lunedì 23 aprile 2018

La letteratura è solo un'illusione?

Raccontare una storia per trasportare il lettore nel vortice dell'avventura significa offrirgli la possibilità di fantasticare qualcosa di completamente diverso rispetto alla sua vita quotidiana. Il lettore può camminare nella nebbiosa Londra vittoriana e assistere alle indagini di Sherlock Holmes, oppure ascoltare il clangore metallico di corazze sulle quali si schianta la spada dell'invincibile cimmero Conan. Non a caso è stato coniata l'espressione letteratura di evasione per indicare quelle letture concepite appositamente per fuggire dalla realtà.
Anche la lettura dei cosiddetti romanzi rosa serve a far sognare storie d'amore complesse e passioni intense che magari nella vita reale si sono verificate una sola volta e in modalità più semplici.
Però, anche lasciando da parte i libri prettamente di genere e alzando l'asticella a un livello più elevato - la grande letteratura dei classici - in genere quel che viene narrato è attinente alla vita quotidiana, alle situazioni e alle esperienze che tutti noi viviamo. La lettura di un classico è coinvolgente in quanto descrive le emozioni che tutti provano normalmente nella vita rendendole più sublimi di quanto esse non sembrino quando sono vissute materialmente.
Da questo punto di vista c'è stato persino - e c'è tuttora - chi stigmatizza la letteratura (ma anche il teatro, il cinema, le fiction televisive) in quanto illuderebbe il lettore e lo trasporterebbe in uno stato di esaltazione mentale che poi gli fa sembrare terribilmente grigia e monotona la realtà della sua vita non appena chiude le pagine del libro.
É solo l'esagerazione di qualche vecchio barbogio o c'è del vero in questo timore?

37 commenti:

  1. Sinceramente a me la cosidetta "letteratura d'evasione" mi ha aiutato tanto in determinati momenti pesanti della mia vita, quindi io questo pericolo non ce lo vedo. Inoltre la persona intelligente e razionale sa distinguere tra vita vera e immaginazione e sa mettere al loro posto entrambe le cose.
    Il discorso cambia se qualcuno ha già problemi di suo ....

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    1. Infatti, il problema di chi soffre della sindrome (ugualmente letteraria, peraltro) "di Don Chisciotte"...

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  2. Per me è gelosia, soltanto gelosia perchè quelle belle pagine sono state scritte da altri e non dal "critico" in questione. Critico inteso come chi critica e non chi recensisce.
    A parte i romanzi rosa che non sono il mio genere, gli altri di cui parli li adoro. Non solo fanno sognare, vivere vite ed esperienze che in realtà non viviamo ma anche, soprattutto nel caso di un classico, ci danno la possibilità di notare sfumature che ci siamo persi per strada.
    Poi, naturalmente, come dice Nick, bisogna saper discernere tra realtà e fantasia :)

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    1. Quindi saper dare il giusto peso al libro considerandolo come se fosse un breve sogno notturno e non come un'alternativa alla vita quotidiana.

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    2. Un sogno che fa bene perchè comunque ci dà molto e ci insegna

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  3. Io credo che la letteratura parli di realtà, anche se in forma romanzata. Mi vengono in mente i grandi classici come I promessi sposi (con tutta la sua realtà storica del seicento italiano) oppure Furore di John Steinbeck sulla realtà americana negli anni della grande depressione. Anche i cosiddetti romanzi di evasione e i romance raccontano la realtà. È un modo per trattare un tema in forma indiretta. Poi c'è la vita vera che ha dei tempi più lunghi o forse più monotoni, tempi che in un romanzo non vengono raccontati perché non avrebbero senso, ma ci sono lo stesso e si percepiscono e il lettore lo apprezza comunque perché sa che si parla di pezzi di vita comuni a molti e anche a se stesso.

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    1. Quindi uno specchio sincero e non deformato della realtà...

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  4. E' un punto di vista interessante, ma può anche essere letto al contrario: è il raccontare storie che rende maggiormente gradevole l'esistenza umana. Anche perché questa cosa nasconde dietro un significato antropologico difficilmente liquidabile in una riflessione semplicistica di questo tipo.

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    1. Perché no? La trasmissione dell'esperienza, come avveniva oralmente millenni fa attorno ai fuochi in cui si riunivano i primi gruppi tribali.

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    2. Non ho capito se con quel "perché no" mi stai dando ragione o mi stai contraddicendo! :)

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    3. "Perché no?" nel senso di: "Probabilmente è proprio come dici tu".

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    4. Ok! Non Ero sicuro Di averlo interpretato correttamente. Grazie! :)

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  5. Monotona la realtà della vita? Io da piccola devo aver espresso il desiderio incauto "voglio una vita non noiosa" quando passava di lì una fata madrina. Quando scrivo e mi ispiro alla realtà devo sempre togliere, perché non sembri troppo finto e romanzesco. E con questo ho detto tutto.

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    1. C'è chi potrebbe invidiarti per questo, ne sei consapevole? ;-)

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  6. Io non vedo molte differenze tra letteratura d'evasione e alta, almeno per quanto riguarda la trama. Se si prende la sola trama de I Promessi Sposi, è tale e quale a un romanzo d'avventure. Secondo me è più che altro lo stile a fare la differenza, l'introspezione, la descrizione ambientale.
    Una polemica simile a quella del "critico barbogio" è relativa al romanzo storico, che per i puristi è un assurdo letterario. Ci sono personaggi realmente esistiti e personaggi inventati, ma più veri del vero. Eppure quanto sono belli e utili i romanzi storici favolosamente scritti!

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    1. Il romanzo storico ovviamente deve essere "romanzo" prima ancora che "storico", altrimenti non sarebbe molto diverso da un testo scolastico.

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  7. Come ha detto bene Marco, il discorso è complesso e ha molte sfaccettature. Henry Miller, che ha dedicato all'argomento molte pagine illuminanti... potrei fare un intero post al riguardo di sole sue citazioni... ha detto una volta che l'unica storia vera che ha raccontato nella sua carriera di scrittore è l'unica sua totalmente di fantasia: "Il sorriso ai piedi della scala", una fiaba su un clown che nel progetto iniziale avrebbe dovuto essere una collaborazione con il pittore Fernand Léger, ma poi è rimasta senza immagini.
    Proust si chiedeva a sua volta per quale motivo non dovremmo considerare i nostri sogni altrettanto reali di qualsiasi altro evento del nostro passato, visto che a volte sono più intensi e coinvolgono più di uno dei nostri sensi. Il che può accadere anche scrivendo o leggendo/ascoltando una storia, così che gli eventi immaginati diventano altrettanto reali di quelli vissuti. E' del resto abbastanza comune che di certi eventi ricordati della nostra infanzia non si sia in grado di stabilire con certezza se li abbiamo davvero vissuti o solo sognati.

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    1. Quindi l'intensità dell'emozione diventa in un certo senso primaria rispetto al fatto che si tratti di vita "realmente vissuta" o piuttosto "realmente sognata", per così dire.

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    2. Scritto (in modalità acida "on") da Henry Miller:
      "Ora leggiamo, secondo me, primariamente per quattro ragioni: una, per uscire da noi stessi; due, per armarci contro reali o immaginari pericoli; tre, per tenerci alla pari col nostro prossimo, o per fargli impressione, il che è la stessa cosa; cinque, per divertirci, il che significa essere stimolati a una maggiore e più alta attività e a una vita più ricca. Se uno stesse bene con se stesso, e se tutto nel mondo andasse per il meglio, soltanto l’ultima ragione, quella che attualmente ha la minore importanza sarebbe valida. E anche l’ultima avrebbe poca o nessuna presa su di noi."

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    3. Citazione perfetta per il quesito che ho proposto.

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    4. Quasi prefetta... nell'impeto ho scritto "cinque" al posto di "quattro" ;-D

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  8. La letteratura non è soltanto illusione. In ogni sua forma è verità. Ancora di più laddove è menzogna. Amo i paradossi.
    Una volta, non so dove, scrissi che la letteratura è estetica, nell'accezione etimologica del termine. L'estetica è verità ma credo che Verità sia disgiunta dal banale concetto di menzogna o sincerità, queste due cose sono interpretazioni, valutazioni, concezioni, manifestazioni, non hanno nulla a che vedere con la Verità. La verità è quindi estetica e non parlo di mi piace o non mi piace, è ciò che immutabile e ineluttabile caratterizza l'essenza stessa delle cose. Dell'essere umano. Quindi credo che sia impossibile riprodurre la verità, descriverla se non negli aspetti più percettibili e facili da tradurre in sensazioni. Di volta in volta la chiamiamo Dio, perfezione delle forme, poesia, letteratura. La verità è prismatica, l'occhio umano, inteso come mente o cuore, è impreparato a coglierne l'essenza se prima non è capace di annullarsi in essa. Arroganti cerchiamo di emulare i giganti. Dobbiamo farci mosca, ambire a una visione destrutturata, cogliere gli innumerevoli sottospazi, le angolazioni. Purtroppo l'uomo si è relegato nel ruolo di portatore di alcune verità, esse distraggono e sono riduttive. Percepiamo l'armonia ma ci sfuggono gli accennati lab o bemolle che dir si vogliono, vediamo i colori primari e le mescolanze ma ci sfuggono gli infrarossi.
    Concludo la tiritera per affermare che la letteratura, ogni tipo di letteratura, non è altro che la massima espressione di ciò che ci rende esseri vicini a Dio, qualunque Dio. Leggere è come pregare, ma a livello più profondo. Mistico. La realtà, il sogno, tutto si confonde, si sovrappone. L'inverosimile diventa reale. Perché ciò che immaginiamo, sogniamo, alla fine prende vita. In qualche modo partecipa alla costruzione di ciò che siamo o potremmo essere. La letteratura, anche la più immaginifica, soprattutto quella, è quanto di più vicino alla verità possiamo incontrare, perché racconta di pulsioni e di processi inconsci a cui non prestiamo mai abbastanza attenzione.
    Belin, ti ho "cromato" per bene le palle eh? Era meglio continuare con la latitanza 😉😉😉

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    1. Scherzi? É sempre un piacere leggere i tuoi commenti così pieni di entusiasmo e di spunti di discussione e riflessione.
      Forse è vero che la "verità" in senso stretto non esiste, comunque la letteratura è di sicuro qualcosa che non esprime in senso certo e assoluto, ma solo soggettivo.

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  9. Terzani scrive ne "La fine è il mio inzio": L'arte, quella vera, quella che viene dall'anima, è così importante nella nostra vita. L'arte ci consola, ci solleva, l'arte ci orienta. L'arte ci cura. Noi non siamo solo quello che mangiamo e l'aria che respiriamo. Siamo anche le storie che abbiamo sentito, le favole con cui ci hanno addormentato da bambini, i libri che abbiamo letto, la musica che abbiamo ascoltato e le emozioni che un quadro, una statua, una poesia ci hanno dato.
    Anch'io ne sono convinta, i libri per me sono una cura imprescindibile

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    1. Di fronte a parole così suggestive, sono convinto anch'io :-)

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  10. Considero la lettura (ma anche il teatro, il cinema ecc.) come facente parte della vita, non come qualcosa che la renda grigia e deprimente, ma come arricchimento.

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    1. Capisco quel che intendi. In effetti, se non si cade nella "sindrome di Don Chisciotte", è sicuramente così.

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    2. In letteratura esistono due testi fondamentali che parlano di illusione (in realtà ce ne sono moltissimi, ma limitiamoci a questi due archetipi): Don Chisciotte e la Caverna di Platone. Nel primo Don Chisciotte ( e da qui la sindrome e i suoi epigoni) sfugge a una realtà che conosce, che non lo soddisfa e lo annoia, rifugiandosi in un mondo fantastico, perciò illusorio, del quale è l’eroe. Nel secondo la realtà combacia con l’illusione, le ombre percepite dai prigionieri “sono” il mondo reale, perché essi ignorano qualsiasi altro mondo possibile. Quando noi leggiamo un libro, andiamo a teatro, guardiamo un film, facciamo un atto di sospensione dell’incredulità, processo volontario e in piena coscienza, cosa che è negata al cavaliere della Mancia e ai prigionieri della caverna, all’uno per folle consapevolezza, agli altri per gretta ignoranza. Senza quest’atto, ripeto, volontario e cosciente, non saremmo in grado di emozionarci, commuoverci e divertirci per le gesta di Amleto, Paperino o Batman, parti della fantasia, certo, ma la cui influenza sulle cose del mondo è sicuramente maggiore rispetto a quella della maggior parte di noi reali e comuni mortali. La capacità di riconoscere la “cornice”, cioè di inquadrare nel giusto contesto la realtà e la fantasia è una dote che si coltiva frequentando questi due mondi e la lettura è uno degli strumenti migliori che abbiamo, non a caso, purtroppo, poco utilizzato da chi ha difficoltà a distinguerli. Sono andato a braccio e con taglio grossolano ma spero di essere stato chiaro nel mio filosofeggiare spicciolo.

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    3. Sei stato chiarissimo e convincente ;-)

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  11. Credo che tutte le forme d’arte nascano da una visione della realtà che, per quanto possa esserne attinente, risponde a delle tensioni interiori per cui vi sono proiettate tutte le nostre sensazioni ed emozioni. È un’illusione, ma è anche una giusta speranza, secondo me, nel vedere e sentire le cose diversamente. Sogniamo e sogneremo sempre e con le opere di fantasia esprimiamo continuamente questa caratteristica!

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  12. Non credo. O meglio: posso sentirmi esaltata e poi tornare con difficoltà alla mia vita di tutti i giorni se una storia particolarmente coinvolgente risulta poi travolgente. Può trattarsi di un intreccio che dà forma ai desideri più profondi che possediamo. Ma quante storie, in letteratura, in teatro o al cinema, hanno poi realmente questo potenziale? Ben poche.

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    1. Vero, però il livello di trasporto per un certo libro è anche soggettivo. Quel che magari esalta me, lascia indifferente te o viceversa.

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  13. Penso che lo stile escapista possa appartenere anche alla più alta letteratura. Andando a braccio mi vengono in mente Shakespeare, ma anche Borges, Pessoa, Murakami, Calvino, Marquez, Amado, Llosa, e mi fermo per evitare l’effetto lista della spesa. Esistono poi narrazioni storiche che riescono a trasportare il lettore in mondi arcaici sia per indagare questi ultimi dal punto di vista storico, che per lasciare lo spazio della fantasticheria. Per esempio mi vengono in mente tanti bei romanzi della Bellonci, che non si può certo liquidare come una quacquaraquà. Ma anche lo stesso Sciascia (l’ultimo vocabolo me lo ha immancabilmente riportato alla memoria), se vogliamo, riesce ad essere escapista.
    Inoltre, l’effetto che una narrazione escapista sortirà sul lettore dipende dallo stato d’animo in cui lo stesso si trova nel momento in cui fruisce dell’opera. Per esempio, molti anni fa, in un periodo decisamente grigio della mia esistenza, andai a vedere un film demenziale, di cui non rammento più nemmeno il titolo, e contrariamente al resto degli spettatori presenti nella sala, che ridevano allegramente a squarciagola, mi ritrovai a percepire le stesse sequenze come qualcosa di terribilmente violento e agghiacciante. Rividi il film in tv tempo dopo e mi dissi che ciò che avevo visto in precedenza era tutta un’altra cosa. Certo, l’esempio è estremo, ma rende abbastanza l’idea.
    Quindi non mi trovo d’accordo sulla questione posta, ma rispetto ogni punto di vista. :)

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    1. La questione è stata posta in senso ampio proprio per suscitare un dibattito, quindi non ci sono tesi da confutare ma solo punti di vista da proporre, e tu il tuo lo hai esposto benissimo.
      Indubbiamente la ricezione soggettiva del testo letterario (con le relative conseguenze sulla psiche del lettore) è un fattore primario. Non siamo tutti uguali, decisamente. Ognuno di noi percepisce in modo individuale.

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  14. Spesso a me capita di essere contagiata dal sentimento buio quando leggo la storia triste...

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    1. Credo che sia una reazione inevitabile, così come sentirsi sollevati dopo una storia "a lieto fine".

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