domenica 22 gennaio 2017

Il dilemma dell'impegno

Il mio atteggiamento verso il cosiddetto impegno (intervento attivo nelle questioni sociali e civili del proprio paese) finora si è limitato alla partecipazione al voto. Il mio modo di raffrontarmici ha spesso coinciso con quello del contadino turco che diventa un maestro di vita per Candido, protagonista dell'omonimo romanzo filosofico di Voltaire:

[...] si sparse la nuova che erano stati strangolati a Costantinopoli due visir del soglio ed il muftì, e che erano stati impalati diversi loro amici. Questa catastrofe fece per tutto un grande strepito di poche ore. Pangloss, Candido e Martino, ritornando alla villetta s’incontrarono in un buon vecchio, che prendeva il fresco sulla sua porta sotto un pergolato d’aranci; Pangloss che era altrettanto curioso quanto ragionatore, gli domandò come si chiamava il muftì che era stato strangolato.
 - Io non so niente -, rispose il buon uomo, - e non ho mai saputo il nome di alcun muftì, nè di alcun visir, anzi ignoro il caso di cui mi parlate; sono del parere, bensì, che generalmente coloro che si mescolano negli affari pubblici qualche volta miseramente periscono, e non senza loro colpa; ma non m’informo mai ai ciò che si fa a Costantinopoli. Mi contento di mandare a vendervi le frutta del giardino che io coltivo - [...]
- Voi dovete avere - disse Candido al turco - una vasta e magnifica terra -. 
- Io non ho che venti staie - rispose il turco; - Le coltivo coi miei figli, ed il lavoro allontana da noi tre mali: la noia, il vizio e il bisogno -.

Questa filosofia di vita, poi accolta e applicata in pieno da Candido e i suoi compagni di viaggio, sembra in gran parte coincidere con l'indifferenza condannata da Antonio Gramsci in uno degli scritti che componevano il numero unico della rivista "La Città Futura":

L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. 
[...] Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. 
[...] Dei fatti maturano nell'ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. 
[...] Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell'ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto [...] del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. 
E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. [...] pochi si domandano: se avessi anch'io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? 
[...] Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto.

In questo vero e proprio atto d'accusa contro l'inerzia si riassume il dilemma di cui parlavo nel titolo: qual è il giusto modo di partecipare alla vita civile del proprio paese e, per estensione, del proprio mondo? Quando non ci si sente in sintonia con nessuno - ma veramente nessuno - dei modelli proposti, quando si è avulsi dal mondo che si muove intorno, quando si appartiene a una minoranza così minoritaria da coincidere quasi esclusivamente con la propria persona, quando ci si adegua all'idea che la maggioranza abbia il democratico diritto di imporre la propria legge nella quale però non ci si riesce a riconoscere; ebbene, la filosofia del contadino voltairiano è davvero indifferenza passiva o piuttosto una scelta attiva?

25 commenti:

  1. Mi hai fatto tornare in mente una vecchia poesia di Paul Eluard che ho imparato a memoria ai tempi del liceo e che ricordo ancora oggi:

    D'accordo il regno dei borghesi io lo odio
    Il regno dei questurini e dei preti
    Ma odio anche di più
    Chi come me non li odia
    Con tutte le sue forze.

    E sputo in faccia a quell’uomo
    Più piccolo del vero
    Che a tutte le mie poesie
    Non preferisce
    Questa mia critica alla poesia.

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    1. Quindi direi proprio che tu la pensi come Gramsci ;-)

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    2. Ai tempi del liceo senza dubbio. Oggi tendo molto di più al contemplativo ;D

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  2. Domanda difficile Ariano... nell'eterno dualismo dell'essere umano, sono vere entrambe le cose. Dipende dall'ottica con cui le si guarda.
    Forse, una scelta attiva che però è molto egoistica. Penso per me e per gli altri ci penserà Dio...
    mah!

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    1. Sì, un po' di egoismo c'è di sicuro.
      D'altra parte, combattere attivamente per la causa in cui si crede significa anche - in caso di vittoria - imporla a coloro che la osteggiavano risolutamente...

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  3. La differenza sta nell'occasione: il buon contadino che si preoccupa del "suo" potrà godere di pace e affetti finché un sopruso non turberà l'idillio, che lui vive come tale. Poi, quando accadrà e prima o poi accadrà, si lagnerà come tutti gli indifferenti. In ciò sta la differenza tra essere attivi e partecipativi o meno, ma è una scelta personale, che in verità non riguarda mai il singolo ma la stessa collettività.

    Io sono abbastanza partecipativa anche se molto disillusa, ovvero credo che sia abbastanza inutile ma persisto :D

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    1. I soprusi possono arrivare anche quando ha "vinto" il partito che appoggiavi tu.

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    2. Beh io parlavo più che altro di diritti, non di partiti che ovviamente non rappresentano alcuna garanzia.

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  4. Devo dire che in gioventù mi davo molto da fare , ero impegnato, partecipavo alle manifestazioni, come se bastasse a salvare il mondo, poi, come a molti, è subentrato il "rigurgito", lo schifo. Ora, invecchiando, mi rendo conto che l'unico vero modo per essere partecipativo è cercare di andare controcorrente. In che modo? Nulla di strano, in mezzo al marasma di pressapochismo cercare di essere corretti nel proprio ambito lavorativo, cercare di essere delle persone per bene, cercare di curare la "cosa" pubblica come se fosse la nostra (cosa che in realtà è), cercare di... cercare di... Insomma partire da se stessi come un individuo che si muove nel contesto di una società. Rispetto e condivisione. Pensate che sia facile quando 7 persone su dieci intorno a te pensano solo all'animaccia propria e se casca il mondo si spostano un po' più in là?

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    1. Dare l'esempio è una cosa importante. Su questo punto condivido in pieno.

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  5. Caro Ariano, da anni ormai mi faccio i beati fatti miei. Atteggiamento spesso non condiviso, ma del quale sono fermamente convinta: il voto? Quale, quello che non ha più alcun valore se non illudere che possa portare a un cambiamento? E poi, chi dovrebbe effettuarlo questo cambiamento, i nostri bravi politici che non finiscono più di autoeleggersi? Seee.
    Non sono indifferente a ciò che accade, anzi. Non è indifferenza passiva, è una scelta attiva: la mia è una scelta cosciente. Anche il silenzio è battaglia.

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  6. Domanda complessa a cui è difficile dare una risposta. Io, devo ammetterlo, mi sono un briciolo arreso, tanto che ormai provo fastidio nel leggere le false indignazioni che ogni giorno compaiono sui social da parte di gente che neppure sa coniugare una frase in modo corretto. Del resto, il potere è nella parola, se non ci si sà esprimere come si possono spiegare le proprie idee? E mi terrorizzano le notizie di questi giorni in cui la scuola viene sempre più appiattita, abbassando le medie necessarie per accedere agli esami, calando i fondi per la ricerca, tagliando il numero di insegnanti, non facendo corsi di aggiornamento, aumentando il numero di alunni per classe, riducendo le ore di studio, eliminando i compiti a casa, eccetera eccetera.
    Quando ero single, che di tempo libero ne avevo a iosa, ero solito andare in centro, il sabato pomeriggio. In piazza c'era un angolo in cui si facevano dibattiti. Tutti attorno a un piccolo sgabello. Chi voleva dire qualcosa doveva salire in piedi sullo sgabello e parlare. Poi il dibattito iniziava. Mi piaceva l'iniziativa, e per quanto piccola, la trovavo costruttiva, perché permetteva il confronto pacifico, e l'uso della parola per esprimere le proprie idee. E non deve essere per forza una lotta politica. La parola 'lotta' mi da pure fastidio, perché la lotta prevede un vincitore e un vinto, e alla fine, nella lotta, mai nessuno vince veramente. Il dibattito, il dialogo, il confronto sono invece cose costruttive, che possono portare a una scelta comune e a un cammino comune. Ma queste cose non si fanno quasi più, la gente non ha tempo (io stesso non riesco più a partecipare a questo tipo di attività, per lo meno, per ora) né voglia (ahimé), perché preferisce discutere al bar con il calice di vino, o fregarsene completamente, o lamentarsi su facebook per cinque secondi, per poi passare ad altro senza troppi rimorsi.
    Non è un caso che il populismo stia tornando, e non è un caso che certi movimenti parlino di democrazia pur senza applicarla se non come alibi additando a errori degli 'avversari', dimentichi di essere nati nelle piazze, tra gente comune che voleva fare la differenza. Solo che una volta entrati nel giro grosso, hanno perso l'innocenza, e forse la capacità di creare dibattito, e hanno preferito seguire le idee del loro 'portavoce' che poi è diventato un leader... Non so.
    Io continuo a credere che l'unico modo per cambiare qualcosa, per creare qualcosa, per costruire qualcosa, sia quello di partire dalle piazze. Ma ormai, anche nelle piazze, stanno tutti col telefonino in mano e nessuno si guarda più negl'occhi. Se non c'è contatto, nell'irrealtà, si perde l'umanità, si diventa più freddi, calcolatori, e forse si pensa più a sé stessi, perché è sempre più difficile capire che di là dallo schermo ci sono persone, e non emoticons e avatar.
    Bah!

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    1. Ti ringrazio per il commento molto articolato che esprime perfettamente il tuo punto di vista e fa anche un'analisi dell'Italia di oggi.
      In effetti l'attivismo sta un po' sparendo, però io penso che si manifesti ancora, sia pure in forme diverse rispetto al passato. Credo che il successo politico del M5S sia dovuto proprio al desiderio di molta gente di partecipare più attivamente alle questioni politiche e amministrative, la sua struttura sul web permette di partecipare (quanto meno avere l'illusione di partecipare) a tutti gli insoddisfatti col desiderio di essere più attivi sul fronte del politico-sociale.

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    2. In effetti ho citato il M%S senza dirne il nome. Io ho seguito questo 'partito' sin dalla sua nascita come lista civica in epoca 'pre-grillo' per intenderci, e l'ho pure votato quando si presentarono a Bologna (la Salsi, oggi fuoriuscita). Ma come ben affermi, l'idea partecipativa del M5S di oggi è solo illusoria. Le votazioni online sono ristrette a una cerchia di fedelissimi - davvero pochi - e le idee, le linee guida, le scelte, vengono tutte fatte a priori da Grillo-Casaleggio, e poi messe al voto. Non c'è vera partecipazione, e anzi, chi propone qualcosa di diverso, viene escluso in modo più o meno eclatante a seconda dei casi.
      E' un peccato, perché M5S nacque in modo molto differente.

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    3. Anch'io ho letto il tuo commento, Glauco.
      Credo che la rivoluzione delle idee non abbia modo di nascere nelle piazze, il M5S ne è una prova, come avete poi scritto.
      La rivoluzione nasce dalla base, dalla famiglia in cui ci si forma, in cui si è educati al vivere. La società oggi è ai limiti perché sono venuti meno valori un tempo molto saldi, che erano unici garanti di un certo vivere. Non mi riferisco alla famiglia patriarcale, certo. Mi riferisco alla famiglia in cui c'è semplicemente dialogo aperto e costruttivo, desiderio di educare alla bellezza, al rispetto altrui, ai valori. Dopotutto la politica un tempo, quella dei Berlinguer per intenderci, era una politica almeno più autentica.

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  7. Non posso darti pareri in questa situazione perchè ormai io non vedo alcuna scelta giusta.

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  8. E' una domanda che mi pongo spesso anch'io, e molto spesso mi sento anche in colpa perché mi sembra di non fare abbastanza. Tuttavia sono convinta che il vero impegno parta dalla vita quotidiana e dal non fare sempre le scelte che fanno comodo (a noi), quindi partendo dal piccolo. Di recente si è assistito a quello che viene chiamato il fenomeno dell'"intellettuale da divano", cioè quello che pontifica sui social giudicando gli altri perché non fanno abbastanza. Io non esprimo alcun parere sulla vita altrui e un atteggiamento del genere mi urta i nervi.

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    1. L'intellettuale da divano riesce a dare sui nervi anche a me.

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  9. È un bel dilemma quello che poni. Quando ero molto più giovane e sognatrice ero quasi sempre la paladina delle cause perse, partivo lancia in resta contro tutte le ingiustizie, piccole e grandi, prendendo tante sbadilate in faccia. Spesso ho assistito a voltafaccia di persone su cui avrei messo la mano sul fuoco, alcuni una volta al potere si sono comportati peggio degli altri, mentre io mi facevo ammazzare per mantenere la coerenza. Oggi non mi espongo troppo e se posso resto neutrale, l'unica cosa su cui non transigo e per cui combatto è la mia coerenza e la mia coscienza.

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    1. Sì, quello anch'io. Evito se possibile litigi e dispute, ma se penso una cosa la dico anche se è in contrasto con l'opinione dominante.

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  10. Davvero molto interessante questo post, e mi piace anche la domanda che poni, dopo il confronto fra le due vedute.
    Io su questo argomento mi sento divisa, attratta da quel "quieto vivere" del contadino, ma anche agitata dalle condivisibili idee di Gramsci. Neppure io mi sento totalmente dalla parte di qualcuno, ma è perché tutti nel mondo della politica agiscono in modo incoerente. Mi capitò anni fa di imbattermi in un dentista che mi raccontò che c'è gente, probabilmente quelli che chiamiamo "portaborse", continuamente a servizio dei politici e politicanti al punto che scrivono ogni loro singola parola, guidano i loro passi, fanno da lacchè e allo stesso tempo da consiglieri. Anche solo su questa figura, cosa ci sentiremmo di dire? Che schifo.
    A me fu proposto di entrare nella politica del comune in cui risiedo molti anni fa, rifiutai perché avevo subodorato molte cattive manovre in enti presso i quali svolgevo del volontariato. Ed era la sinistra.
    E' un mondo strano, controverso, corrotto e discutibile sotto molti punti di vista. Io cerco di conservare il mio orientamento ma senza beatificare nessuno. Non credo di potermi definire indifferente, perché anche dalla cattedra cerco sempre di indurre alla riflessione. Ma non sono neppure attivamente dentro questa cosa.

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    1. Infatti il punto è proprio questo. Io prediligo lo "star fuori" perché il "dentro" assomiglia sempre più a un'organizzazione di potere fine a se stessa.

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  11. Io temo che il riconoscersi in toto nei modelli proposti sia una cosa del passato. Personalmente il coinvolgimento come cittadino l'ho sperimentato nell'associazionismo studentesco, poi con il lavoro e tutto il resto, l'ho un po' messo da parte. Anche con il blog mi è capitato di essere attivo, in particolar modo aderendo a un paio di campagne a difesa delle libertà digitali. Può sembrare poco, ma penso che sia importante non tanto che uno si sforzi di entrare in una trincea già scavata e levigata da qualcun altro, quanto l'impegnarsi dove e come si sente di farlo, perché è ciò in cui darà il meglio. Per capire dove intervenire ci vuole un po' di fortuna, a meno di non essere sempre e bene informato su tutto, ma le opportunità ci sono sempre. E perché no, qualcuno troverà il suo posto all'interno di qualche grande organizzazione o partito, ne conosco alcuni, e magari porterà il suo contributo... in ogni caso, è un contributo che nel 99% dei casi si andrà a perdere, per forza di cose, perché non sei solo ma in un gruppo composto da gruppi composti da persone come te. Ma anche questo è anche comprensibile, dove l'impegno è di tanti. Tutto questo non per smentire Gramsci, perché l'indifferenza è potente, soprattutto tra i giovani, e i risultati possono essere per esempio la disconnessione tra l'elettorato e i suoi rappresentanti, tanto che abbiamo già avuto casi molto eclatanti di voto popolare che 1) non rappresenta il "sentire" della comunità e 2) è mosso più da un generico risentimento che da considerazioni sul proprio interesse o sul bene comune. Ma questo è un problema con cui avremo a che fare prossimamente, ti chiedo scusa se mi sono dilungato ma sono fresco anch'io di letture sul tema e ho trovato qua e là qualche appiglio personale. Spero che il mio contributo si capisca!

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