse diffusa, tutti sapevamo che il famoso Arsène Lupin si nascondeva tra noi.
Arsène Lupin in mezzo a noi! Il ladro imprendibile di cui tutti i giornali raccontavano le prodezze da mesi! Il personaggio enigmatico con cui il vecchio Ganimard, il nostro miglior poliziotto, aveva ingaggiato una guerra senza quartiere piena di pittoresche peripezie! Arsène Lupin, il fantasista gentiluomo che agisce solo nei castelli e nei salotti, colui che la notte in cui era penetrato in casa del barone Schormann se ne era andato via a mani vuote lasciando un biglietto da visita con la seguente dicitura: “Arsène Lupin, il ladro gentiluomo, ritornerà quando gli oggetti di valore saranno autentici”. Arsène Lupin, l’uomo dai mille travestimenti: di volta in volta autista, tenore, bookmaker, giovane rampollo, adolescente, vecchio, commesso viaggiatore marsigliese, medico russo, torero spagnolo!
Pensate a quando ci si rese conto di ciò: Arsène Lupin si muoveva all’interno del cerchio relativamente ristretto di un transatlantico. Ma cosa dico! Lui era nel ristrettissimo ambito della prima classe dove ci incontravamo tutti in ogni momento, in questa sala da pranzo, in questo salone, in questo fumoir! Arsène Lupin poteva essere quel signore lì, oppure quello laggiù… magari il mio vicino di tavola o la persona con cui dividevo la cabina…
“E questa cosa durerà cinque volte ventiquattrore!”, si lamentava il giorno dopo miss Nelly Underdown, “E’ intollerabile! Spero proprio che l’arrestino”.
E rivolgendosi a me: “Monsieur d’Andréasy, lei che ha confidenza col comandante, ha saputo niente?”
Quanto mi sarebbe piaciuto sapere qualcosa per compiacere miss Nelly! Era una di quelle magnifiche creature che, dovunque si trovino, vanno subito a finire nel luogo più ben in vista. Quelle la cui bellezza e la cui fortuna riescono ad abbagliare chiunque. Hanno sempre attorno a loro una piccola corte di ammiratori ferventi ed entusiasti.
Educata a Parigi dalla madre francese, stava viaggiando per raggiungere il padre, il ricchissimo Underdown di Chicago. L’accompagnava una sua amica, lady Jerland.
Sin dal primo momento mi ero candidato per flirtare con lei. Ma nella rapida intimità del viaggio il suo fascino mi aveva turbato, e ogni volta che i suoi grandi occhi neri incrociavano i miei mi sentivo troppo agitato per un flirt. Tuttavia lei mi mostrava un certo favore. Si degnava di ridere delle mie battute e s’interessava ai miei aneddoti. Una vaga simpatia sembrava corrispondere all’attenzione che le dimostravo.
Solo un rivale mi impensieriva un po’, un gran bel ragazzo elegante e riservato. Qualche volta lei sembrava preferire il suo umore taciturno piuttosto che la mia estroversione parigina.
Lui stava in mezzo al gruppo di ammiratori che attorniava miss Nelly nel momento in cui lei mi aveva posto quella domanda. Eravamo sul ponte, piacevolmente accoccolati sulle sedie a dondolo. L’acquazzone del giorno prima aveva rischiarato il cielo. L’atmosfera era deliziosa.
“Non so niente di preciso, mademoiselle”, le spiegai “ma non potremmo condurre noi stessi un’indagine, nello stesso modo in cui farebbe il vecchio Ganimard, il nemico personale di Arsène Lupin?”
“Oh, lei si sta allargando!”
“Perché mai? E’ forse un caso complicato?”
“Molto complicato”.
“Ma lei dimentica gli elementi che abbiamo a disposizione per risolverlo”.
“Quali elementi?”
“Uno: Lupin si fa chiamare R…”
“Un indizio un po’ vago”.
“Due: viaggia da solo”.
“Se questo dettaglio le basta…”
“Tre: è biondo”.
“E allora?”
“E allora non dobbiamo fare altro che consultare la lista dei passeggeri e procedere ad eliminazione”.
La lista ce l’avevo in tasca. La presi in mano e iniziai a scorrerla.
“Come prima cosa noto che ci sono appena tredici persone la cui iniziale merita la nostra attenzione”.
“Solo tredici?”
“In prima classe si. Di questi tredici messieurs R…, come potete verificare, nove sono accompagnati da moglie o figli o domestici. Restano soltanto quattro persone che viaggiano sole: il marchese di Raverdan…”
“E’ segretario d’ambasciata”, m’interruppe miss Nelly, “lo conosco”.
“Il maggiore Rawson…”
“E’ mio zio”, disse qualcuno.
“Monsieur Rivolta…”
“Presente”, gridò uno di noi, un italiano il cui volto era nascosto sotto una barba nerissima.
Miss Nelly scoppiò a ridere. “Il signore non è sicuramente biondo”.
“Dunque”, ripresi la parola, “siamo costretti a concludere che il colpevole è l’ultimo della lista”.
“Vale a dire?”
“Vale a dire monsieur Rozaine. Qualcuno conosce monsieur Rozaine?”
Tutti tacquero. Ma miss Nelly, interpellando il giovane taciturno la cui assidua presenza vicino a lei m’infastidiva, chiese:
“E allora, monsieur Rozaine, non rispondete?”
Tutti ci girammo verso di lui. Era biondo.
Lo ammetto, ho sentito un piccolo choc dentro di me. E il silenzio imbarazzato che incombeva su di noi dimostrava che anche gli altri presenti provavano questa sorta di soffocamento. D’altra parte era assurdo, poiché nessuno dei comportamenti di quest’uomo ci permetteva di poterlo sospettare.
“Perché non rispondo?”, spiegò lui, “ma perché visto il mio nome, la mia condizione di viaggiatore solitario e il colore dei miei capelli, avevo già proceduto ad un’indagine analoga alla sua e sono arrivato alle stesse conclusioni. Infatti sono dell’avviso che dovrei essere arrestato”.
Aveva un’aria bizzarra mentre pronunciava queste parole. Le sue labbra sottili come due linee rette si strinsero ancora di più e impallidirono. Dei filamenti di sangue striarono i suoi occhi.
Stava scherzando, era ovvio. Tuttavia la sua fisionomia e il suo atteggiamento ci impressionarono.
Ingenuamente miss Nelly gli domandò: “Ha delle cicatrici?”
“E’ vero, mi manca la cicatrice”.
Con un gesto nervoso tirò su la manica e mostrò il suo braccio. Però mi passò un’idea per la testa. I miei occhi incrociarono quelli di miss Nelly: aveva mostrato il braccio sinistro.
Vi giuro che volevo farglielo notare, ma un evento imprevisto attirò la nostra attenzione. Lady Jerland, l’amica di miss Nelly, arrivò di corsa. Era agitata. Ci radunammo attorno a lei, e solo dopo qualche sforzo riuscì a balbettare: “I miei gioielli, le mie perle! Hanno rubato tutto!”
No, non avevano rubato tutto, come avremmo poi saputo in seguito. Assai più curiosamente avevano fatto una cernita!
Dalla stella di diamanti, dal ciondolo di rubini, dai colliers e dai braccialetti non erano state tolte le pietre più grandi, ma le più piccole, le più preziose, quelle di cui si poteva dire che avevano il maggior valore pur occupando la posizione più infima. Le montature giacevano sul tavolo. Io le vidi, tutti le vedemmo, spogliate delle loro gemme come dei fiori cui abbiano strappato i loro bei petali lucenti e colorati.
Per eseguire un colpo del genere bisognava attendere l’ora in cui lady Jerland prendeva il suo tè e – in pieno giorno e lungo un corridoio assai frequentato! – scassinare la porta della cabina, trovare un piccolo sacco perfettamente nascosto in fondo a uno scatolone di cartone, aprirlo e mettersi a fare una selezione!
Appena si seppe del furto tutti dissero la stessa cosa, tutti espressero la medesima opinione: ‘è stato Arsène Lupin’. E in effetti questo era proprio il suo stile complicato, misterioso, inconcepibile… e logico tuttavia. Perché sarebbe stato difficile nascondere la massa voluminosa che avrebbe formato l’insieme dei gioielli, mentre con tante piccole cose separate le une dalle altre il problema si riduceva al minimo: perline, smeraldi, zaffiri…
Durante la cena i due posti a destra e a sinistra di Rozaine rimasero vuoti. E la sera si seppe che era stato convocato dal comandante.
Il suo arresto, che nessuno mise in dubbio, provocò un autentico sollievo. Ci sentivamo sollevati. Ci intrattenemmo coi giochi da tavola, si ballò. Soprattutto miss Nelly mostrava la sua gioia in modo vistoso, e mi fece capire che i complimenti di monsieur Rozaine, sebbene lei li avesse apprezzati, erano già stati dimenticati. La sua grazia finì col conquistarmi. Verso la mezzanotte, sotto un sereno chiarore lunare, le espressi la mia devozione con un’emotività che apparentemente non le dispiacque.
Ma l’indomani, tra lo stupore generale, apprendemmo che Rozaine era stato liberato poiché le prove contro di lui non erano sufficienti.
Figlio d’un noto commerciante di Bordeaux, aveva mostrato i suoi documenti ed erano perfettamente in regola. Inoltre sulle sue braccia non c’era la minima traccia di cicatrici.
“Documenti, atti di nascita! Arsène Lupin ve ne può fornire quanti ne volete!”, urlavano i colpevolisti. “E per quanto riguarda la cicatrice, può darsi che non l’avesse davvero, oppure l’ha resa irriconoscibile”.
Gli venne obiettato dagli innocentisti che durante l’ora del furto Rozaine passeggiava sul ponte (era stato dimostrato). E loro rispondevano: “A un uomo della tempra di Arsène Lupin basta un attimo per commettere un furto”
E poi, al di là di tutte le considerazioni, c’era soprattutto un punto rispetto al quale gli innocentisti non potevano replicare: tolto Rozaine, chi altri c’era che viaggiava solo, era biondo e aveva il nome che iniziava per R? A chi si riferiva il messaggio telegrafico se non a Rozaine?
E quando Rozaine, qualche minuto prima di cena, si diresse audacemente verso il nostro gruppo, miss Nelly e lady Jerland si alzarono e si allontanarono.
Erano spaventate.
Un’ora dopo, una circolare manoscritta passò di mano in mano fra gli impiegati di bordo, i marinai e i passeggeri di ogni classe: monsieur Louis Rozaine prometteva una ricompensa di diecimila franchi a chi avesse smascherato Arsène Lupin o avesse scoperto il possessore delle pietre rubate.
“E se nessuno mi viene aiuto contro questo bandito”, dichiarò Rozaine al comandante, “farò da solo”.
Rozaine contro Arsène Lupin, o piuttosto – secondo un’espressione divenuta popolare – Arsène Lupin in persona contro Arsène Lupin. Una sfida che si prospettava interessante!
Durò per due giorni.
Vedevamo Rozaine dappertutto, si appartava col personale di bordo, interrogava, investigava. Si percepiva la sua ombra che, di notte, si muoveva furtivamente.
Da parte sua, anche il comandante si impegnava attivamente. Il “Provence” venne ispezionato dappertutto, in ogni angolo. Furono perquisite tutte le cabine, senza alcuna eccezione, col pretesto abbastanza verosimile che la refurtiva poteva essere nascosta dappertutto tranne che nella cabina del colpevole.
“Alla fine scopriranno qualcosa, non è vero?”, mi domandò miss Nelly. “Benché sia una specie di stregone, non può far diventare invisibili i diamanti e le perle”.
“Invece si”, gli risposi, “Oppure bisognerebbe ispezionare anche l’imbottitura dei nostri cappelli, la fodera dei nostri vestiti e tutto quello che portiamo indosso”.
Gli mostrai la mia Kodak, una 9 x 12 con la quale le facevo fotografie in tutte le pose.
“Non pensa che potrebbe aver piazzato tutte le pietre preziose di lady Jerland in un apparecchio come questo? Lui finge di immortalare panorami e intanto l’ha fatta franca”.
“Ma si dice che non esista un solo ladro al mondo che non lasci dietro di se almeno una traccia”.
“Uno c’è: Arsène Lupin”.
“Perché?”
“Perché non pianifica solo il furto che sta per commettere, ma anche tutte le circostanze che potrebbero tradirlo”.
“All’inizio eravate più fiducioso”.
“Però poi l’ho visto in azione…”
“E dunque cosa pensate adesso?”
“Secondo me stanno perdendo tempo”.
In effetti le indagini non portarono ad alcun risultato, o piuttosto ne generarono un altro che non corrispondeva certo alle aspettative: il capitano si accorse che il suo orologio era stato rubato.
Furioso, raddoppiò i suoi sforzi e sorveglio ancor più da vicino Rozaine, con il quale aveva peraltro avuto diversi incontri faccia a faccia. L’indomani, con elegante ironia, l’orologio si fece ritrovare in mezzo ai cinturini di poco valore del vice comandante.
Tutto ciò aveva l’aria di un prodigio, e denotava lo stile burlesco di Arsène Lupin, sicuramente ladro professionista ma in un certo qual modo anche dilettante. Rubava seguendo il suo gusto e l’ispirazione, ma talvolta anche per passatempo. Dava l’impressione del gran signore che si diverte a guardare la commedia che lui stesso sta mettendo in scena e che, dietro le quinte, ride a crepapelle delle proprie arguzie e delle situazioni che è riuscito a creare.
Era decisamente un artista nel proprio campo, e osservando Rozaine, cupo e ostinato, e immaginando il doppio ruolo che quasi certamente stava recitando, era difficile fare a meno di provare un po’ di ammirazione.
Prima dell’ultima notte di viaggio, l’ufficiale di coperta udì dei gemiti nell’angolo più buio del ponte. Si avvicinò. Un uomo era steso a terra, la testa avvolta in una sciarpa grigia molto spessa, i polsi legati con una cordicella fine.
Venne liberato. Lo aiutarono ad alzarsi e gli prestarono delle cure.
Era Rozaine.
Era stato assalito nel corso di una delle sue spedizioni, messo k.o. e derubato. Un biglietto da visita fissato con una spalletta sul suo vestito diceva:
“Arsène Lupin accetta con riconoscenza i 10.000 franchi di monsieur Rozaine”
In realtà il portafogli trafugato conteneva venti biglietti da mille.
Naturalmente venne accusato di aver simulato un’aggressione a se stesso. Ma per lui sarebbe stato impossibile legarsi in quel modo, ed inoltre venne stabilito che la calligrafia sul biglietto da visita differiva totalmente da quella di Rozaine a somigliava semmai a quella di Lupin così come la riproduceva un vecchio giornale che avevamo a bordo.
Dunque Rozaine non era più Lupin. Rozaine era Rozaine, figlio di un commerciante di Bordeaux. E la presenza di Arsène Lupin veniva ulteriormente confermata da questa aggressione spavalda.
Fu il terrore. Nessuno aveva più il coraggio di restare da solo nella propria cabina, o avventurarsi nei settori più isolati della nave. Si stava prudentemente in gruppo assieme a gente di cui ci si fidava. E tuttavia un’istintiva diffidenza separava anche coloro che erano stati intimi, perché la minaccia non proveniva da una singola persona. Arsène Lupin era diventato… chiunque. La nostra immaginazione sovraeccitata gli attribuiva dei poteri miracolosi ed illimitati. Lo immaginavamo capace di camuffarsi nel modo più imprevedibile, di essere di volta in volta il rispettabile maggiore Rawson o il nobile marchese di Raverdan, perché non ci si limitava più agli elementi iniziali di colpevolezza, si coinvolgevano anche persone che tutti conoscevano e anche coloro che erano accompagnati da mogli, figli e domestici.
I primi messaggi telegrafici non portarono nessuna novità, o almeno il comandante non ce ne rese partecipi, e un silenzio del genere non ci rassicurava.
Così, l’ultimo giorno sembrava interminabile. Vivevamo nella paura che si verificasse un incidente. Questa volta non sarebbe stato un furto, non si sarebbe tratto di una semplice aggressione, sarebbe stato crimine allo stato puro, omicidio. Sembrava impossibile che Arsène Lupin si fosse limitato a questi due insignificanti furti. Padrone assoluto della nave, gli ufficiali di bordo ridotti all’impotenza, a lui bastava voler fare qualcosa e gli era permesso, i nostri beni e le nostre vite erano nelle sue mani.
Ore piacevoli per me, lo ammetto, perché mi valsero la fiducia di miss Nelly. Impressionata da tutti questi eventi, essendo già inquieta per temperamento, lei cercava spontaneamente in me una protezione, una sicurezza che ero felice di offrirle.
In fondo Arsène Lupin era stato una benedizione per me. Non era stato lui a farci avvicinare? Non era forse grazie a lui se ora potevo abbandonarmi a dei bellissimi sogni? Sogni d’amore ma anche sogni meno chimerici, perché negarlo? Gli Andréasy sono una valente stirpe della regione di Poitou, ma il nostro blasone si è un po’ sbiadito, e mi sembrava che non fosse cosa indegna per un gentiluomo cercare di restituire lustro al proprio cognome.
E questi sogni – me lo sentivo – non infastidivano Nelly. I suoi occhi sorridenti mi autorizzavano a crederci. La dolcezza della sua voce mi diceva di sperare.
E fino all’ultimo momento, appoggiati ai parapetti, restammo l’uno vicino all’altra, mentre la linea della costa americana si profilava davanti a noi.
Le perquisizioni erano state interrotte. Aspettavamo. Dalla prima classe sino al ponte inferiore dove si accalcavano gli emigranti si attendeva il momento supremo in cui sarebbe stato svelato l’insolubile enigma. Chi era Arsène Lupin? Con quale nome, sotto quale maschera si nascondeva il famoso ladro?
E questo momento arrivò. Dovessi vivere cent’anni, non ne dimenticherò mai neppure il più infimo dei dettagli.
“Come é pallida, miss Nelly”, dissi alla mia compagna di viaggio che mi si appoggiava al braccio con aria fiacca.
“E lei”, mi rispose, “lei è così cambiato!”
“Consideri che stiamo vivendo un momento appassionante, e io sono felice di viverlo accanto a lei miss Nelly! Il suo ricordo si prolungherà…”
Lei non mi ascoltava, era ansimante e febbrile. Venne calata la passerella. Ma prima che avessimo la libertà di attraversarla,  delle persone montarono a bordo, doganieri, uomini in uniforme, postini.
Miss Nelly balbettò: “Si direbbe che Lupin sia scappato durante la traversata, cosa che non mi stupirebbe”.
“Forse ha preferito la morte al disonore, e si è buttato nell’Atlantico pur di non essere arrestato”.
“Non rida”, replicò irritata.
All’improvviso trasalii, e quando lei mi chiese il perché le dissi: “Vede quell’ometto anziano, in piedi all’estremità della passerella?”
“Con l’ombrello e un redingote verde oliva?”
“Si. E’ Ganimard”.
“Ganimard?”
“Proprio lui, il famoso poliziotto che ha giurato di arrestare Lupin. Capisco perché non siano arrivati messaggi di alcun genere dall’America: Ganimard stava già lì, e non voleva che qualcun altro si occupasse delle sue inchieste”.
“Allora è certo che Arsène Lupin verrà preso?”
“Chissà? Sembra che persino Ganimard lo abbia visto solo camuffato e truccato. A meno che non conosca con certezza il nome falso con cui è registrato a bordo…”
“Ah!, se potessi assistere all’arresto!”, disse lei con quella curiosità un po’ crudele tipica delle donne.
“Pazientiamo. Sicuramente Lupin ha già notato la presenza del suo nemico. Preferirà sbarcare in mezzo agli ultimi, quando l’occhio del vecchio gendarme comincerà ad essere stanco”.
Lo sbarco ebbe inizio. Appoggiato sul suo ombrello, aria indifferente, Ganimard sembrava non prestare attenzione alla gente che si affollava lungo le due balaustrate. Mi accorsi che un ufficiale di bordo alle sue spalle gli dava delle indicazioni, ogni tanto.
Il marchese di Raverdan, il maggiore Rawson, l’italiano Rivolta sfilarono assieme ad altri, tanti altri. E notai Rozaine che si avvicinava.
Povero Rozaine! Sembrava non essersi ancora rimesso dalla sua disavventura!
“Potrebbe essere lui, nonostante tutto”, mi disse miss Nelly. “Lei che ne pensa?”
“Penso che sarebbe interessante avere una fotografia dove compaiano assieme Rozaine e Ganimard. Prenda la mia macchina fotografica, io ho parecchio bagaglio addosso”.
Gliela diedi, ma troppo tardi. Rozaine era già andato. L’ufficiale di bordo aveva sussurrato qualcosa nelle orecchie a Ganimard, ma questi aveva alzato le spalle e Rozaine era passato.
Ma allora chi era Arsène Lupin?
“Già”, fece lei a voce alta, “Chi è?”
Erano rimaste una ventina di persone. Lei le fissava una ad una con il timore confuso che lui non facesse parte di questi venti.
Le dissi: “Non possiamo più aspettare”.
Lei avanzò. Io la seguivo. Ma non avevamo fatto neppure dieci passi che Ganimard ci fermò.
“E allora?”, gridai.
“Un istante monsieur, perché questa fretta?”
“Sto accompagnando la signorina”.
“Un istante”, ripeté Ganimard con voce autoritaria.
Mi squadrò bene e poi, guardandomi dritto negli occhi, chiese: “Arsène Lupin, giusto?”
Mi misi a ridere. “No, semplicemente Bernard d’Andréasy”.
“Bernard d’Andréasy è morto tre anni fa in Macedonia”.
“Se Bernard d’Andréasy fosse morto non sarei più di questo mondo. E non è così. Le mostro i miei documenti”.
“Sono i suoi. Mi piacerebbe sapere in che modo ne è venuto in possesso”.
“Lei è pazzo! Lupin si è imbarcato con un nome iniziante per R”.
“Si, un altro trucco, una falsa pista su cui lei ha spinto tutti quanti. Che furbone, lei è in gamba. Ma stavolta la fortuna le ha voltato le spalle. Forza Lupin, ammetta la verità”.
Esitai un attimo. Con una botta secca mi colpì sull’avambraccio destro. Lanciai un grido di dolore. Aveva centrato la cicatrice ancora dolorante di cui parlava il dispaccio.
Insomma, bisognava arrendersi. Mi voltai verso miss Nelly, che ascoltava nervosa, impallidita.
Il suo sguardo incontrò il mio, poi si abbassò verso la Kodak che le avevo dato. Lei fece un gesto brusco, ed ebbi l’impressione, anzi la certezza che aveva capito tutto. Si, dentro quella scatolina foderata di zigrino nero, nella cavità di quell’oggetto che avevo precauzionalmente messo nelle sue mani prima che Ganimard mi arrestasse, si trovavano i ventimila franchi di monsieur Rozaine, le perle e i diamanti di lady Jerland.
Lo giuro: in quel momento solenne, mentre Ganimard e due dei suoi uomini mi circondavano, tutto mi era indifferente, anche l’arresto e l’ostilità della gente intorno a me. Una sola cosa mi premeva: la decisione che stava per prendere miss Nelly riguardo quell’oggetto che le avevo affidato. Rappresentava una prova concreta e decisiva contro di me. Ma Nelly avrebbe fornito ai gendarmi quella prova? Mi avrebbe tradito? Sarei stato perduto per causa sua? Si sarebbe comportata come un nemico spietato, o come una donna che ricorda ogni cosa e che addolcisce il disprezzo con qualche indulgenza e un po’ d’involontaria simpatia?
Mi passò davanti. La salutai senza pronunciare una parola. Confusa in mezzo agli altri viaggiatori si avvicinò alla passerella con la mia Kodak tra le mani.
Non osa farlo in pubblico, non c’è dubbio, pensai. Fra un’ora o anche meno consegnerà l’oggetto.
Ma arrivata al centro della passerella, simulando un movimento maldestro lo fece cadere nell’acqua tra il muro della banchina e la fiancata della nave.
Poi la vidi allontanarsi.
La sua graziosa silhouette sparì in mezzo alla folla, apparve di nuovo e scomparve definitivamente.
Per un istante restai immobile, provando tristezza e un dolce languore. Poi, con grande sorpresa di Ganimard sospirai: “Proprio un peccato che io non sia un uomo onesto…”


Fu così che, durante una serata invernale, Arsène Lupin mi raccontò la storia del suo arresto. Una combinazione di eventi - che prima o poi narrerò per iscritto - aveva fatto sì che nascesse tra di noi un legame di… posso azzardare la parola ‘amicizia’? Si, io credo che Lupin mi onori con un qualche sentimento di amicizia, ed è a causa di questa amicizia che talvolta viene a farmi visita all’improvviso, riempiendo il silenzio del mio studio con la sua allegria giovanile, la luce della sua vita ardente, il suo piacevole umore al quale il destino riserva solo favori e sorrisi.
Una sua descrizione? E come potrei farla? Venti volte ho visto Arsène Lupin, e venti volte mi è apparsa una persona diversa… o piuttosto era sempre la stessa persona, di cui venti specchi diversi mi hanno ogni volta inviato delle immagini deformate, ciascuna coi suoi occhi, con il suo corpo, la sua gestualità, il suo profilo e il suo carattere specifico.
“Io stesso” mi ha detto una volta “non so più bene chi sono. Allo specchio non mi riconosco più”.
Una battuta ovviamente, un paradosso, ma è la verità agli occhi di coloro che lo incontrano ignorando le sue infinite risorse, la sua pazienza, la sua arte nel travestirsi, la sua prodigiosa facoltà di trasformare persino le proporzioni del suo volto e di alterare addirittura il rapporto fra i lineamenti.
“Perché”, mi ha detto anche “dovrei avere un aspetto esteriore definito? Perché non dovrei evitare il pericolo di una personalità sempre identica? Bastano le mie azioni a definirmi”.
E ha precisato con una punta di orgoglio: “Tanto meglio se non si potrà mai dire con certezza: quello è Arsène Lupin. L’essenziale è che si possa dire senza timore di sbagliarsi: questo lo ha fatto Arsène Lupin”.
Ciò che proverò a ricostruire sono alcuni di questi fatti, di queste avventure, grazie alle confidenze che lui mi ha gentilmente concesso nel corso di alcune serate invernali trascorse nel mio studio…

lunedì 15 febbraio 2010

Prego notare

In questi giorni un paio di persone (non molto addentrate nell'editoria nazionale) mi hanno suggerito di misurare le mie ambizioni scrittorie tramite un "concorso letterario" abbastanza importante visto che "facevano la pubblicità su Rete 4"...   :-S
Se qualche giovane pieno di entusiasmo avesse la tentazione di provarci e di fare la conoscenza con il "gruppo Albatros", che poi sarebbe "il Filoonline", gli cito una sola delle risposte riportate nelle FAQ di chi ha organizzato questo... concorso:

È previsto un anticipo sui diritti a vantaggio dell’autore o un contributo economico che l’autore dovrà versare per accedere alla pubblicazione?
I contratti da noi proposti possono prevedere sia un anticipo sui diritti a vantaggio dell’autore, sia l’obbligo di acquisto di un quantitativo minimo di copie da parte dell’autore.

venerdì 12 febbraio 2010

Yo-wrd

Questo é il secondo racconto "nerdotaku". E' una novità assoluta persino per Mirco...


YO-WRD

Rosanna è attesa nel confessionale, annunciò la voce metallica dell’altoparlante.
“Rosanna, ti hanno chiamata!”, ribadì la D’Urso precipitandosi verso la camera da letto. “Ti hanno appena… Oh, scusate!”
Rosanna stava beatamente sdraiata a pancia in giù, occhi chiusi e sorriso di totale relax, mentre Ridge le massaggiava la schiena facendole scorrere le mani lungo la colonna vertebrale con dei gesti molto professionali.
“Volevo solo avvisarti che devi andare in confessionale”, si scusò la D’Urso allontanandosi a piccoli passi e invitando tutti gli ospiti della casa a non disturbare i due piccioncini. “Rosanna è impegnata”, spiegò agli operatori in studio, “In confessionale ci andrà più tardi”.
Scusate, non ce ne eravamo accorti, commentò l’altoparlante.
“E meno male che ci sono cento telecamere!”, ironizzò la D’Urso. “Ma i monitor li guardate o li tenete spenti?”
Silenzio. Troppo imbarazzante cercare una scusa per giustificarsi.
Rosanna intanto continuava a godersi le balsamiche mani di Ridge che carezzavano amorevolmente la sua pelle.
“Devo dirti una cosa”, azzardò lui con un certo imbarazzo.
“Ecco perché ci tenevi tanto a farmi il massaggio! Volevi rilassarmi in modo che fossi ben disposta verso ogni tua richiesta, vero?”
“Stai scherzando?”, replicò Ridge modulando la voce con un’intonazione drammaticamente perfetta. Ma dopo un lungo sospiro ammise che: “Beh, forse in parte anche per questo motivo. Si, in effetti hai ragione te”.
Rosanna sorrise soddisfatta. Lui non aveva segreti per lei, riusciva a capire le sue intenzioni come se fosse trasparente. Un uomo di vetro. Magari vetro di Murano, roba buona eh!
“Parla”, sbuffò a voce bassa come se gli stesse facendo una concessione.
Ridge si concentrò per esprimere solennemente le propria supplica. “Ti prego di non fraintendermi ma io…” (pausa carica di tensione) “vorrei proprio uscire dalla casa. Sono due settimane che sto qui dentro, ho già perso tre consigli d’amministrazione e…”
“E hai una gran voglia di rivedere Taylor”, lo interruppe Rosanna con il solito sorrisetto onnisciente.
“Taylor? Ma è morta!”
“Era morta. Poi però è tornata, non ricordi? Aveva simulato il decesso in ospedale perché sentiva la necessità di ricostruirsi una vita e volevi staccarsi da te senza dirtelo in modo brutale. Ma è ritornata dopo aver capito che aveva mancato di sensibilità nei tuoi confronti. Te ne eri dimenticato?”
“La prima volta si”, confermò Ridge, “Ma la seconda volta è morta sul serio”.
“E’ tornata anche la seconda volta”, gli rammentò Rosanna.
“Ne sei sicura?”, le chiese conferma l’uomo intonando la domanda con una straordinaria carica di potenza teatrale.
“Iess”, scherzò Rosanna sibilando la S come una coatta del Tufello.
“Ti prego”, la supplicò Ridge con lo sguardo inorridito, “Mi fai raggrinzire la pelle quando ti esprimi in modo così volgare”.
“Lo so. E’ per questo che vuoi rivedere Taylor, vero? Lei è raffinata, è elegante, è anche dottoressa… Mille volte meglio di me”.
“Ma come puoi insinuare una cosa del genere?”, si disperò Ridge gettandosi sopra di lei e stringendola forte, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime. “Tu lo sai che io ti amo!”, urlò tragicamente con la voce rotta dal pianto.
“E allora puoi restare qui con me ancora qualche giorno”, tagliò corto Rosanna. Stava per aggiungere altro, ma venne interrotta dalla voce roca della De Filippi.
“Scusa Rosanna, non volevo disturbarti, ma tra poco c’è la prova di canto”.
“Uh, è vero oggi ho la sfida!”
“Si, e…” (la De Filippi si avvicinò alla ragazza con aria complice) “Se posso darti un suggerimento”, le sussurrò nelle orecchie, “i giudici oggi sono un po’ nervosi. Se ti fanno qualche critica accettala senza fiatare, vedrai che alla fine ti ripagheranno con un giudizio più che sufficiente”.
“Ma domani potrò cantare a Sanremo?”
“Questo è ovvio”, la rassicurò la De Filippi. “Ho già parlato coi dirigenti della Rai, è tutto sistemato. Parteciperai nella categoria ‘big’, hanno fatto un’eccezione esclusivamente per te”.
“Perfetto”.
“Vincerai tu, tesoro mio!”, proclamò entusiasticamente Ridge.
“Adesso però devo andare in confessionale”, notò Rosanna guardando l’orologio. Voglio dire un paio di parole su quella zoccola della Rodriguez. Oggi la nomino e la faccio eliminare. Giovedì deve uscire lei!”
“Ma non è successo niente nella sauna!”, piagnucolò Ridge implorandole di riconoscere la propria innocenza.
“Dicono tutti così”, scherzò la De Filippi.
Ma all’improvviso la casa e i suoi abitanti iniziarono a dissolversi…

Rosanna aprì gli occhi. Stefano era davanti a lei, sguardo severo e l’yo-wrd che gli penzolava dalla mano destra.  Sembrava proprio una banale cuffia con auricolari.
“Perché mi hai interrotto all’improvviso?”
Stefano inspirò profondamente prima di iniziare a elencare le ragioni. “In primo luogo, è scaduto il tuo turno. Avevamo detto ‘fino alle cinque’ e sono quasi le sei…”
“Di già?”
“… Secondo, hanno suonato venti volte e sono dovuto uscire io dalla doccia per aprire…”
“Non ho sentito il campanello”, mentì spudoratamente Rosanna.
“… Terzo, lo stavi usando in modo indegno!”
“Che vorresti dire?”, replicò la ragazza facendosi di colpo seria.
“Non ho potuto fare a meno di…”
“Hai usato la funzione ‘visualizza’?”, urlò Rosanna inferocita.
“L’hai fatta partire te. Forse non te ne eri accorta…”
Orecchie e guance in fiamme. “Le impostazioni sono complicate, troppe cose da ricordare!”
“Comunque, adesso sarebbe il mio turno e…”
“Si, tienitelo!”, gli gridò la ragazza piena di rancore. “Tanto io lo uso solo per cose indegne!”
Stefano deglutì la consapevolezza di aver usato una parola sconveniente. Contò sino a dieci prima di tentare un’autodifesa con le parole giuste e i concetti adatti.
“Mi spiego meglio. L’yo-wrd è un’invenzione straordinaria, direi la più grande nella storia dell’umanità. Permette di creare virtualmente il proprio mondo perfetto. Sai bene che mi è costata un bel po’ di soldi, ma li ho spesi volentieri. Però…”
“… Se la usa un’imbecille come la tua fidanzata sono soldi sprecati, volevi dire questo, vero?”
“Ma no! Vedi Rosanna…”
Stefano contò nuovamente fino a dieci: uno due tre quattro…
… Ma basta, cazzo! Perché giustificarla? Diciamo le cose come stanno!
“Si, hai ragione! Se la usi te sono soldi sprecati! Ma ti pare logico sfruttare un virtualizzatore di realtà per fingere di partecipare a due reality show per dementi insieme al protagonista della soap opera più idiota nella storia delle televisione? E’ un uso normale? Il tuo cervello riesce ad andare al di là delle stronzate o ti è proprio impossibile?”
Rosanna gli si parò davanti digrignando i denti. Aveva gli occhi carichi d’odio. Ma lentamente si fecero lucidi, e di colpo la bocca si contorse in un’espressione di dolore.
“Hai ragione”, singhiozzò la ragazza mentre lacrime nere di rimmel le colavano lungo gli zigomi. “Mi dispiace! Scusami! Tu lo sai che io non sono intelligente come te, sono solo una povera scema!”
Ormai piangeva a dirotto. Le parole erano intramezzate da violente convulsioni al petto. “Mi arrabbio sempre quando mi dici che guardo cose idiote perché dentro di me so che hai ragione, ma non vorrei ammetterlo! Non puoi immaginare quanto sia orribile avere la consapevolezza di essere stupida! Mi vergogno di me stessa, eppure non ci posso fare niente! Tu non te ne accorgi, ma certe volte vorrei morire! Mi sento una nullità, e so che resterò una nullità per tutta la vita!”
Si era accasciata a terra, in ginocchio. Stefano la guardava dall’alto verso il basso.
Improvvisamente suonò un allarme…

Stefano riaprì gli occhi. Si tolse la cuffia e controllò il minidisplay a cristalli liquidi. Come volevasi dimostrare:
HAI RAGGIUNTO IL LIMITE DI 30 MINUTI. OBBLIGO INTERRUZIONE PER 180 MINUTI.
Che palle questo avviso! Grande invenzione l’yo-wrd, però era insopportabile la limitazione a mezz’ora di utilizzo a causa di
sindromi quali emicrania, irritabilità, allucinazioni, tremori, spossatezza e delirio schizoide causati da un uso prolungato dell’apparato virtualizzatore
“Sicuramente nella versione A2.2 riusciranno a prolungare i tempi di esposizione”, si augurò Stefano. Intanto però lo attendevano tre ore di astinenza. Bisognava trascorrerle in qualche modo…
Mangiò del tonno in scatola. Controllò la posta elettronica. Aggiornò l’antivirus. E navigò sul suo forum preferito, quello dove aveva più amici.

http://nerdotaku.forum.it    login:         NOME UTENTE yamato    PASSWORD xxxxxxx

nerdotaku world  >  Hi tech e dintorni  >  yo-wrd  >  yo-wrd experiences


L’ultimo messaggio era di MrSpock, uno dei pochissimi utenti che Stefano/yamato conosceva non solo via internet ma anche personalmente, in seguito ad un incontro abbastanza casuale durante una mostra itinerante del museo mobile di Star Trek.

MrSpock    utente n. 57    messaggi 21456
Ho appena realizzato il mio sogno più grande. Il presidente Obama in persona mi ha premiato di fronte all’assemblea delle Nazioni Unite per aver reso possibile l’accordo fra Apple e Microsoft. Steve Jobs e Bill Gates si sono stretti la mano in mia presenza, e hanno riconosciuto che la mia mediazione è stata fondamentale per raggiungere un punto d’incontro. La fusione fra le due aziende è in atto. Il mondo sta per diventare perfetto :-)

yamato        utente n. 81    messaggi 43789
Ciao Francesco. Non male come esperienza. Però avresti potuto invitarmi, eh ;-)
Io invece ho appena umiliato la mia ex fidanzata. E’ stato grandioso! Resto connesso solo un paio d’ore perché appena finisco l’interruzione obbligata torno subito a virtualizzare. Devo continuare a farla a pezzi. Poi verrà il turno di quel bestione con cui l’ho vista sbaciucchiarsi l’ultima volta che sono uscito di casa, tre mesi fa.

giovedì 11 febbraio 2010

Il gene della scrittura?

Mi chiedevo se la passione (non il talento) per la scrittura possa essere un codice genetico.
Sarà che nel mio caso io rappresento la terza generazione con la fissa per carta penna e creatività...
Mio zio ama molto leggere, ha un'erudizione notevole e scrive saggi sulla storia e le tradizioni della nostra città, di cui é un vero esperto. Ha pubblicato diversi studi a carattere locale, oltre a numerosi articoli su quotidiani e riviste.
Mio nonno preferiva la poesia. Ai suoi tempi si era ormai affermato il verso libero ed evocativo dell'ermetismo, ma lui prediligeva la tradizione dell'endecasillabo rimato, e un paio di raccolte riuscì a pubblicarle (ancora esistevano editori disposti a rischiare sulla poesia).
Quindi presumo di aver geneticamente ereditato la passione per la scrittura. Se solo riuscissi a farla fruttare meglio...

martedì 9 febbraio 2010

Quarantanni

Come già detto, ho terminato il compendio sui centri commerciali. Ma ho già pronto il sostituto: me lo ha suggerito la mia anagrafe.
Nel corso dell'anno solare 2010 taglierò il traguardo dei 40 anni... Un'età che si presta a bilanci, rimpianti, slanci di maturità e immediati controslanci a base di cazzeggiamenti per sentirsi ancora giovane...
La mia mancanza di serietà l'ho concentrata su questo argomento. E ho iniziato un nuovo compendio su tutto ciò che bisogna evitare a 40 anni...

Evitare di fissare troppo intensamente ragazze giovanissime
Cari coetanei, se vi capita davanti agli occhi una bella figliola sui 16 anni che magari è pure vestita in modo provocante, fate del vostro meglio per non guardarla, anzi allontanatevi.
Non lo dico perché penso che sia immorale accanire lo sguardo su una minorenne (solo una sottigliezza giuridica, visto che in altre nazioni a 16 anni si è considerati maggiorenni con diritto al voto, alla patente di guida e ai rapporti sessuali).
Non mi riferisco neppure ai problemi cardio-circolatori in cui si può incorrere facendo montare il testosterone nella spasmodica radiografia visiva di una lolita sexy (basta una pillola per abbassare la pressione e il problema è risolto).
E’ una cosa da evitare solo perché quella ragazzina potrebbe essere la figlia di un vostro amico e coetaneo che si è sposato giovane... Magari lui sta lì, alle vostre spalle senza che ve ne siate accorti, e ha osservato con attenzione la scena accorgendosi dell’interesse non proprio scientifico che state dimostrando per l’anatomia della sua adorata bambina… Adesso si avvicina a voi, vi da una pacca sulla spalla e con una scintilla negli occhi vi dice: “Ciao, come va? Che mi racconti, cosa stavi guardando con tanta concentrazione?”
Meglio non trovarsi in una situazione del genere…

lunedì 8 febbraio 2010

Nerdotaku

Come avevo anticipato nel post in cui facevo il punto della situazione, nelle ultime settimane ho scritto due short stories brevissime basate su un'idea di Mirco. Lui stava lavorando a dei "racconti nerd" che ho avuto il piacere di leggere, mi hanno ispirato, e mi hanno fatto diventare più realista del re. Non esagero: Mirco stesso ha confermato che i miei due raccontini sono molto più nerd dei suoi ;-)  In effetti a suo tempo sono stato anche un po' otaku, quindi li ho battezzati "nerdotaku".
Ne sto scrivendo un terzo. Quando sarà concluso penso di riunirli in un ebook gratuito su lulu.com
Nel frattempo li pubblicherò separatamente sul blog, anche perché le idee latitano e ritrovarsi tre post già pianificati é un bel vantaggio...
La lettura sul blog può essere più faticosa, ma sono veramente brevissimi, circa 10.000 battute ciascuno.
Per quanto riguarda il loro valore letterario... beh, spero di ricevere qualche opinione in merito.


RADUNO ALIENO

L’alieno era avvolto dal freddo crepuscolo di una sera invernale. Piccole fumate biancastre gli fuoriuscivano dalla bocca mentre respirava a fatica la densa aria del pianeta Terra. Fatti pochi passi entrò nella metropolitana. Si guardò attorno per esaminare le forme di vita operanti al suo interno, e alla fine ne individuò una coronata da un cappello basso con visiera corta, elemento che lo identificava come “funzionario”. Si avvicinò alla lastra di vetro che isolava il “funzionario” dal mondo circostante e con un perfetto accento terrestre disse:
“Un biglietto per favore”.
L’alieno ritirò il titolo cartaceo che gli permetteva di accedere ai binari del treno sotterraneo. Vi incontrò altre sei forme di vita che attendevano l’arrivo del convoglio.
Una di queste forme era particolarmente ben messa, con capelli biondi, rossetto fucsia, cerchi dorati alle orecchie e gambe coraggiosamente esposte al gelo, riparate solo da leggerissime calze nere che si intonavano alla perfezione con la minigonna. Si voltò per un attimo verso l’alieno guardandolo in faccia. Poi l’attenzione si spostò sui piedi. Rimase concentrata su due strani stivali marroni che avevano la forma di piedi anfibi, e un attimo dopo ricominciò a fissarlo nella parte alta del busto. Lo stesso marrone faceva capolino dalle maniche e dal collo del cappotto nero che indossava per ripararsi dal freddo. Evidentemente sotto aveva una tuta, o qualcosa di molto simile. Dietro al collo pendeva un cappuccio con una forma particolare, una sorta di maschera da mostro…
“E’ un raduno”, spiegò l’alieno notando la faccia perplessa di quella ragazza. “Mi ha invitato il mio amico Alberto, che è un esperto di fantascienza. Personalmente ho sempre preferito il genere fantasy, infatti questo è il mio primo raduno extraterrestre. In genere andavo a quelli dei barbari e degli elfi. Beh, gli elfi solo una volta. Volevo sperimentare una cosa nuova, tanto per cambiare”.
La forma di vita terrestre biascicò un “Mmmm”, che poteva significare ‘Capisco’, oppure ‘Non me ne può fregare di meno’ oppure ‘Questo è scemo’.
Il convoglio arrivò in quell’istante, e mentre l’alieno saliva su un vagone in coda ripensò alle istruzioni ricevute. Alberto era stato chiaro: raduno nell’intersezione galattica fra la nebulosa di Magellano e la costellazione di Orione, che era stato abbastanza semplice identificare come l’incrocio fra Corso Ferdinando Magellano e Via Don Luigi Orione.
Per quanto riguardava l’orario, aveva parlato della settima frazione della rotazione universale applicandovi però il tempo di Tattoine. L’alieno (che si chiamava Ilario) si era messo a fare conti con la sua fidata calcolatrice e aveva stabilito con un margine di errore minimo che tale dato equivaleva alle ore 18.15 terrestri, fuso orario del conglomerato socio-politico ‘Italia’.
Alle 18 spaccate il treno giunse alla fermata “Marte” (per essere precisi all’angolo fra Via Campo di Marte e il Vicolo del Tempio di Diana). Pochi passi e l’alieno era già al centro dell’intersezione galattica. Ma dove si teneva il raduno?
Si guardò attorno sperando di scorgere altre forme di vita extraterrestre, ed ebbe fortuna: un tizio con una lunga coda grigia che fuoriusciva dal piumino stava sparendo nel sottosuolo. Evidentemente avevano scelto di riunirsi in un locale seminterrato.
Andò di corsa verso gli scalini e si calò nella stanza sotterranea sperando di scorgere Alberto. Era il suo unico riferimento in quel gruppo di maniaci della fantascienza.
Nella penombra della sala vide una ventina di persona decisamente eterogenee: un tizio sembrava alto due metri e mezzo, chissà che razza di trampoli si era messo ai piedi; un altro invece si era appena tolto il casco da motociclista mostrando una faccia piena di squame blu; e ce ne erano degli altri ancora con travestimenti così curati da fare impressione.
All’improvviso risuonò uno strano verso che sembrava il sibilo di un serpente misto a tosse piena di catarro.
“Per favore, niente lingue native”, urlò un grassone con la faccia tinta di rosso che aveva l’aria di essere il moderatore della riunione. “E’ stato stabilito di usare il terrestre come lingua franca, e invito tutti i presenti a non dimenticarsene”.
“Scusami Fulvur!”, replicò il parlatore sibilante.
“Va bene, scuse accettate”, tagliò corto Fulvur il rosso. Poi, dando una rapida occhiata aggiunse: “Mi sembra che manchi ancora qualcuno. Chi sono i ritardatari?”
“Mi sa che Alberto deve ancora arrivare”, intervenne Ilario ad alta voce.
Tutti gli alieni si voltarono contemporaneamente verso di lui.
“Chi sei?”, gli domandò un piccoletto alto circa un metro e mezzo con occhi da insetto, una specie di proboscide al posto del naso e il viso coperto di pelo grigio.
“Io sono un gungan del pianeta Naboo”, spiegò Ilario. “E tu?”
Il piccoletto non rispose. Lo guardò invece con aria sorpresa, o forse spaventata, oppure ostile (è difficile capire le espressioni facciali di una mosca).
“Fulvur, abbiamo un problema”, esclamò rivolgendosi al moderatore.
Seguì un lungo silenzio.
“Ah, capisco”, rispose infine il panzone rosso con un evidente imbarazzo nella voce. “Credo che ci sia stato un errore”, aggiunse rivolgendosi direttamente a Ilario. “Noi non siamo quelli che tu pensavi”.
“Non c’è Alberto?”
“No, nessun Alberto qui da noi”.
“Accidenti, scusatemi tanto. Ero convinto che fosse il Raduno di Guerre Stellari. Ho sbagliato parrocchia. Me ne vado”, concluse cercando di apparire il più disinvolto possibile. “Comunque complimenti per i costumi, davvero ottimi”.
Risalì lungo gli scalini e tornò nel bel mezzo dell’intersezione galattica fra Corso Magellano e Via Don Luigi Orione. Diede un’occhiata a 360 gradi e avvistò un iktotchi che attendeva un gungan ritardatario.
“Alberto! Sono qui!”, gli urlò mentre attraversava la nebulosa che li separava.
“Ma dove eri finito?”
“Alla riunione aliena lì di fronte. Non mi avevi mica detto dell’altro gruppo che si incontrava praticamente nello stesso posto!”
“Un altro gruppo? Qui?”
“Si, in quel sottoscala”.
“Onestamente non lo sapevo”, spiegò Alberto. “Conosco tutte le associazioni, e mi risulta che qui ci siamo solo noi”.
“Avresti dovuto vedere come erano mascherati bene! Sembravano veri!”
“Voglio chiedere al nostro presidente se li conosce. Non vorrei che ci facessero concorrenza”.
Tra una parola e l’altra erano giunti in un negozio di modellismo che esponeva in vetrina dischi volanti, astronavi e le indimenticabili miniature Gig di Han Solo, Luke Skywalker e Yoda. Un manifesto artigianale fatto con stampante a getto d’inchiostro pubblicizzava il 3° RADUNO ASTRALE DEI REDUCI DELLE GUERRE STELLARI. Una decina di ragazzi si erano già accomodati sulle sedie, pronti a gustarsi il programma della serata che includeva la consultazione dei rarissimi fumetti di Star Wars pubblicati dalla Marvel nei primi anni ‘80, una bibita imperiale a base di fragola, e l’ascolto di un cd di John Williams con alcune arie della colonna sonora della trilogia.
“Beh, come atmosfera è molto meglio qui” notò Ilario. “Quell’altro raduno era troppo formale, si prendevano sul serio in modo esagerato”.
“Ognuno ha le sue abitudini”, commentò Alberto mentre si infilava le lunghe orecchie (o corna? boh) da iktotchi. “Comunque sbrigati a metterti la faccia”.
“Va bene, agli ordini. Anzi...” Attimo di dubbio. “Come si dice ‘agli ordini’ nella lingua dei gungan?”
“Non lo so”, ammise Alberto, “Devi chiederlo a Gianni”, spiegò indicando una faccia glabra e marrone su cui spiccavano gli occhioni neri di un aqualish.
“Cominciamo” annunciò solennemente Obi Wan Kenobi.

Intanto nel sottoscala all’altro lato della strada regnava il silenzio. Fulvur si era allontanato, e gli alieni erano nervosi. Finalmente il moderatore riapparve in mezzo a loro suscitando un bisbigliare confuso.
“Allora”, esordì a voce alta per far cessare il parlottare sommesso dei presenti, “il Comando Interstellare deplora l’episodio avvenuto stasera, e ci invita a una maggiore prudenza. Inoltre”, continuò con molta rassegnazione nella voce, “ha ritenuto opportuno sospendere il progetto di invasione della Terra a data da destinarsi, visto che di fatto un terrestre si è infiltrato tra noi e per quanto ne sappiamo ora potrebbe essere già dalle autorità competenti per informarle del pericolo che il loro pianeta sta correndo”.
“Che stronzata! Quello lì non si era accorto di niente”, sottolineò un bestione azzurro con quattro occhi.
“E se pure andasse in giro a raccontare del nostro progetto di invasione, chi gli crederebbe? Lo prenderebbero per matto”, fece notare il tizio alto due metri e mezzo.
“Ragazzi, io la penso come voi, ma tanto si era già capito che al Comando Interstellare non gliene frega un cazzo della Terra”, concluse senza troppi giri di parole Fulvur. “Per loro è più importante quell’inutile blocco di basalto vicino alla Galassia di Andromeda, lo sapete bene. Cominciate a preparare i bagagli, fra qualche giorno si parte per una nuova destinazione”.
“Peccato, in fondo qui mi ci trovavo bene”, disse quasi sospirando un omuncolo verde. “Avevo persino fatto amicizia coi redattori di una rivista a fumetti che mi aveva assunto come sceneggiatore e grafico per le copertine”.
“Qui?”, gli chiese con una certa curiosità Fulvur.
“No, nella conglomerazione socio-politica chiamata ‘Giappone’”.
“Mi spiace per te Keroro”, concluse Fulvur, “la tua carriera artistica terrestre è già finita”.

venerdì 5 febbraio 2010

Jacek Yerka

Sinora ho parlato solo di artisti del passato, rappresentanti della pittura tradizionale o del primo movimento che ha cercato delle alternative, il simbolismo.
Da quel momento in poi é un fiorire di correnti innovative, non tutte di mio gradimento (parlando sempre da profano fruitore e non da esperto, che non sono e non sarò mai).
Il surrealismo é una di quelle più note, e cerca di trasfigurare la realtà in immagini oniriche o comunque visionarie.
Artisti come Dalì e Magritte sono ormai icone dell'arte. Magari in futuro dedicherò qualche post ad alcune delle loro opere meno note.
In questo invece vorrei dare spazio ad un artista vivente, il polacco Jacek Yerka, che segue la (ormai) tradizione del surrealismo.
Al pari dei pittori storici di quel movimento cerca insistentemente la nitidezza e, specificamente come Magritte, compone paesaggi in cui la maggior parte degli elementi sono del tutto realistici, se vengono osservati singolarmente. Inoltre fa un uso insistito del paradosso visivo, altra specialità del grande artista belga o (in forma molto diversa) dell'incisore olandese M.C. Escher (altra icona cui dedicherò dei post, prima o poi).
La produzione di Jacek Yerka é notevole, e sul web é possibile trovare molti esempi delle sue straordinarie creazioni.

mercoledì 3 febbraio 2010

Altre inquisizioni

Di Borges avevo già parlato in questo post e sicuramente ne parlerò ancora.
Come "librovissuto" avrei potuto inserire quasi tutti quelli che ho letto. Ho scelto "Altre inquisizioni" perché é un'esempio straordinario di letteratura senza narrativa. Gli scritti che compongono questo libro sono dei brevi saggi, ma in realtà anche la parola "saggi" può essere un po' forzata. C'é un insieme di intuizioni, riflessioni, analogie, analisi e confronti di cui poteva essere capace solo un uomo che ha trascorso la sua vita più a leggere che a vivere (ed é uno dei modi con cui Borges si definisce).
La linea che riesce a tracciare da Hawthorne a Kafka, la contrapposizione tra Kafka e Chesterton, il legame quasi mistico che nota fra Khayyam e il suo traduttore inglese Fitzgerald, la sua particolare maniera di accostare la letteratura fantastica alla teologia e alla filosofia come se fossero un'unica forma della speculazione mentale umana...
"Finché uno scrittore si limita a narrare avvenimenti o a delineare le lievi oscillazioni di una coscienza, possiamo supporlo onnisciente, possiamo confonderlo con l'universo o con Dio; non appena scende a ragionare, lo sappiamo fallibile [...] Dio non deve teologizzare; lo scrittore non deve infirmare con ragioni umane la momentanea fede che esige da noi l'arte".
Le intellettualissime e coltissime riflessioni di Borges sono un esempio di come si possa scrivere sulla letteratura partendo... dalla letteratura, non dalla realtà o dall'uomo, come se l'ars letteraria prendesse vita propria e divenisse un'entità a se stante.
Certamente é un tipo di lettura erudita che necessita di una buona dose di predisposizione. A me ha trasmesso l'interesse per la letteratura a tutto tondo. Borges infatti dedica pagine ad autori spesso snobbati da una certa critica, come H.G. Wells o W.T. Beckford, dando merito alla loro straordinaria inventiva (e in fondo l'arte e la letteratura sono sempre "finzioni", come rammenta il titolo di un altro suo libro famoso).

martedì 2 febbraio 2010

Concorso Effequ

Avevo pubblicato il bando del concorso della casa editrice Effequ senza essere certo di riuscire a partecipare, poiché vengono forniti degli elementi ben precisi su cui deve basarsi il racconto e sui quali devono uniformarsi i partecipanti.
Per inclinazione resto attaccato a quel particolare stato mentale di cui ormai si mette in dubbio l'esistenza: la vecchia, decrepita, illusoria ispirazione. Scrivo quando un'idea comincia a farsi largo in testa, e non mi pongo nessun problema di lunghezza, tematiche o interesse generale.
E invece dopo pochi giorni ho trovato uno spunto in linea con quanto richiesto nel bando. Praticamente il racconto da inviare l'ho già quasi finito (la bozza s'intende. Mi prenderò qualche settimana per l'editing).
Quindi anch'io sono in grado di fare a meno dell'ispirazione? Ancora no. Direi che questo é stato un caso. Pazienza. Dopo tutto non ho il problema di dover scrivere su commissione, quindi non c'é motivo per cui debba preoccuparmi.

lunedì 1 febbraio 2010

Finito il compendio

Post conclusivo del compendio sui centri commerciali.
Ma ho già un'idea per un'altra serie di post poco seri... Comunque intanto terminiamo con un settore nevralgico dei moderni templi dello shopping, fondamentale per farti restare dentro le sue mura il più a lungo possibile, ovvero la

RISTORAZIONE
Mangiare in un centro commerciale è sempre un’esperienza straordinaria. Tanto per cominciare si può sperimentare la vera, autentica cucina internazionale globalizzata. Puoi mangiare del sushi in un ristorante giapponese gestito da personale cinese che compra il pesce in un mercato rionale italiano; oppure puoi provare il locale turco, dove un cameriere napoletano ti serve un kebab di carne di maiale. E’ stupendo vedere una famiglia italiana nella taverna messicana mentre ordina tacos fatti con piadine romagnole e wurstel, e a pochi passi di distanza un gruppo di turisti messicani che mangia pizza margherita condita con ketchup e sottilette. L’esperienza più gratificante però è avere la sensazione di trovarsi a Springfield, nel classico locale che piacerebbe a Homer Simpson: normali ciambelle trasformate in surreali sculture di glassa azzurra, granella di zucchero bianco, decorazioni di cioccolato marroni, ripieno di marmellata rossa alla ciliegia; tradizionali caffè seppelliti sotto crema di zabaione, panna montata, scaglie di pistacchio, scorze di limone, uvetta, gelato alla fragola e yogurt naturale; classici panini riempiti con salmone norvegese, tonno tunisino, prosciutto spagnolo, formaggio olandese, bacon inglese e maionese americana… Purtroppo la visita gratuita dal gastroenterologo non è ancora inclusa nel menù, ma prima o poi ce la metteranno, ne sono certo.