È un discorso complesso, e io non sono una persona competente
in materia, perciò evito di addentrarmi ulteriormente. Quello di cui voglio
parlare è il momento in cui, purtroppo, subentra uno stato di malattia mentale
conclamata, quella che di fronte alla legge rende una persona “incapace di
intendere e di volere” o addirittura “un pericolo per se stesso e per gli
altri”.
Se il sottoscritto si trovasse in una situazione del genere,
sicuramente non potrebbe più esercitare la sua professione. Impossibile fare 2
+ 2 se la mente suggerisce che il risultato è 5.
Per le creazioni artistiche l’esito può essere diverso.
Dipingere un quadro o comporre musica implicano attività cerebrali in cui domina
la parte destra, pertanto gli input errati che giungono da sinistra potrebbero
risultare ininfluenti ai fini del risultato finale.
È noto ad esempio che pittori come Van Gogh o il nostro
Ligabue nel corso degli anni divennero mentalmente infermi, ma non per questo
persero la capacità di dipingere.
Il musicista Maurice Ravel agli inizi degli anni ’30 ebbe i
primi sintomi di una grave sindrome degenerativa del sistema nervoso che col
tempo avrebbe annientato le sue capacità cognitive, tuttavia per alcuni anni
continuò a comporre – ed eseguire – musica di elevata qualità.
In letteratura il discorso è più complesso poiché la scrittura
di un pazzo talvolta denota in modo evidente i deliri della mente malata. Anche
in questo caso però i risultati possono essere spiazzanti, come accade ad
esempio nei romanzi in cui il marchese De Sade sfoga la sua folle fantasia sadica (termine coniato partendo proprio
dal cognome Sade). Anche se la sua figura – e la sua opera – restano ancora
oggetto di controversia a distanza di due secoli e mezzo, non c’è dubbio che i
suoi scritti suscitano un profondo interesse nel lettore per via della meticolosità
maniacale con la quale vengono descritte le peggiori perversioni (nella maggior
parte dei casi solo immaginate) che si annidavano nella mente
dell’aristocratico francese.
Inoltre, soprattutto negli ultimi due secoli, hanno ottenuto
sempre più interesse le forme di scrittura sperimentale, astratta per così
dire, come la “prosa futurista” di Marinetti o quella “automatica” dei
surrealisti, e questo ha risvegliato l’interesse attorno ai letterati pazzi. È
un ambito che riguarda soprattutto la poesia, dove l’incoerenza concettuale e
l’esaltazione febbrile delle sensazioni dell’io narrante assumono un’estrema suggestività,
prescindendo dalla sanità mentale dell’autore.
Il poeta inglese settecentesco Christopher Smart era affetto
da turbe psichiche che lo condussero al manicomio, ma i poemetti che
testimoniano il suo ossessivo slancio mistico verso Dio sono giudicati molto
interessanti dalla critica letteraria.
Il nostro Dino Campana probabilmente non era pazzo come
credevano i suoi genitori (nei secoli scorsi erano molto più sbrigativi di oggi
a trarre certe conclusioni), tuttavia è probabile che avesse delle paranoie. In
ogni caso, non hanno inciso in nessuno modo sulla sua capacità di comporre
poesie dove la componente visionaria appare non dissimile rispetto a quella di
altri poeti che non soffrivano di alcun problema mentale.
Insomma, la follia non è un ostacolo per la creatività.
Purtroppo lo è per tante altre cose, perciò spero di non esserne mai toccato.
Quando andavo ancora a scuola (una quarantina d'anni fa!) atteggiarsi a "scrittore maledetto" tirava molto e una squinzia che ti vedeva solo, su un muretto, coi capelli per aria e un taccuino in mano era già a buon punto di cottura! A parte gli scherzi, anch'io non capisco molto di queste cose, ma penso che l'essere un po' "fuori" aiuti a liberare la creatività dai vincoli del raziocinio e apre le porte a mondi ulteriori. Non per niente molti scrittori sono famosi per l'uso di sostanze che li aiutavano a uscire dalla realtà. Penso a P.K. Dick, a A. Huxley, a tutti gli scrittori della beat generation che hanno scritto volutamente sotto l'effetto di pejote, mescalina e varie. Ma penso che anche una buona bottiglia di sangiovese a volte aiuti!
RispondiEliminaUn po' di sana follia non guasterebbe credo, ma i "sani" sono troppi e troppo zelanti per lasciartela passare:-)
RispondiEliminaBisogna essere un po' folli quando si crea, ma molto razionali quando si corregge! Il vero rischio per lo scrittore non è dunque la follia ma avere una personalità multipla! Ah ah ah! Ok, giusto per esorcizzare un po' il tema...
RispondiEliminaQuando si parla di follia e logica mi viene sempre in mente il film "A beautiful mind", se non l'hai visto, te lo consiglio!
Io credo che un minimo di follia non solo nell' arte, ma anche nella vita serva.
RispondiEliminaAltrimenti sai che noia?
Quoto Nick. ;)
RispondiEliminaAnzi, sai che c'è.
Un mondo di folli non mi dispiacerebbe.
Solo che durerebbe pochissimo, mi sa... ;D
Per quanto mi riguarda, anche nel mio lavoro, l'astrazione, il "pensare diverso", il percorrere strade non consuete ed "osare" sono tutti ingredienti indispensabili per tirare fuori qualcosa di creativamente valido.
Quindi, sì, assolutamente: la follia (in che misura, non saprei dire) sarà sempre inscindibile dall'arte.
La follia serve a non invecchiare. come anche la creatività.
RispondiEliminaLa patologia è un'altra cosa, naturalmente.
Concordo con Cyberluke, arte e "follia" nutrono l'arte, rilancio anche con un po' di dolore, come amava dire Baudelaire.
Grazie a tutti per i vostri commenti :-)
RispondiEliminaE' un po' difficile distinguere il confine tra la follia e il senno...
RispondiEliminaBeh, io mi riferivo ai casi in cui i medici certificano l'insanità mentale della persona.
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