mercoledì 27 gennaio 2016

Ridefinizione dei sostantivi: il mio contributo

(Avviso preventivo: questo post si aggiunge a tutti i precedenti del genere divertissment...)

Negli ultimi mesi è stata data molta cura alla giusta ridefinizione dei sostantivi troppo maschilisti e nemici della parità dei sessi. Finalmente la grammatica italiana dispone della sindaca e della ministra. Trovo che sarebbe opportuno ridefinire la grammatica stessa. Intendo: proprio la parola "grammatica". Per sei mesi all'anno si potrebbe continuare a chiamarla la grammatica, per i restanti sei mesi il grammatico, così ci sarebbe una minore discriminazione.
Ma intuisco l'evidente obiezione che la ridefinizione dei generi si applica solo alle persone fisiche (almeno per ora...)
Ebbene, non posso fare a meno di notare l'enorme ingiustizia perpetrata ai danni di ogni rude e maschio soldato con la barba che, solo perché è stato messo di vedetta, viene chiamato la sentinella... Che vergogna! I vertici militari sono proprio dei femministi sciovinisti, feroci discriminatori degli uomini! No, non ci siamo proprio! Da oggi in poi, se il soldato di vedetta è uomo, bisognerà dire il sentinello, non transigo!
Così come non posso accettare che una donna matronale, con tutte le curve al posto giusto, venga apostrofata come il soprano... La musica operistica deve abolire le sue discriminazioni nei confronti del genere femminile, da oggi in poi dovranno esistere solo la soprana, la mezzasoprana, etc.
E non vogliamo sottolineare l'insopportabile neutralità del pediatra? Come se una dottoressa e un dottore, solo perché si sono specializzati nelle malattie infantili, perdessero la loro identità sessuale! Forse è stata fatta una scelta del genere nei secoli passati per non turbare i bimbi con precoci allusioni al sesso, ma ora la società è matura affinché i medici dell'infanzia si si possano giustamente scindere ne il pediatro e la pediatra.
E volete mettere l'arrogante ambiguità che ci impone la nostra lingua sessista quando costringe a dire l'atleta indifferentemente dai casi? Come se esistessero soltanto Sara Simeoni o Fiona May. E Andrew Howe? E Alex Schwazer? Dobbiamo assolutamente riconoscergli il diritto di affermare "Io sono un atleto".
Prendete anche cantante. É troppo mortificante dipendere dagli articoli per identificare il proprio genere, si deve poter prescindere dagli "il", "la, "un", "una". Da oggi in poi si dica: cantanto o cantanta!
(Ché poi mi sta venendo un dubbio atroce: modificare i nomi invariati per renderli maschile e/o femminile, non potrebbe essere una forma di discriminazione? E se mi accusassero di essere neutralofobo?)...
... Insomma, avrete capito che secondo me questa corsa alla ridefinizione dei generi dei sostantivi è una stronzat... (alt, un attimo. Se uso una parola così volgare declinata al femminile possono accusarmi di misoginia).
Dicevo: secondo me questa corsa alla ridefinizione dei generi dei sostantivi è uno stronzato colossal... (cavolo, non ci ho pensato: l'aggettivo è privo di genere, associandolo a una parola volgare potrebbero accusarmi di.... di qualcosa che non so bene neanch'io cosa, però non si sa mai).
Dicevo: secondo me questa corsa alla ridefinizione dei generi dei sostantivi è uno stronzato colossalo.
Nella speranza di non aver offeso nessuno, concludo quest.... (questo post? questa post?)
Nella speranza di non aver offeso nessuno, concludo.
;-P

venerdì 22 gennaio 2016

Le mie stagioni letterarie e artistiche

Questo post nasce da un invito di Ivano Landi a partecipare a una sorta di me.me. artistico-letterario in cui i blogger devono inserire una citazione e un quadro per ognuna delle quattro stagioni secondo la propria inclinazione personale.
Partiamo dalla primavera, che è una stagione che amo (e chi non la ama?)
Io la vivo come la fine dell'odioso gelo invernale, lo sbocciare dei fiori sugli alberi, i giacconi messi finalmente via, la promessa dell'estate. Sul piano letterario il romanzo che maggiormente mi ha saputo trasmettere la serenità di questa stagione è Guanciale d'erba di Natsume Soseki, cronaca poetica di una villeggiatura primaverile dell'autore in un grazioso paesino giapponese che diventa una vacanza anche per il lettore:
La primavera induce alla sonnolenza. Il gatto si dimentica di prendere i topi, l’uomo scorda i suoi debiti. A volte perde persino la consapevolezza di sé, dimentica dove sia la sua anima. Apre gli occhi solo quando contempla da lontano dei fiori di rapa. Intuisce chiaramente dove sia la sua anima quando ode il canto di un’allodola. L’allodola non canta solo con l’ugola, ma con tutto il suo essere. Tra tutte le creature che esprimono con la voce l’attività del loro spirito non ve n’è nessuna più vitale di lei. Ah, che delizia! Quando concepiamo questi pensieri e assaporiamo queste gioie siamo già nell’atmosfera della poesia.
Un quadro che racconta l'incanto della primavera e che amerei avere in casa è - guarda un po' che originalità - Primavera umbra di Gerardo Dottori, pittore al quale ho dedicato un post.


L'estate è la stagione che preferisco. Anche quando l'afa incombe non ho mai l'impressione che sia troppo opprimente, il calore rianima il mio sangue freddo di rospo reincarnato. Le carezze del sole sono una benedizione. Nel romanzo Zorba il greco di Nikos Kazantzakis si vedono scorrere tutte le stagioni sull'isola di Creta, ma è l'estate quella più appropriata per le sue spiagge:
Quel mare azzurro dall'abbagliante immensità si stendeva sino alla sponda africana. Dalle lontane sabbie ardenti giungeva spesso fino a noi l'alito del caldo "livas", il vento del Sud. La mattina il mare emanava un profumo simile a quello dei meloni; il pomeriggio, sotto la tepida nebbiolina dorata, le sue morbide onde sembravano immaturi seni di bimba; la sera sospirava sommesso, assumendo a poco a poco il colore delle rose, della porpora, del vino, sino al blu più profondo.
Nel pomeriggio mi divertivo a riempirmi le mani di chiara sabbia sottilissima, per poi lasciarla filtrare, tepida e morbida, fra le dita. La mia mano era come la clessidra, attraverso la quale la nostra vita fugge e si perde. Mi sembrava di smarrire me stesso. Guardavo il mare, udivo la voce di Zorba e le tempia mi scoppiavano per la felicità.
La mia idea apparentemente monotematica dell'estate è legata al mare e ai soggiorni balneari (ma posso garantire che a luglio e agosto sono stato ovunque, anche in collina o nelle grandi città. La spiaggia però è il luogo ideale). Un'adeguata rappresentazione artistica che adoro per la sua eleganza è Au lido, una stampa del raffinatissimo George Barbier.


L'autunno ha la bellezza dei colori cangianti, le foglie che cadono poeticamente, ma vivendolo in città (peraltro una città di mare dove gli alberi sono quasi tutti sempreverdi) il lirismo è minore. E poi per me l'autunno annuncia l'inverno... Lo associo soprattutto al vento che soffia fastidioso, infatti come citazione letteraria ho scelto un'evocazione della bora triestina di cui parla Scipio Slataper ne Il mio Carso, memoriale altamente lirico che racconta meravigliosamente tutte le stagioni, compresa quella autunnale: 
Immobile. La bora aguzza di schegge mi frusta e mi strappa le orecchie. Ho i capelli come aghi di ginepro, e gli occhi sanguinosi e la bocca arida si spalancano in una risata. Bella è la bora.
È il tuo respiro, fratello gigante. Dilati rabbioso il tuo fiato nello spazio e i tronchi si squarciano dalla terra e il mare, gonfiato dalle profondità, si rovescia mostruoso contro il cielo.
Scricchia e turbina la città quando tu disfreni la tua rauca anima. Fratello, con la tua grande anima io voglio scendere laggiú.
Per motivi analoghi come quadro ho scelto Che freddo! di Giuseppe De Nittis.


Avrete già capito che l'inverno è la peggiore stagione per me. Soffro enormemente il freddo, sono costretto a coprirmi con strati di vestiario che mi rendono goffo, più di quanto già non sia normalmente; ho attacchi di sonnolenza, fastidi alle vertebre, mani e piedi perennemente gelati nonostante l'abbondante uso di lana... Quanto odio gennaio e febbraio! Una narrazione che esprime questa mia visione altamente negativa dell'inverno è Ethan Frome di Edith Wharton: 
Adesso, nell’aria tersa del mattino, la faccia di Mattie gli era ancora davanti. Faceva parte del rosso del sole e del puro luccichio della neve. Come era cambiata, la ragazza, da quando era venuta a Starkfield! Ricordava la creatura pallida ed esile che gli era parsa la prima volta, quando era andato a prenderla alla stazione. E come aveva tremato dal freddo per tutto il primo inverno, quando le tempeste notturne scuotevano le assi sottili del rivestimento esterno e la neve batteva come grandine contro le finestre malferme!
Aveva temuto che la ragazza potesse odiare quella vita dura, fatta di freddo e di solitudine…
Un quadro che esprime l'identico connubio fra gelo e desolazione è Il mare di ghiaccio di Caspar David Friedrich.


 Le scelte avrebbero potuto essere diverse ed esprimere i medesimi concetti. Ho cercato di fare del mio meglio e spero di aver onorato questo me.me. con un post all'altezza.

domenica 17 gennaio 2016

Un racconto di attualità sulle smanie di noi scribacchini

Mi è capitato di leggere in questi giorni un racconto di attualità che sviscera assai elegantemente le smanie di noi scribacchini.
Il protagonista della narrazione ha da poco pubblicato un romanzo che ha intitolato "Inesorabilmente" e da quel momento
non ebbe più pace nè di giorno nè di notte. Di giorno appostava il procaccia, ansioso di ricevere dal suo editore una lettera che gli annunciasse l'edizione esaurita; di notte non vedeva che donne ideali curve sulle nitide pagine dove egli aveva posto tanta parte di sè stesso
L'esordiente in questione è convinto di aver elaborato un'opera di grande spessore, un romanzo in cui
c'era tanto pensiero da interessare il filosofo, tanto movimento da tener desta l'attenzione dell'uomo di mondo, tanto amore tanto entusiasmo da cattivarsi ogni cuore femminile.
Non ricevendo alcun riscontro dal libraio-editore che glielo ha pubblicato, decide infine di recarsi da lui per saperne qualcosa in più. Il giovane autore è convinto che nella grande città vi sia una attivo fermento culturale e il suo libro abbia avuto maggiori possibilità di emergere. Si sente invece rispondere dal libraio-editore che
- Il suo romanzo? Non va niente affatto.
- Ni…en…te?
- Af-fat-to. Ne vuole la prova? Pietro - (chiamò il commesso) - quante copie hai venduto di «Inesorabilmente»?-
- Neppur una, - rispose il commesso senza pietà.
E si ha compassione per quelli che si rompono una gamba! Quaranta giorni di letto fra morbidi guanciali, accarezzati dai parenti, visitati dagli amici che recano fiori, dolciumi, giornali illustrati… Ah! veramente il cuore è fuori di posto.
E quando l'esordiente si meraviglia non comprendendo come sia possibile che gli intellettuali della borghesia e le giovani donne emancipate della nobiltà non abbiano voglia di leggere il suo romanzo, si sente rispondere che le loro spese librarie sono assai limitate poiché
- Che vuole, la vita è cara. I guanti devono essere freschi tutti i giorni al pari dei fiori, i nastri si gualciscono, le trine si stracciano, i cappelli si sformano prima che finisca la stagione. Un abito appena appena decente costa due o trecento lire, le mantelline duecento, trecento, cinquecento, ottocento a seconda dei ricami. Converrà che una signora vestita a questo modo non può portare scarpe scalcagnate e che se versa una goccia di profumo sul suo fazzoletto non può essere che una essenza da quindici lire la boccetta. Allora è naturale che per fare un po' di economia si permetta solo due e cinquanta al mese di intellettualità.
L'esordiente chiede allora conto dei colleghi scribacchini che, a suo avviso, dovrebbero interessarsi al suo libro:
- E gli scrittori? Essi sono una falange. Questi uomini intelligenti non comperano mantelli da cinquecento lire nè profumi rari. Si interessano ben essi all'opera letteraria dei confratelli.
Ma il libraio-editore la vede diversamente:
- Ah! caro signore, gli scrittori non leggono che sè stessi. È il magro compenso che loro resta.
Infine, nel più nero sconforto, l'esordiente si risolleva quando vede entrare un uomo che sfoglia il suo libro. Tuttavia il potenziale lettore rinuncia all'acquisto lamentandone il costo eccessivo. E allora l'esordiente gli si fionda addosso e
Lo afferrò per la manica del nero pastrano e con voce ancora più umile, ancora più scorata, gli pose nelle mani il suo romanzo sospirando lieve:
- Lo accetti, la prego, lo accetti in omaggio…Sono l'autore.
Come dicevo sopra è un racconto d'attualità della scrittrice Neera, praticamente una mia contemporanea visto che io vivo agli inizi del XX secolo. Forse la sua attualità si estenderà anche agli inizi del XXI secolo, chissà...

martedì 12 gennaio 2016

Distillati e antenati

Nelle ultime settimane sono stati ampiamente pubblicizzati (e hanno subito la loro bella dose di ironia, perplessità e critiche sul web dei bibliofili) i 'distillati', ovvero romanzi ridotti a "meno della metà" della loro lunghezza originale tramite accurata soppressione di passaggi ritenuti evidentemente inutili. I curatori di questa collana ci tengono infatti a sottolineare che "non è un riassunto" e la scrittura originale viene mantenuta sebbene sforbiciata qua e là.
Sono tentato di non emettere alcun giudizio riguardo questa idea, soprattutto (perdonate la malignità) visti quali sono i titoli sui quali, per ora, è stata applicata. In linea di massima credo che un libro vada letto nella sua interezza, ma alcuni tomi poderosi contemporanei penso siano stati allungati - allo stesso modo in cui si aggiunge acqua a un brodo ristretto - per far lievitare il numero delle pagine e giustificare il prezzo di copertina a vantaggio di quei lettori che concepiscono un romanzo come se dovesse essere valutato "un tanto al chilo". Della serie: mica posso pagare quindici euro per un volumetto con meno di cento pagine che terminerò in una giornata, se però le pagine sono trecentocinquanta, beh, allora la lettura dura di più, quindi...
Comunque il post è segnato col tag "varie letterarie" e infatti voglio parlare, come curiosità bibliofila, di operazioni analoghe a questa.
Perché in effetti la "distillazione" dei libri non è mica una novità. Chi appartiene alla mia generazione rammenterà i 'Reader's Digest - Selezione della narrativa mondiale' ovvero volumetti rilegati in pelle marrone con una gran quantità di titoli trascritti in oro sul bordo. Ogni volume conteneva "estratti" di vari romanzi che stavano avendo successo (principalmente negli Stati Uniti, poiché l'editore era americano e i suoi compendi venivano tradotti in varie parti del mondo, Italia compresa).


Sono ancora diffusi, a quanto mi risulta, i 'bignami' dell'editore omonimo coi Promessi sposi, libriccino che ne fa un riassunto a beneficio dei maturandi che non hanno voglia di leggerlo per intero. Di pubblicazioni che semplificano e sintetizzano romanzi celebri in effetti ne esistono diverse, e non solo in Italia. Talvolta sono destinate a studenti stranieri che stanno imparando la lingua madre dell'autore ma ancora non la padroneggiano, altre volte sono per studenti... sfaticati.
Ma le operazioni di taglio e cucito su testi originali si sono spinte anche oltre. Nel 1807, nella puritana Inghilterra descritta dai romanzi di Jane Austen, venne pubblicato un volume antologico intitolato The Family Shakespeare. La curatrice dell'opera, Henrietta Maria Bowdler, voleva che tutte le famiglie inglesi potessero leggere le opere del drammaturgo senza essere imbarazzate dal suo linguaggio talvolta troppo crudo (secondo la morale dell'epoca) e aveva edulcorato gli endecasillabi di commedie e tragedie eliminando le parole volgari e le frasi spinte. Secondo una stima divertita di alcuni critici della posterità, la Bowdler avrebbe rimosso circa il 10% del testo originale. Più che una "distillazione" la sua è stata una "rettificazione" (chi s'intende di grappa mi ha capito ;-)
E comunque non è stata l'unica, poiché numerose opere hanno subito analogo procedimento. Nel 1890, ad esempio, Henry Macaulay Fitzgibbon curò una raccolta di testi teatrali inglesi del XVI secolo il cui titolo è assai eloquente: Famous Elizabethan plays; expurgated and adapted for modern readers.
Non pensiate che questo genere di pudore sia esclusivo della società britannica vittoriana: nell'Italia del Rinascimento (ma successivamente al Concilio di Trento) un capolavoro come il Decameron era stato inserito dalla chiesa nell'indice dei libri proibiti a causa delle sue "oscenità", però proprio perché era un capolavoro ed era spiacevole non poterlo più leggere senza correre il rischio di offendere la cristianità, il granduca di Toscana Cosimo I aveva ideato un compromesso chiedendo al dotto sacerdote Vincenzo Borghini di emendare il testo, operazione che in effetti si spinse al taglio integrale di intere novelle troppo osé per i canoni della controriforma. (Per la cronaca: questa versione alleggerita venne rimossa dall'indice e pubblicata nel 1573, ma l'anno seguente venne ritenuta ancora eccessivamente spinta e il libro fu nuovamente proibito).
Vi vengono in mente altre operazioni di riduzioni, modifiche e tagli libreschi simili a quelle sopra citate?

giovedì 7 gennaio 2016

La polemica ricorrente

La sovraesposizione mediatica degli ultimi giorni ha fatto ripartire la polemica pro/contro Fabio Volo, a detta di alcuni scrittore forse non geniale ma capace di farsi leggere, a detta di altri re della banalità e romanziere adatto a lettori con scarse capacità intellettive.
Questo tipo di polemica è ricorrente nel nostro paese. Mi rammenta la guerra talebana di molti anni fa contro Susanna Tamaro (guerra ancora in atto da parte di chi non l'ha mai potuta sopportare) che ha ricevuto insulti spesso del tutto scollegati dalla sua attività di scrittrice. Se fosse ancora viva la mia cara zia penso che mi confermerebbe di aver sentito argomenti simili (magari con toni più lievi come si usava ai suoi bei tempi) contro Liala, probabilmente aggiungendo che la sua nonnina le aveva accennato di uguali chiacchiere nelle sale dei caffé (i social networks dell'epoca) a danno di Carolina Invernizio.
Una polemica che si estende a ogni forma espressiva: la desolazione di alcuni nel constatare il successo dei film di Checco Zalone è la medesima di chi si desolava, qualche decennio fa, per i sold out di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, e ancora prima per i cinema pieni a ogni proiezione di pellicole col principe Antonio De Curtis in arte Totò.
Non sfugge la musica: si compiangeva la povera Italia, patria della musica operistica eppure ridotta ad appassionarsi alle canzonette del Trio Lescano, allo stesso modo in cui oggi viene schifato e preso a bersaglio unico (altri, non molto diversi nello stile, godono di protezione mediatica-politica grazie alla loro militanza diretta) l'incolpevole Tiziano Ferro. O meglio: colpevolissimo. Lui come tutti gli altri. Colpevoli di avere un successo nazional-popolare, aggettivo coniato per definire chi piace alla massa ma non all'intellighenzia.
Conoscete sicuramente il classico modo di dire riferito a scrittori / registi / cantanti di difficile comprensione: non è per tutti. Eufemismo per dire che "è per pochi".
Ecco, rovesciando il modo di dire, il successo nazional-popolare è di colui che è per (quasi) tutti.
Ma qui sorge un problema a mio avviso. Ovvero: stabilire un esatto confine fra i quasi tutti poveri diavoli che apprezzano i guitti così penosamente nazional-popolari, e l'élite dei pochi che invece hanno la cultura e la sublime sensibilità per amare chi si eleva al di sopra della mediocrità.
Io, per dire, adoro i libri di Milan Kundera. Ma non sopporto Umberto Eco. Ho letto con simpatia Susanna Tamaro e Sophie Kinsella. Però comprò monografie sui pittori preraffaelliti e l'art nouveau.
Chi sono? Un idiota che si appassiona alla mediocrità nazional-popolare o un fine intellettuale?
E ne potrei citare tanti di casi analoghi di gente che conosco: ad esempio il fissato per certi manga giapponesi ritenuti di terza categoria dalla critica del settore che tuttavia sa citarti a memoria ogni romanzo di Eco; oppure il radical chic di sinistra che legge solo 'Le Monde Diplomatique' e il 'Washington Post', ascolta esclusivamente Guccini e De Gregori, però non si perde neppure un film di James Bond che sarà pure una cialtronata commerciale "però è troppo simpatico, dai".
Insomma, concludendo: senza rendercene conto, siamo tutti un po' nazional-popolari e un po' elitari a seconda dei casi. E non credo che sia un male: allo stesso modo in cui nell'alimentazione bisogna variare e non fa mai bene mangiare sempre e soltanto la stessa pietanza (non solo quando è grassa e ipercalorica ma persino quando è sana e nutriente), non c'è nulla di male nel variare i propri interessi culturali.
O no?

lunedì 4 gennaio 2016

Segnalazione - "Italian way of cooking"

Nei giorni scorsi la Acheron Books mi ha proposto di leggere e valutare uno dei loro ultimi titoli, "Italian way of cooking" di Marco Cardone.
Come già saprete nel mio blog talvolta inserisco segnalazioni letterarie, ma in genere scelgo sempre io di mia iniziativa chi segnalare dopo averne letto i relativi libri. Difficilmente do seguito a richieste dirette da parte di autori o editori, anche perché il sempre minor tempo che ho a disposizione per leggere preferisco sfruttarlo per romanzi già in wishlist, senza appesantirlo con letture "su domanda". Peraltro questo blog è indirizzato verso specifiche forme narrative e ne esclude completamente altre. Detto con onestà: alcuni generi proprio mi annoiano e non li leggerei neppure se a chiedermelo fosse un amico.
Neanche nel caso corrente posso definirmi un cultore del genere ("urban fantasy comico-grottesco" lo ha definito il reponsabile della Acheron, peraltro abbastanza noto, Samuel Marolla). Però la trama che mi ha prospettato mi intrigava. La riporto così come compare su amazon:
Nero è un cuoco eccezionale, ma la crisi economica non lo ha risparmiato e il suo ristorante, il Gallo Nero del Chianti, è sommerso dai debiti e prossimo al fallimento. In una notte stregata accade però un evento del tutto eccezionale che risolverà i suoi problemi... creandogliene altri ben più spaventosi! Una creatura mostruosa, antica come il mondo e affamata di esseri umani, si introduce in casa sua e minaccia i suoi bambini. Nero è costretto a ucciderla, e, attratto dall'odore delle sue carni, prova l'impulso irresistibile di cucinarle e scopre che sono squisite. Prova allora a servirle di nascosto ai clienti del ristorante, ottenendo un successo oltre qualsiasi aspettativa. Inizia così la rinascita dal Gallo Nero: tenendo celato il suo segreto, in una maliosa estate toscana il cuoco si dedica alla ricerca di altre creature mostruose per ucciderle, cucinarle e servirle agli ignari avventori. La fama del ristorante e delle sue prelibatezze cresce a dismisura, così come i problemi: in fondo si tratta di Mostri, e dar loro la caccia è un'attività estremamente pericolosa, soprattutto nel momento in cui le creature capiscono l'antifona e decidono di invertire i ruoli e far tornare la catena alimentare nel giusto ordine delle cose...! Benvenuti quindi al Gallo Nero del Chianti, grottesca sarabanda horror-culinaria fra piatti deliziosi dagli ingredienti che è meglio non rivelare, direttori di banca e serial killer, vigilesse feticiste dell'autovelox, vini pregiati e pietanze prelibate ma dagli arcani effetti collaterali, l'unico ristorante al mondo dove non si è sicuri di mangiare (cosa, poi?), o di essere mangiati...
Nonostante la trama volutamente grottesca, che a tratti sembra situarsi a metà strada tra una commedia sexy degli anni '80 e un horror movie da drive-in, la narrazione è sviluppata con grande professionalità, soprattutto l'ambientazione toscana che è un altro degli aspetti che mi intrigava. I personaggi non sono macchiette, vengono ben delineati, e l'autore sa intrattenere efficacemente il lettore.
In un periodo dominato dall'esasperazione mediatica dell'arte culinaria, questo romanzo è stato un piacevole diversivo.