domenica 29 gennaio 2012

Gennady Spirin

Torno a dare spazio a un illustratore.

Il russo Gennady Spirin, contemporaneo, ha uno stile decisamente classico che mi conquista per la precisione formale e la tecnica sopraffina.
Con i suoi disegni ha abbellito libri di fiabe famose, rendendoli dei piccoli gioielli.

Il modo in cui riesce a calibrare la luminosità delle sue tavole e le scelte cromatiche sempre equilibrate rendono le immagini estremamente suggestive, forse non sempre originali ma sicuramente gradevoli.
Vi consiglio di cliccare sulle tavole proposte per vederle in dimensioni maggiori e coglierne i dettagli.


Se volete approfondire la conoscenza di questo artista, potete dare un'occhiata al suo sito web.

giovedì 26 gennaio 2012

Nuova tendenza sospetta

Mi sono perso qualcosa?
L'autopubblicazione, ovvero l'opzione degli scrittori mediocri, all'improvviso sembra fare tendenza.
La Fazi sta lanciando in Italia Amanda Hocking sottolineando - tramite le già ben avviate operazioni promozionali - che "nessuno credeva in lei", "si autopubblicava su amazon dopo essere stata rifiutata da molti editori" e così via.
Un'altra casa editrice del gruppo Mauri Spagnol invece lancia il romanzo di tale Eloy Moreno enfatizzando che ha preferito "evitare la trafila dell’invio del manoscritto alle case editrici" e lo ha venduto porta a porta prima di avere successo.
Insomma: lo sfigato che evita di mettersi in gioco, l'aspirante scrittore risibile, lo scribacchino patetico che puntualmente viene preso per i fondelli dai brillanti editors nostrani fastidiosamente costretti a cestinare tonnellate di cartaccia illeggibile, all'improvviso diventa un mito. Nessuno credeva in Amanda Hocking, ma lei ha avuto successo autopubblicandosi; Eloy Moreno diffidava degli editori, e infatti ha convinto i lettori da solo. Questi sono i messaggi che sto leggendo. E sono scritti da due editori...
Sono visionario se dico che in tutto ciò traspare una dose notevole di ipocrisia, opportunismo e incoerenza?

martedì 24 gennaio 2012

Rarità - 3

Lo scrittore Roberto Arlt (1900-1942) è stato uno degli autori più influenti nell'Argentina moderna. Il suo romanzo più famoso, El juguete rabioso, è stato tradotto in diverse lingue compreso l’italiano. Ma Arlt ha scritto altre opere, ed era inoltre giornalista, e molti suoi articoli di fondo sono ancora oggi ripubblicati in raccolte antologiche. In effetti la loro vividezza nel saper descrivere la vita quotidiana a Buenos Aires negli anni ‘30 é letteraria più che giornalistica.
Questo articolo che propongo di seguito, pubblicato sul quotidiano El Mundo il 21 marzo del 1929, esprime benissimo l’ “argentinità”, il modo di essere tipico degli abitanti del grande paese sudamericano, ovvero l’attitudine alla passionalità estrema temperata da una sorta di malinconia latente. L’articolo in questione – apparentemente – non era mai stato tradotto in italiano.

ADDII
Sere fa, accompagnando un amico alla stazione ferroviaria Pacìfico, mi è capitato di assistere a una scena singolare che mi ha fatto pensare che, unendola a un’altra che ricordo, ci si può scrivere un articolo.
Questo è il fatto:
Un uomo e una donna. La donna sui trent’anni; lui aveva l’aria di un commesso viaggiatore, o di chi deve cambiare città, o forse qualcosa di peggio. Vai a sapere cosa! Comunque stavano discutendo. Lui, come si dice abitualmente, faceva il conto alla rovescia controllando quanti minuti mancavano perché il treno partisse. La donna aveva qualcosa da recriminare. Capivo che ce l’aveva con lui perché noi uomini sfoderiamo sempre un certo sorrisetto cinico quando una donna ci dice, con le lacrime agli occhi, che siamo canaglie o mascalzoni.
Perché un uomo sorride così? Non so spiegarmelo. Però basta che la donna incominci un discorso in tono tragico perché nasca questa gran voglia di ridere; ridere non della donna, ma della figura ridicola che si sta facendo davanti agli altri: passano, spalancano la bocca e guardano con occhi sdegnati, come se fosse un crimine far piangere una donna.
Dunque…
Ebbene, quella sconosciuta piagnucolava, e l’uomo si limitava a dire le frasi banali che sono quasi obbligatorie quando ci si vuol togliere un dente cariato... Sì: io scorgevo nello sconosciuto questo atteggiamento di soddisfazione occulta, e la donna se ne rendeva conto a sua volta; se ne rendeva conto così bene che all’improvviso ha cominciato ad agitare le mani, a dire cose che – mi ci giocherei la testa – saranno state tipo:
“Tu sei uno spudorato. Mi avevi fatto delle promesse, e adesso te ne vai. Te ne vai, e io mi ucciderò. Sì: mi ucciderò. Non amerò mai più nessun altro…”
“Beh, tesoro: in effetti se ti ammazzi come potresti amare un altro?”
“Sta zitto! Sei cinico… L’uomo più spregevole che io abbia mai conosciuto…”
“Ah, quindi ne hai avuti altri…”
Come si può capire, un dialogo di questo genere non può prolungarsi più di tanto senza che la donna non arrivi a minacciare di svenire o di provocare uno scandalo. È a quel punto che lo sconosciuto sorrideva. Sorrideva con un sorriso doloroso, gioviale, cinico, mentre i suoi occhi dicevano, più o meno:
“Lo vedete? Io non ho colpa. Però che devo fare? Lo sapete che le donne sono fatte così…”
Quando, infine, gli ultimi fischi del capostazione annunciarono che il treno stava partendo, l’uomo respirò. La donna cominciò a piangere a dirotto mentre lui, approfittando del lento movimento dei vagoni, si congedava con le ultime bugie consolatorie. Ma lei girò la testa senza rispondere, e io invece riuscivo a vedere il volto dell’uomo che sorrideva pregustando il sollievo della lontananza.
Un bacio
Una scena che non dimenticherò mai – e sono già passati diversi anni – è stata questa:
Mi trovavo in un vagone del convoglio che va da Córdoba a Río Cuarto. Mancavano tre minuti alla partenza del treno quando arrivò una soubrette che si era esibita nel teatro di quella città. La accompagnava l’impresario teatrale, e all’improvviso, davanti a tutti i passeggeri, l’uomo afferrò la testa della donna e le diede un bacio. Ma era un bacio lungo, disperato; un bacio in cui si intravede l’elevazione dell’anima verso un sollievo che però è destinato a concludersi. Noi tutti passeggeri eravamo perplessi, accusavamo una sensazione quasi dolorosa.
Poi il treno partì.
Quarantotto ore dopo, a Río Cuarto, mentre sto in un caffè, afferro un quotidiano del giorno prima. Lo leggo e di colpo resto paralizzato. Il giornale riportava la notizia del suicidio dell’impresario del teatro dove si era esibita la soubrette. Ho lasciato stare il quotidiano e mi sono messo a riflettere. Adesso si capiva il senso di quel bacio. L’uomo, mentre si recava alla stazione, sapeva che era l’ultima, l’ultima e definitiva volta in cui avrebbe guardato e baciato quel volto che in chissà quante altre città avrebbe ancora sparso la sua vita libera fatta di musica.
E all’improvviso questo spettacolo prese talmente vita nella mia immaginazione che per tantissimo tempo non riuscì a separarlo dai miei ragionamenti. Avevo assistito agli ultimi momenti di vita di un suicida, di un uomo che non aveva lasciato nessun messaggio scritto e apparentemente non aveva motivi per suicidarsi.
Tristezza degli addii
Il fatto è che non c’è niente di più triste degli addii. Soprattutto in certe stagioni e periodi dell’anno.
Qualcuno rimane e qualcuno parte.
Il piccolo corteo che cerca di rendere piacevoli gli ultimi momenti di un malato alla stazione. La ragazza che parte per la cordigliera. Le amiche che la guardano, a metà fra il costernato e il curioso, gli sconosciuti che passano e si soffermano a osservare un volto bagnato dalle lacrime. Fischi di treni che arrivano e partono; tumulto di folla; sibili di vapore che sono come un forte inno di vita, mentre il povero essere umano accovacciato sul sedile comprende che la vita sfugge alle sue speranze.
Tristezza degli addii fra grandi tratti d’ombra e luci verdi e rosse; fazzoletti che battono con rassegnazione su braccia oblique; teste che si affacciano al finestrino sino a quando il convoglio scompare nelle luccicanti curve delle rotaie, la sola cosa visibile nell’oscurità della notte; il fanale che oscilla per un attimo e scintilla. E poi ombra, non più rumori, non più luce, non più stridore. E la vita che continua col suo ritmo di sempre…

domenica 22 gennaio 2012

Conversazioni immaginarie reloaded

(considerate questo post un sequel isolato di questa serie…)

“VOLONTARIO”: Signore, vuole offrire un po’ di soldi per i bambini?
IO (scettico): No, non mi interessa.
“VOLONTARIO” (con un’espressione tipo: ‘adesso ti faccio fare una figuraccia’): Perché, lei non vuole bene ai bambini? Se tutti fossero come lei, ahi ahi ahi…
IO (con un’espressione tipo: ‘hai provocato la persona sbagliata'): Ma mi spiega bene cosa fate voi?
“VOLONTARIO”: Noi intratteniamo i bambini ricoverati in ospedale. Facciamo spettacoli vestiti da pagliacci, gli diamo i palloncini… (me ne porge uno) Con un’offerta lei sostiene la nostra attività.
IO: Ah, quindi i soldi vanno a voi, non ai bambini…
“VOLONTARIO” (colto di sorpresa): Beh, ma noi poi intratteniamo i bambini malati e ricoverati… Facciamo un’opera di bene per quei poveri bimbi.
IO: Non vi ho mai visto. O meglio: qui al centro commerciale a chiedere i soldi vi ci vedo sempre, costantemente. Non solo in questo, anche in altri. Negli ospedali invece non vi ho mai visto. E purtroppo negli ultimi tempi ci sono dovuto andare varie volte, ma mi fosse mai capitato di vedervi. Qui al centro commerciale a chiedere soldi però non mancate mai, ci siete tutti i sabati e le domeniche…
“VOLONTARIO” (sprezzante): Noi siamo volontari, siamo una onlus, quindi non riceviamo soldi da nessuno e dobbiamo contare sulle offerte della gente.
IO: Scusi, ma da quando in qua un volontario prende soldi? Se è volontario significa che lo fa per spirito umanitario nel tempo libero, quando ha finito di lavorare. Se prende soldi non è più un volontario, ma uno stipendiato.
“VOLONTARIO” (infastidito): Beh, abbiamo anche delle spese. Il mese scorso abbiamo fatto uno spettacolo all’ospedale di Reggio Calabria. Chi ce lo pagava il viaggio? E l’albergo?
IO: E chi vi ha detto di andare a Reggio Calabria? Scusate, di che città siete voi? Roma, Napoli? Fate i vostri spettacoli negli ospedali di queste città, così non vi costa niente e non dovete chiedere soldi a nessuno.
“VOLONTARIO”: Ci sono anche altri costi. Noi siamo una onlus, abbiamo una sede. Chi lo paga l’affitto?
IO (con aria professionale): L’indicazione di un recapito come sede sociale è necessaria solo a fini legali, non c’è l’obbligo di avere un indirizzo specifico, quindi si può registrare come sede anche l’appartamento in cui uno di voi è residente, e il problema è risolto.
“VOLONTARIO” (in affanno): Comunque abbiamo anche altre spese, per esempio… (osserva il palloncino che voleva darmi in cambio di un’ offerta e ha un lampo di genio). I palloncini! Questi li dobbiamo pagare!
IO (facendo uno sforzo enorme per non ridergli in faccia): Cioè: voi chiedete un’offerta in cambio dei palloncini che avete comprato con le offerte, per poi chiedere altre offerte dando i palloncini che comprerete con le offerte che state raccogliendo… Ho capito bene?
“VOLONTARIO” (con un’espressione tipo: ‘mi arrendo’): Senta, il palloncino glielo regalo, va bene? Non voglio niente da lei.
IO (sorriso perfido): No, lo dia a qualcuno che in cambio vi da un’offerta. Non vorrei che la vostra onlus fallisse per colpa mia…

giovedì 19 gennaio 2012

Adotta una parola

Ho deciso di aderire all'iniziativa della società Dante Alighieri segnalata da Mirco in questo post.
Il principio è abbastanza semplice: si richiede ai bloggers di "adottare" una parola italiana ormai desueta e utilizzarla quanto più possibile all'interno del proprio blog per farne risorgere l'uso comune e salvarla dall'oblio.
Ecco, "oblio" (ovvero: lo scomparire dalla memoria, l'essere dimenticato) potrebbe già andare bene, ma io ne propongo un'altra, che tenterò di far comparire spesso nei miei post. Anzi, a volte l'ho già utilizzata.
La mia adozione riguarda il vocabolo onde, che non si riferisce alle onde del mare che piacciono ai surfisti e un po' meno ai naviganti, ma all'avverbio (o congiunzione a seconda dei casi) che può significare "da cui", "allo scopo di", "in modo che".
Un esempio me lo fornisce Carolina Invernizio in uno dei primi paragrafi de Il bacio d'una morta:

Quando mia sorella si accòrse che ero divenuto meno rozzo, meno selvatico, che cominciavo a comprendere e ad apprezzare la vita, combinò un piano di fuga per me, onde potessi recarmi in città a compire la mia educazione.

La parola appare desueta già agli inizi del 1900. Guido Gozzano, nel sognante racconto Torino d'altri tempi, immagina di trovarsi nel capoluogo sabaudo del XVIII secolo, e sente la gente parlare in un linguaggio antiquato, ovviamente utilizzando anche l'avverbio in questione:

Intorno si parla francese o un piemontese arcaico molto serrato nella erre infranciosata o l'italiano pesante dei libri stampati; così dinnanzi a me un tal conte Dellala di Beinasco e un tal cavaliere Mattè macchinista deplorano “...la fatal pioggia importuna che ieri sera nocque al fontionamento della macchina dei fuochi artefitiali di gioia, a cascatelle e figure molto vaghe e dilettevoli, onde l'ornatissima madama giovinetta volle trarre nefasto presagio...”

Insomma, sebbene io sia quasi certo di aver udito citare "onde" anche di recente, per lo più in contesti giuridici e arringhe avvocatesche, direi che il suo uso nel linguaggio comune non è molto frequente, e per tale ragione, onde evitare che scompaia dall'italico idioma, lo adotto seduta stante.

mercoledì 18 gennaio 2012

Helpdesk?

In genere evito di scrivere messaggi solo per chiedere aiuto agli internauti di passaggio più competenti di me.
Ma stavolta, una tantum, rivolgo un breve appello ai guru della piattaforma blogger.com per cercare di capire qual è il motivo per cui non riesco a inserire nella bacheca il nuovo blog di Alessandro.
Fino a oggi era stato tutto abbastanza semplice: ogni volta che desideravo seguire un nuovo blog andavo nella sezione "Bacheca", cliccavo il pulsante "Aggiungi", e tutti i nuovi post del blog in questione mi apparivano nell'elenco degli aggiornamenti.
Ho fatto lo stesso per Plutonia Experiment: aggiungo il link http://alessandrogirola.me e scelgo di seguirlo, e infatti compare nell'elenco dei blog, e i post appaiono tra gli aggiornamenti. Ma solo per poco. Non appena esco dal mio account accade qualcosa che lo cancella. Ogni volta che rientro nella bacheca del mio blog, Plutonia Experiment è scomparso dall'elenco dei blog che seguo. L'ho reinserito una trentina di volte nelle ultime settimane, e tutte le volte è puntualmente scomparso.
Lasciando da parte le spiegazioni più ovvie (boicottaggio degli hacker russi nei confronti di Alex, intervento di entità aliene per impedire la diffusione dei suoi post con utili informazioni anti-invasioni extraterrestri, interruzioni nel continuum spazio-temporale che collega i due universi paralleli in cui viviamo rispettivamente io e Alex), é possibile che ci sia qualche motivo più complesso, tipo un errore di impostazione da parte mia? A nessuno di voi è capitato un problema del genere? Qualche consiglio da darmi?

lunedì 16 gennaio 2012

Rarità bis

Proseguiamo con le rarità.
Di Hector Hugh Munro detto “Saki” (1870-1916) avevo già tradotto qualcosa (vedi qui e qui). Il racconto che segue (che a quanto mi risulta non ha traduzioni italiane esistenti) venne pubblicato nel 1910, non è politicamente corretto, e fa pensare che l’autore sia stato il classico inglese imperialista e razzista di inizio ‘900. Avendo letto altri racconti di Munro, posso garantire che è ugualmente irrispettoso, razzista e qualunquista anche quando parla dei suoi connazionali…
In questo caso il suo bersaglio è la Turchia (anzi, l’Impero Ottomano) ancora arretrato ma in fase di modernizzazione… forse.

UNA GIOVANE CATASTROFE TURCA (*) – IN DUE SCENE
Il Ministro delle Belle Arti (al cui Dipartimento è stata ultimamente aggregata la nuova sottosezione dell’Ingegneria Elettorale) ebbe un incontro di lavoro col Gran Visir. Rispettando il galateo levantino, prima di parlare di cose serie discussero un po’ di argomenti più frivoli. Il Ministro però si astenne dal fare riferimenti alla gara di maratona in corso, poiché ricordava che il Gran Visir aveva una nonna persiana e pertanto ogni allusione a una Maratona (**) poteva suonare inappropriata. Alla fine il Ministro spiegò il motivo della sua visita.
“Con la nuova costituzione, le donne possono votare?” domandò improvvisamente.
“Le donne che votano?” esclamò il Visir sbalordito. “Mio caro Pascià, il nuovo corso politico ha già sentore d’assurdo così come è; non rendiamolo ulteriormente ridicolo. Le donne non hanno né anima né intelligenza, perché dovrebbero avere il diritto di voto?”
“Lo so che suona assurdo”, rispose il Ministro “Eppure in Occidente stanno seriamente valutando questa possibilità”.
“Allora dispongono di una dose di imperturbabilità superiore a quella che gli attribuivo. Ho trascorso un’intera vita sforzandomi di mantenere sempre un rigoroso contegno, eppure ho difficoltà a trattenermi dal ridere al solo valutare questa proposta. Inoltre la maggior parte delle donne del popolo non sanno né leggere né scrivere. Come potrebbero partecipare alle operazioni di voto?”
“Gli si potrebbe mostrare la scheda coi nomi dei candidati, indicandogli il punto in cui devono apporre una croce”.
“Chiedo scusa?” lo interruppe il Visir.
“Volevo dire: in cui devono apporre una mezzaluna”, si corresse appena in tempo il Ministro. “Questo farebbe piacere al partito dei Giovani Turchi”, aggiunse.
“Oh beh” commentò il Visir, “Tanto vale andare sino in fondo e rassegnarci a questa porcat…” (si interruppe prima di pronunciare il nome di un animale impuro) “ehm, questa cavolata. Darò istruzioni affinché alle donne sia permesso votare”.
***
Le operazioni di voto stavano per concludersi nel seggio di Lakoumistan. Il candidato dei Giovani Turchi era in vantaggio di tre/quattrocento voti, e stava già scrivendo la bozza del discorso di ringraziamento agli elettori. La sua vittoria era quasi annunciata, perché lui aveva messo in moto i classici meccanismi delle campagne elettorali occidentali. Aveva persino noleggiato dei tassì. Pochissimi fra i suoi sostenitori si erano recati al seggio utilizzando questi mezzi di trasporto, però grazie alla guida mirata degli autisti era riuscito a fare in modo che parecchi sostenitori del suo avversario politico finissero al cimitero, o in ospedale, o comunque non fossero più nelle condizioni di poter votare. Ma all’improvviso accade qualcosa di imprevedibile.
Il candidato rivale, Alì il Benedetto, arrivò al seggio con tutte le sue mogli e rispettive suocere, che erano all’incirca seicento. Alì non si era preoccupato di organizzare comizi, però aveva sparso la voce che chiunque avesse votato il suo oppositore sarebbe volato nelle acque del Bosforo chiuso dentro un sacco.
Il candidato dei Giovani Turchi, che si era uniformato all’uso occidentale di avere una sola moglie e praticamente nessuna amante, assistette impotente al rovesciamento dei risultati dello spoglio, con la maggioranza dei voti che passava ad Alì.
“Crist… oforo Colombo!” esclamò, invocando in modo confuso un noto viaggiatore, “Chi mai l’avrebbe potuto immaginare?”
“Curioso eh?”, scherzò Alì. “Colui che ha così eloquentemente sostenuto l’importanza del Voto Segreto, è stato sconfitto dalle Votanti Segregate… dietro un burkha”.

(*) Riferimento ai Giovani Turchi, movimento politico che si proponeva di modernizzare e occidentalizzare l’Impero Ottomano agli inizi del XX secolo. Col tempo riuscì nei suoi scopi, ma all’epoca in cui venne scritto il racconto (1910) le sue probabilità di successo apparivano ardue, e H.H. Munro ci scherza sopra.

(**) La celebre battaglia in cui l’esercito ateniese sconfisse le armate persiane.

giovedì 12 gennaio 2012

Visibilità a ogni costo

Nel corso della mia rispettabile carriera di scribacchino ho avuto modo di verificare che in questa categoria esiste anche una sorta di lotta per emergere dall'oscurità in cui l'emergente/esordiente/aspirante scrittore si trova confinato. Per portarla avanti si ricorre anche a trucchi ed espedienti vari che io non ho adottato poiché non ne condivido la filosofia di fondo (e in parte anche perché qualunque "lotta" fra scribacchini mi sembra solo una guerra fra poveri, anzi, fra morti di fame).
Comunque ne posso riportare qui alcuni come una curiosità per addetti ai lavori; oppure considerateli un fenomeno di costume, o un dato sociologico relativo alla categoria degli scrittori non emersi...

Il voto a ioscrittore
Il concorso ioscrittore del Gruppo Mauri Spagnol prevedeva (e forse prevede tutt'ora) una votazione fra concorrenti: io partecipo e voto i lavori dei partecipanti X e Y, ma esistono anche W e Z che metteranno a loro volta un voto al mio manoscritto. Si fa una rigida media matematica, e chi ha il punteggio più alto passa. Ebbene, c'é chi ha messo il voto 1 a tutti i manoscritti che ha giudicato facendo un ragionamento tipo: "Mettendogli 1 gli abbasso la media dei voti, quindi è più facile che vengano eliminati e sono rivali in meno per la vittoria finale..."
I commenti su ilmiolibro
Nel portale di print-on-demand ilmiolibro è possibile interagire con gli altri "pubblicatori di propri scritti", ed esistono alcune classifiche. Mi è capitato di ricevere richieste di commenti così congegnate: "Caro utente, se tu commenti il mio libro e io commento il tuo aumentiamo il nostro rispettivo numero di commenti, e di conseguenza la nostra visibilità. Lo facciamo?"
Su anobii
Far finire il proprio libro su anobii è facile, basta disporre di un codice isbn (e ci vuole davvero poco ormai a rimediarne uno). Mi è capitato di vedere un libro commentato come capolavoro e votato come tale... dall'autore, che era anche utente di anobii. C'erano anche altri commenti, tutti a cinque stelle, scritti da amici e parenti che ovviamente si firmavano con nickname anonimi.

Concludendo, io preferisco guardare ai dati concreti, non a tricks e combo per farsi belli senza un autentico consenso degli unici che dovrebbero davvero giudicare: i lettori. Ecco, il mio punto di riferimento sono loro. E ringrazio sentitamente tutti quelli che sinora mi hanno dedicato parte del loro tempo e hanno acquistato miei ebook senza ricevere nulla in cambio se non (spero) un'oretta di evasione trascorsa a fantasticare sulle mie parole scritte.

domenica 8 gennaio 2012

Rarità in italiano

In attesa di idee migliori, provo a creare un nuovo tag senza scadenze fisse dedicato alle rarità letterarie, ovvero agli scritti apparentemente mai tradotti in italiano. Ovviamente posso sbagliare, e spacciare per "mai tradotto" qualcosa di già pubblicato nella nostra lingua, ma garantisco che non si tratterà mai di millanteria, bensì di banale incompetenza del sottoscritto, una qualità che non ho mai negato di possedere.
Vorrei cominciare con Senryu Karai (1718-1790) poeta giapponese creatore degli haiku satirici. Gli haiku tradizionali sono componimenti lirici e hanno come riferimento le stagioni e la natura. Senryu Karai invece utilizzò la struttura metrica di queste tipiche poesie giapponesi per dare forma ai suoi guizzi ironici, in una maniera che per certi aspetti rammenta gli epigrammi della tradizione classica occidentale. Questo tipo di composizione viene ancora oggi chiamato senryu in suo onore, e si distingue dagli haiku. Per quanto ne so, non esistono traduzioni italiane dei suoi componimenti. Ne propongo alcuni, tratti però da una versione inglese (direttamente dal giapponese purtroppo mi è impossibile…)

“Presto ci sarà
un’affascinante vedova” – è il pettegolezzo
che gira fra i medici.

Mentre va al lavoro
il ladro fa alla moglie:
“Chiudi a chiave prima di andare a dormire!”

Il lavandaio:
un uomo che mangia
grazie al sudiciume dei vicini.

Qualunque cosa lui riferisca
chi lo ascolta
deve applicarci uno sconto del 50%.

A giudicare dalle immagini
l’inferno sembra
più eccitante che qui.

giovedì 5 gennaio 2012

Sarebbe un problema...

Se per caso un editore russo che conosce bene l'italiano passasse da queste parti, rimanesse incuriosito dai miei ebook e li leggesse e decidesse di tradurli in russo e pubblicarli a mia insaputa, come me ne accorgerei?
E se anche mi proponesse un regolare contratto, e i miei ebook venissero messi in vendita su un portale russo col mio nome bene in evidenza, come farei a vantarmene coi miei famigliari? Gli mostrerei il sito dicendo: "Visto? I miei racconti sono piaciuti a questo editore!" e loro mi risponderebbero? "Che caspita c'è scritto qui?".
Eh sì, perchè loro non conoscono l'alfabeto cirillico (e neanche io a dire il vero). Si metterebbero a ridere, penserebbero che li sto prendendo in giro, io insisterei e loro obietterebbero che su quel sito potrebbe esserci scritta qualunque cosa, e anche se lo traducessi con google translator loro potrebbero pensare che sia un fake montato ad arte, e io alzerei la voce, inizieremmo a litigare e...
.............. vi capita mai di farvi un sacco di seghe mentali a proposito di situazioni che tanto non accadranno mai?

martedì 3 gennaio 2012

Intervista

Questo è uno spot pubblicitario del vanaglorioso Ariano Geta che segnala a tutti voi un'intervista rilasciata a Gianluca Santini a proposito del suo contributo al Survival Blog.
Se volete soddisfare il suo narcisistico e smisurato ego, potete andare a dare un'occhiata e godervi tutte le scempiagg interessanti considerazioni con cui ha annoiat deliziato Gianluca.

domenica 1 gennaio 2012

... e si riparte

Ho accuratamente evitato il post di fine anno coi buoni propositi per il 2012, perché non ne avevo (per evitare di essere frainteso posso aggiungere che non ne no neppure di cattivi... ma faccio ancora in tempo a cambiare idea ;-)

Come scribacchino sto vivendo una fase di pausa: vorrei partecipare al nuovo concorso di Alex sulla Pandemia Gialla ma non ho scritto neppure una parola, e latitano persino le idee.
Però voglio ugualmente continuare a contribuire alle attività di questo specialissimo gruppo di bloggers con la fissazione della scrittura. Eventualmente mi proporrò come lettore/correttore di bozze :-)