martedì 16 febbraio 2010

L'arresto di Arsène Lupin - 1

L’arresto di Arsène Lupin


Lo strano viaggio! Era cominciato così bene! Da parte mia non avevo preoccupazioni, perché tutto si annunciava sotto i più favorevoli auspici. Il “Provence” è un transatlantico rapido, confortevole, comandato dai più affabili tra gli uomini. La crema della società era lì riunita. Nascevano nuove relazioni, ci si divertiva. Avevamo la splendida sensazione di essere separati dal resto del mondo, noi rappresentavamo l’umanità come se ci trovassimo su un’isola deserta, essendo perciò obbligati a stare vicino gli uni agli altri.
Avete mai pensato a quanto ci sia di originale ed imprevedibile in quei gruppi di persone che fino al giorno prima neanche si conoscevano, e che per un po’ di tempo – tra il cielo infinito e il mare immenso – saranno in stretta intimità e insieme sfideranno la collera dell’oceano, gli assalti terrificanti delle onde e l’infida calma del mare addormentato?
E’ come vivere in forma ridotta e tragica l’intera vita, con le sue tempeste e le sue grandezze, la sua monotonia e la sua varietà. Ed è per questo, forse, che una breve crociera viene gustata con ansia febbrile e voluttà intensa; perché si riesce a scorgere la sua fine già nel momento stesso in cui inizia.
Ma in mezzo a tanti viaggi ce ne fu uno in cui accadde qualcosa di speciale che andò a sommarsi in modo singolare alle emozioni della traversata.
La piccola isola galleggiante dipende sempre dalla terraferma da cui si crede affrancata. Un legame sussiste, e si snoda a poco a poco in mezzo al mare, per poi riannodarsi all’improvviso. Il telegrafo senza fili! Messaggero di un altro universo da cui si ricevono notizie nel modo più misterioso! L’immaginazione non ha più neppure la possibilità di evocare dei fili di ferro nelle cui pieghe scorrerebbe il messaggio invisibile. Il mistero è ancora più insondabile, anche più poetico, e per spiegare questo nuovo miracolo si può ricorrere solo alle ali del vento.
All’inizio ci sentivamo seguiti, scortati, perfino preceduti da questa voce lontana che, di tanto in tanto, sussurrava qualche parola a ognuno di noi. Due amici mi parlarono. Altri dieci, venti ci inviarono a tutti, attraverso lo spazio, i loro saluti tristi o piacevoli.
Il secondo giorno, mentre stavamo a cinquecento miglia dalla costa francese, nel bel mezzo di un pomeriggio piovoso il telegrafo senza fili trasmise un dispaccio di questo tenore:
“Arsène Lupin a bordo della vostra nave, prima classe, capelli biondi, cicatrice all’avambraccio destro, viaggia da solo sotto il falso nome di R…”
Il quel preciso momento un tuonò risuonò violentemente nel cielo cupo. Le onde elettriche si interruppero. Il resto del dispaccio non ci pervenne. Del nome sotto il quale si nascondeva Arsène Lupin sapevamo solo l’iniziale.
Se si fosse trattato di un’altra notizia sono certo che sarebbe stato scrupolosamente mantenuto il segreto, sia da parte degli impiegati del telegrafo che del commissario di bordo e del comandante. Ma era uno di quegli eventi capaci di scardinare anche la più rigorosa delle discrezioni. Il giorno stesso, senza che si sapesse in che modo questa informazione si fosse diffusa, tutti sapevamo che il famoso Arsène Lupin si nascondeva tra noi.
Arsène Lupin in mezzo a noi! Il ladro imprendibile di cui tutti i giornali raccontavano le prodezze da mesi! Il personaggio enigmatico con cui il vecchio Ganimard, il nostro miglior poliziotto, aveva ingaggiato una guerra senza quartiere piena di pittoresche peripezie! Arsène Lupin, il fantasista gentiluomo che agisce solo nei castelli e nei salotti, colui che la notte in cui era penetrato in casa del barone Schormann se ne era andato via a mani vuote lasciando un biglietto da visita con la seguente dicitura: “Arsène Lupin, il ladro gentiluomo, ritornerà quando gli oggetti di valore saranno autentici”. Arsène Lupin, l’uomo dai mille travestimenti: di volta in volta autista, tenore, bookmaker, giovane rampollo, adolescente, vecchio, commesso viaggiatore marsigliese, medico russo, torero spagnolo!
Pensate a quando ci si rese conto di ciò: Arsène Lupin si muoveva all’interno del cerchio relativamente ristretto di un transatlantico. Ma cosa dico! Lui era nel ristrettissimo ambito della prima classe dove ci incontravamo tutti in ogni momento, in questa sala da pranzo, in questo salone, in questo fumoir! Arsène Lupin poteva essere quel signore lì, oppure quello laggiù… magari il mio vicino di tavola o la persona con cui dividevo la cabina…
“E questa cosa durerà cinque volte ventiquattrore!”, si lamentava il giorno dopo miss Nelly Underdown, “E’ intollerabile! Spero proprio che l’arrestino”.
E rivolgendosi a me: “Monsieur d’Andréasy, lei che ha confidenza col comandante, ha saputo niente?”
Quanto mi sarebbe piaciuto sapere qualcosa per compiacere miss Nelly! Era una di quelle magnifiche creature che, dovunque si trovino, vanno subito a finire nel luogo più ben in vista. Quelle la cui bellezza e la cui fortuna riescono ad abbagliare chiunque. Hanno sempre attorno a loro una piccola corte di ammiratori ferventi ed entusiasti.
Educata a Parigi dalla madre francese, stava viaggiando per raggiungere il padre, il ricchissimo Underdown di Chicago. L’accompagnava una sua amica, lady Jerland.
Sin dal primo momento mi ero candidato per flirtare con lei. Ma nella rapida intimità del viaggio il suo fascino mi aveva turbato, e ogni volta che i suoi grandi occhi neri incrociavano i miei mi sentivo troppo agitato per un flirt. Tuttavia lei mi mostrava un certo favore. Si degnava di ridere delle mie battute e s’interessava ai miei aneddoti. Una vaga simpatia sembrava corrispondere all’attenzione che le dimostravo.
Solo un rivale mi impensieriva un po’, un gran bel ragazzo elegante e riservato. Qualche volta lei sembrava preferire il suo umore taciturno piuttosto che la mia estroversione parigina.
Lui stava in mezzo al gruppo di ammiratori che attorniava miss Nelly nel momento in cui lei mi aveva posto quella domanda. Eravamo sul ponte, piacevolmente accoccolati sulle sedie a dondolo. L’acquazzone del giorno prima aveva rischiarato il cielo. L’atmosfera era deliziosa.
“Non so niente di preciso, mademoiselle”, le spiegai “ma non potremmo condurre noi stessi un’indagine, nello stesso modo in cui farebbe il vecchio Ganimard, il nemico personale di Arsène Lupin?”
“Oh, lei si sta allargando!”
“Perché mai? E’ forse un caso complicato?”
“Molto complicato”.
“Ma lei dimentica gli elementi che abbiamo a disposizione per risolverlo”.
“Quali elementi?”
“Uno: Lupin si fa chiamare R…”
“Un indizio un po’ vago”.
“Due: viaggia da solo”.
“Se questo dettaglio le basta…”
“Tre: è biondo”.
“E allora?”
“E allora non dobbiamo fare altro che consultare la lista dei passeggeri e procedere ad eliminazione”.
La lista ce l’avevo in tasca. La presi in mano e iniziai a scorrerla.
“Come prima cosa noto che ci sono appena tredici persone la cui iniziale merita la nostra attenzione”.
“Solo tredici?”
“In prima classe si. Di questi tredici messieurs R…, come potete verificare, nove sono accompagnati da moglie o figli o domestici. Restano soltanto quattro persone che viaggiano sole: il marchese di Raverdan…”
“E’ segretario d’ambasciata”, m’interruppe miss Nelly, “lo conosco”.
“Il maggiore Rawson…”
“E’ mio zio”, disse qualcuno.
“Monsieur Rivolta…”
“Presente”, gridò uno di noi, un italiano il cui volto era nascosto sotto una barba nerissima.
Miss Nelly scoppiò a ridere. “Il signore non è sicuramente biondo”.
“Dunque”, ripresi la parola, “siamo costretti a concludere che il colpevole è l’ultimo della lista”.
“Vale a dire?”
“Vale a dire monsieur Rozaine. Qualcuno conosce monsieur Rozaine?”
Tutti tacquero. Ma miss Nelly, interpellando il giovane taciturno la cui assidua presenza vicino a lei m’infastidiva, chiese:
“E allora, monsieur Rozaine, non rispondete?”
Tutti ci girammo verso di lui. Era biondo.
Lo ammetto, ho sentito un piccolo choc dentro di me. E il silenzio imbarazzato che incombeva su di noi dimostrava che anche gli altri presenti provavano questa sorta di soffocamento. D’altra parte era assurdo, poiché nessuno dei comportamenti di quest’uomo ci permetteva di poterlo sospettare.
“Perché non rispondo?”, spiegò lui, “ma perché visto il mio nome, la mia condizione di viaggiatore solitario e il colore dei miei capelli, avevo già proceduto ad un’indagine analoga alla sua e sono arrivato alle stesse conclusioni. Infatti sono dell’avviso che dovrei essere arrestato”.
Aveva un’aria bizzarra mentre pronunciava queste parole. Le sue labbra sottili come due linee rette si strinsero ancora di più e impallidirono. Dei filamenti di sangue striarono i suoi occhi.
Stava scherzando, era ovvio. Tuttavia la sua fisionomia e il suo atteggiamento ci impressionarono.
Ingenuamente miss Nelly gli domandò: “Ha delle cicatrici?”
“E’ vero, mi manca la cicatrice”.
Con un gesto nervoso tirò su la manica e mostrò il suo braccio. Però mi passò un’idea per la testa. I miei occhi incrociarono quelli di miss Nelly: aveva mostrato il braccio sinistro.
Vi giuro che volevo farglielo notare, ma un evento imprevisto attirò la nostra attenzione. Lady Jerland, l’amica di miss Nelly, arrivò di corsa. Era agitata. Ci radunammo attorno a lei, e solo dopo qualche sforzo riuscì a balbettare: “I miei gioielli, le mie perle! Hanno rubato tutto!”
No, non avevano rubato tutto, come avremmo poi saputo in seguito. Assai più curiosamente avevano fatto una cernita!
Dalla stella di diamanti, dal ciondolo di rubini, dai colliers e dai braccialetti non erano state tolte le pietre più grandi, ma le più piccole, le più preziose, quelle di cui si poteva dire che avevano il maggior valore pur occupando la posizione più infima. Le montature giacevano sul tavolo. Io le vidi, tutti le vedemmo, spogliate delle loro gemme come dei fiori cui abbiano strappato i loro bei petali lucenti e colorati.
Per eseguire un colpo del genere bisognava attendere l’ora in cui lady Jerland prendeva il suo tè e – in pieno giorno e lungo un corridoio assai frequentato! – scassinare la porta della cabina, trovare un piccolo sacco perfettamente nascosto in fondo a uno scatolone di cartone, aprirlo e mettersi a fare una selezione!
Appena si seppe del furto tutti dissero la stessa cosa, tutti espressero la medesima opinione: ‘è stato Arsène Lupin’. E in effetti questo era proprio il suo stile complicato, misterioso, inconcepibile… e logico tuttavia. Perché sarebbe stato difficile nascondere la massa voluminosa che avrebbe formato l’insieme dei gioielli, mentre con tante piccole cose separate le une dalle altre il problema si riduceva al minimo: perline, smeraldi, zaffiri…
Durante la cena i due posti a destra e a sinistra di Rozaine rimasero vuoti. E la sera si seppe che era stato convocato dal comandante.
Il suo arresto, che nessuno mise in dubbio, provocò un autentico sollievo. Ci sentivamo sollevati. Ci intrattenemmo coi giochi da tavola, si ballò. Soprattutto miss Nelly mostrava la sua gioia in modo vistoso, e mi fece capire che i complimenti di monsieur Rozaine, sebbene lei li avesse apprezzati, erano già stati dimenticati. La sua grazia finì col conquistarmi. Verso la mezzanotte, sotto un sereno chiarore lunare, le espressi la mia devozione con un’emotività che apparentemente non le dispiacque.
Ma l’indomani, tra lo stupore generale, apprendemmo che Rozaine era stato liberato poiché le prove contro di lui non erano sufficienti.
Figlio d’un noto commerciante di Bordeaux, aveva mostrato i suoi documenti ed erano perfettamente in regola. Inoltre sulle sue braccia non c’era la minima traccia di cicatrici.
“Documenti, atti di nascita! Arsène Lupin ve ne può fornire quanti ne volete!”, urlavano i colpevolisti. “E per quanto riguarda la cicatrice, può darsi che non l’avesse davvero, oppure l’ha resa irriconoscibile”.
Gli venne obiettato dagli innocentisti che durante l’ora del furto Rozaine passeggiava sul ponte (era stato dimostrato). E loro rispondevano: “A un uomo della tempra di Arsène Lupin basta un attimo per commettere un furto”
E poi, al di là di tutte le considerazioni, c’era soprattutto un punto rispetto al quale gli innocentisti non potevano replicare: tolto Rozaine, chi altri c’era che viaggiava solo, era biondo e aveva il nome che iniziava per R? A chi si riferiva il messaggio telegrafico se non a Rozaine?
E quando Rozaine, qualche minuto prima di cena, si diresse audacemente verso il nostro gruppo, miss Nelly e lady Jerland si alzarono e si allontanarono.
Erano spaventate.
Un’ora dopo, una circolare manoscritta passò di mano in mano fra gli impiegati di bordo, i marinai e i passeggeri di ogni classe: monsieur Louis Rozaine prometteva una ricompensa di diecimila franchi a chi avesse smascherato Arsène Lupin o avesse scoperto il possessore delle pietre rubate.
“E se nessuno mi viene aiuto contro questo bandito”, dichiarò Rozaine al comandante, “farò da solo”.
Rozaine contro Arsène Lupin, o piuttosto – secondo un’espressione divenuta popolare – Arsène Lupin in persona contro Arsène Lupin. Una sfida che si prospettava interessante!
Durò per due giorni.
Vedevamo Rozaine dappertutto, si appartava col personale di bordo, interrogava, investigava. Si percepiva la sua ombra che, di notte, si muoveva furtivamente.
Da parte sua, anche il comandante si impegnava attivamente. Il “Provence” venne ispezionato dappertutto, in ogni angolo. Furono perquisite tutte le cabine, senza alcuna eccezione, col pretesto abbastanza verosimile che la refurtiva poteva essere nascosta dappertutto tranne che nella cabina del colpevole.
“Alla fine scopriranno qualcosa, non è vero?”, mi domandò miss Nelly. “Benché sia una specie di stregone, non può far diventare invisibili i diamanti e le perle”.
“Invece si”, gli risposi, “Oppure bisognerebbe ispezionare anche l’imbottitura dei nostri cappelli, la fodera dei nostri vestiti e tutto quello che portiamo indosso”.
Gli mostrai la mia Kodak, una 9 x 12 con la quale le facevo fotografie in tutte le pose.
“Non pensa che potrebbe aver piazzato tutte le pietre preziose di lady Jerland in un apparecchio come questo? Lui finge di immortalare panorami e intanto l’ha fatta franca”.
“Ma si dice che non esista un solo ladro al mondo che non lasci dietro di se almeno una traccia”.
“Uno c’è: Arsène Lupin”.
“Perché?”
“Perché non pianifica solo il furto che sta per commettere, ma anche tutte le circostanze che potrebbero tradirlo”.
“All’inizio eravate più fiducioso”.
“Però poi l’ho visto in azione…”
“E dunque cosa pensate adesso?”
“Secondo me stanno perdendo tempo”.
In effetti le indagini non portarono ad alcun risultato, o piuttosto ne generarono un altro che non corrispondeva certo alle aspettative: il capitano si accorse che il suo orologio era stato rubato.
Furioso, raddoppiò i suoi sforzi e sorveglio ancor più da vicino Rozaine, con il quale aveva peraltro avuto diversi incontri faccia a faccia. L’indomani, con elegante ironia, l’orologio si fece ritrovare in mezzo ai cinturini di poco valore del vice comandante.
Tutto ciò aveva l’aria di un prodigio, e denotava lo stile burlesco di Arsène Lupin, sicuramente ladro professionista ma in un certo qual modo anche dilettante. Rubava seguendo il suo gusto e l’ispirazione, ma talvolta anche per passatempo. Dava l’impressione del gran signore che si diverte a guardare la commedia che lui stesso sta mettendo in scena e che, dietro le quinte, ride a crepapelle delle proprie arguzie e delle situazioni che è riuscito a creare.
Era decisamente un artista nel proprio campo, e osservando Rozaine, cupo e ostinato, e immaginando il doppio ruolo che quasi certamente stava recitando, era difficile fare a meno di provare un po’ di ammirazione.
Prima dell’ultima notte di viaggio, l’ufficiale di coperta udì dei gemiti nell’angolo più buio del ponte. Si avvicinò. Un uomo era steso a terra, la testa avvolta in una sciarpa grigia molto spessa, i polsi legati con una cordicella fine.
Venne liberato. Lo aiutarono ad alzarsi e gli prestarono delle cure.
Era Rozaine.
Era stato assalito nel corso di una delle sue spedizioni, messo k.o. e derubato. Un biglietto da visita fissato con una spalletta sul suo vestito diceva:
“Arsène Lupin accetta con riconoscenza i 10.000 franchi di monsieur Rozaine”
In realtà il portafogli trafugato conteneva venti biglietti da mille.
Naturalmente venne accusato di aver simulato un’aggressione a se stesso. Ma per lui sarebbe stato impossibile legarsi in quel modo, ed inoltre venne stabilito che la calligrafia sul biglietto da visita differiva totalmente da quella di Rozaine a somigliava semmai a quella di Lupin così come la riproduceva un vecchio giornale che avevamo a bordo.
Dunque Rozaine non era più Lupin. Rozaine era Rozaine, figlio di un commerciante di Bordeaux. E la presenza di Arsène Lupin veniva ulteriormente confermata da questa aggressione spavalda.
Fu il terrore. Nessuno aveva più il coraggio di restare da solo nella propria cabina, o avventurarsi nei settori più isolati della nave. Si stava prudentemente in gruppo assieme a gente di cui ci si fidava. E tuttavia un’istintiva diffidenza separava anche coloro che erano stati intimi, perché la minaccia non proveniva da una singola persona. Arsène Lupin era diventato… chiunque. La nostra immaginazione sovraeccitata gli attribuiva dei poteri miracolosi ed illimitati. Lo immaginavamo capace di camuffarsi nel modo più imprevedibile, di essere di volta in volta il rispettabile maggiore Rawson o il nobile marchese di Raverdan, perché non ci si limitava più agli elementi iniziali di colpevolezza, si coinvolgevano anche persone che tutti conoscevano e anche coloro che erano accompagnati da mogli, figli e domestici.
I primi messaggi telegrafici non portarono nessuna novità, o almeno il comandante non ce ne rese partecipi, e un silenzio del genere non ci rassicurava.
Così, l’ultimo giorno sembrava interminabile. Vivevamo nella paura che si verificasse un incidente. Questa volta non sarebbe stato un furto, non si sarebbe tratto di una semplice aggressione, sarebbe stato crimine allo stato puro, omicidio. Sembrava impossibile che Arsène Lupin si fosse limitato a questi due insignificanti furti. Padrone assoluto della nave, gli ufficiali di bordo ridotti all’impotenza, a lui bastava voler fare qualcosa e gli era permesso, i nostri beni e le nostre vite erano nelle sue mani.
Ore piacevoli per me, lo ammetto, perché mi valsero la fiducia di miss Nelly. Impressionata da tutti questi eventi, essendo già inquieta per temperamento, lei cercava spontaneamente in me una protezione, una sicurezza che ero felice di offrirle.
In fondo Arsène Lupin era stato una benedizione per me. Non era stato lui a farci avvicinare? Non era forse grazie a lui se ora potevo abbandonarmi a dei bellissimi sogni? Sogni d’amore ma anche sogni meno chimerici, perché negarlo? Gli Andréasy sono una valente stirpe della regione di Poitou, ma il nostro blasone si è un po’ sbiadito, e mi sembrava che non fosse cosa indegna per un gentiluomo cercare di restituire lustro al proprio cognome.
E questi sogni – me lo sentivo – non infastidivano Nelly. I suoi occhi sorridenti mi autorizzavano a crederci. La dolcezza della sua voce mi diceva di sperare.
E fino all’ultimo momento, appoggiati ai parapetti, restammo l’uno vicino all’altra, mentre la linea della costa americana si profilava davanti a noi.
Le perquisizioni erano state interrotte. Aspettavamo. Dalla prima classe sino al ponte inferiore dove si accalcavano gli emigranti si attendeva il momento supremo in cui sarebbe stato svelato l’insolubile enigma. Chi era Arsène Lupin? Con quale nome, sotto quale maschera si nascondeva il famoso ladro?
E questo momento arrivò. Dovessi vivere cent’anni, non ne dimenticherò mai neppure il più infimo dei dettagli.
“Come é pallida, miss Nelly”, dissi alla mia compagna di viaggio che mi si appoggiava al braccio con aria fiacca.
“E lei”, mi rispose, “lei è così cambiato!”
“Consideri che stiamo vivendo un momento appassionante, e io sono felice di viverlo accanto a lei miss Nelly! Il suo ricordo si prolungherà…”
Lei non mi ascoltava, era ansimante e febbrile. Venne calata la passerella. Ma prima che avessimo la libertà di attraversarla,  delle persone montarono a bordo, doganieri, uomini in uniforme, postini.
Miss Nelly balbettò: “Si direbbe che Lupin sia scappato durante la traversata, cosa che non mi stupirebbe”.
“Forse ha preferito la morte al disonore, e si è buttato nell’Atlantico pur di non essere arrestato”.
“Non rida”, replicò irritata.
All’improvviso trasalii, e quando lei mi chiese il perché le dissi: “Vede quell’ometto anziano, in piedi all’estremità della passerella?”
“Con l’ombrello e un redingote verde oliva?”
“Si. E’ Ganimard”.
“Ganimard?”
“Proprio lui, il famoso poliziotto che ha giurato di arrestare Lupin. Capisco perché non siano arrivati messaggi di alcun genere dall’America: Ganimard stava già lì, e non voleva che qualcun altro si occupasse delle sue inchieste”.
“Allora è certo che Arsène Lupin verrà preso?”
“Chissà? Sembra che persino Ganimard lo abbia visto solo camuffato e truccato. A meno che non conosca con certezza il nome falso con cui è registrato a bordo…”
“Ah!, se potessi assistere all’arresto!”, disse lei con quella curiosità un po’ crudele tipica delle donne.
“Pazientiamo. Sicuramente Lupin ha già notato la presenza del suo nemico. Preferirà sbarcare in mezzo agli ultimi, quando l’occhio del vecchio gendarme comincerà ad essere stanco”.
Lo sbarco ebbe inizio. Appoggiato sul suo ombrello, aria indifferente, Ganimard sembrava non prestare attenzione alla gente che si affollava lungo le due balaustrate. Mi accorsi che un ufficiale di bordo alle sue spalle gli dava delle indicazioni, ogni tanto.
Il marchese di Raverdan, il maggiore Rawson, l’italiano Rivolta sfilarono assieme ad altri, tanti altri. E notai Rozaine che si avvicinava.
Povero Rozaine! Sembrava non essersi ancora rimesso dalla sua disavventura!
“Potrebbe essere lui, nonostante tutto”, mi disse miss Nelly. “Lei che ne pensa?”
“Penso che sarebbe interessante avere una fotografia dove compaiano assieme Rozaine e Ganimard. Prenda la mia macchina fotografica, io ho parecchio bagaglio addosso”.
Gliela diedi, ma troppo tardi. Rozaine era già andato. L’ufficiale di bordo aveva sussurrato qualcosa nelle orecchie a Ganimard, ma questi aveva alzato le spalle e Rozaine era passato.
Ma allora chi era Arsène Lupin?
“Già”, fece lei a voce alta, “Chi è?”
Erano rimaste una ventina di persone. Lei le fissava una ad una con il timore confuso che lui non facesse parte di questi venti.
Le dissi: “Non possiamo più aspettare”.
Lei avanzò. Io la seguivo. Ma non avevamo fatto neppure dieci passi che Ganimard ci fermò.
“E allora?”, gridai.
“Un istante monsieur, perché questa fretta?”
“Sto accompagnando la signorina”.
“Un istante”, ripeté Ganimard con voce autoritaria.
Mi squadrò bene e poi, guardandomi dritto negli occhi, chiese: “Arsène Lupin, giusto?”
Mi misi a ridere. “No, semplicemente Bernard d’Andréasy”.
“Bernard d’Andréasy è morto tre anni fa in Macedonia”.
“Se Bernard d’Andréasy fosse morto non sarei più di questo mondo. E non è così. Le mostro i miei documenti”.
“Sono i suoi. Mi piacerebbe sapere in che modo ne è venuto in possesso”.
“Lei è pazzo! Lupin si è imbarcato con un nome iniziante per R”.
“Si, un altro trucco, una falsa pista su cui lei ha spinto tutti quanti. Che furbone, lei è in gamba. Ma stavolta la fortuna le ha voltato le spalle. Forza Lupin, ammetta la verità”.
Esitai un attimo. Con una botta secca mi colpì sull’avambraccio destro. Lanciai un grido di dolore. Aveva centrato la cicatrice ancora dolorante di cui parlava il dispaccio.
Insomma, bisognava arrendersi. Mi voltai verso miss Nelly, che ascoltava nervosa, impallidita.
Il suo sguardo incontrò il mio, poi si abbassò verso la Kodak che le avevo dato. Lei fece un gesto brusco, ed ebbi l’impressione, anzi la certezza che aveva capito tutto. Si, dentro quella scatolina foderata di zigrino nero, nella cavità di quell’oggetto che avevo precauzionalmente messo nelle sue mani prima che Ganimard mi arrestasse, si trovavano i ventimila franchi di monsieur Rozaine, le perle e i diamanti di lady Jerland.
Lo giuro: in quel momento solenne, mentre Ganimard e due dei suoi uomini mi circondavano, tutto mi era indifferente, anche l’arresto e l’ostilità della gente intorno a me. Una sola cosa mi premeva: la decisione che stava per prendere miss Nelly riguardo quell’oggetto che le avevo affidato. Rappresentava una prova concreta e decisiva contro di me. Ma Nelly avrebbe fornito ai gendarmi quella prova? Mi avrebbe tradito? Sarei stato perduto per causa sua? Si sarebbe comportata come un nemico spietato, o come una donna che ricorda ogni cosa e che addolcisce il disprezzo con qualche indulgenza e un po’ d’involontaria simpatia?
Mi passò davanti. La salutai senza pronunciare una parola. Confusa in mezzo agli altri viaggiatori si avvicinò alla passerella con la mia Kodak tra le mani.
Non osa farlo in pubblico, non c’è dubbio, pensai. Fra un’ora o anche meno consegnerà l’oggetto.
Ma arrivata al centro della passerella, simulando un movimento maldestro lo fece cadere nell’acqua tra il muro della banchina e la fiancata della nave.
Poi la vidi allontanarsi.
La sua graziosa silhouette sparì in mezzo alla folla, apparve di nuovo e scomparve definitivamente.
Per un istante restai immobile, provando tristezza e un dolce languore. Poi, con grande sorpresa di Ganimard sospirai: “Proprio un peccato che io non sia un uomo onesto…”


Fu così che, durante una serata invernale, Arsène Lupin mi raccontò la storia del suo arresto. Una combinazione di eventi - che prima o poi narrerò per iscritto - aveva fatto sì che nascesse tra di noi un legame di… posso azzardare la parola ‘amicizia’? Si, io credo che Lupin mi onori con un qualche sentimento di amicizia, ed è a causa di questa amicizia che talvolta viene a farmi visita all’improvviso, riempiendo il silenzio del mio studio con la sua allegria giovanile, la luce della sua vita ardente, il suo piacevole umore al quale il destino riserva solo favori e sorrisi.
Una sua descrizione? E come potrei farla? Venti volte ho visto Arsène Lupin, e venti volte mi è apparsa una persona diversa… o piuttosto era sempre la stessa persona, di cui venti specchi diversi mi hanno ogni volta inviato delle immagini deformate, ciascuna coi suoi occhi, con il suo corpo, la sua gestualità, il suo profilo e il suo carattere specifico.
“Io stesso” mi ha detto una volta “non so più bene chi sono. Allo specchio non mi riconosco più”.
Una battuta ovviamente, un paradosso, ma è la verità agli occhi di coloro che lo incontrano ignorando le sue infinite risorse, la sua pazienza, la sua arte nel travestirsi, la sua prodigiosa facoltà di trasformare persino le proporzioni del suo volto e di alterare addirittura il rapporto fra i lineamenti.
“Perché”, mi ha detto anche “dovrei avere un aspetto esteriore definito? Perché non dovrei evitare il pericolo di una personalità sempre identica? Bastano le mie azioni a definirmi”.
E ha precisato con una punta di orgoglio: “Tanto meglio se non si potrà mai dire con certezza: quello è Arsène Lupin. L’essenziale è che si possa dire senza timore di sbagliarsi: questo lo ha fatto Arsène Lupin”.
Ciò che proverò a ricostruire sono alcuni di questi fatti, di queste avventure, grazie alle confidenze che lui mi ha gentilmente concesso nel corso di alcune serate invernali trascorse nel mio studio…

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