Proprio così, non mi interessava vedere la mia salma portata via. A essere sinceri non ci ho neppure pensato. Questa è una considerazione che ho fatto un po’ di tempo dopo. In quel momento mi sono semplicemente allontanato per comprendere meglio.
Immagina: sei appena diventato un fantasma, non vorresti capire qualcosa di più di quello che puoi fare o non fare in questa tua nuova condizione? E allora vai in giro, provi a verificare cosa è cambiato, fai qualcosa tanto per vedere che succede.
Ti metti a camminare lungo la passeggiata che conduce al parcheggio, la stessa che avresti percorso se quel tizio in fuoristrada ti avesse mancato. Camminare, si, è la parola giusta. Sarai pure un fantasma, ma ti percepisci ancora nel modo in cui ti sei sempre percepito da vivo, con gambe che ciondolano, piedi che toccano terra (anche se non senti nulla), la testa che ruota in vari direzioni per osservare le solite cose che già sai: la fila di alberi a sinistra, il muretto a destra, il palazzo giallo accanto al parcheggio. C’è la tua macchina a pochi metri. Ci puoi entrare? I fantasmi dovrebbero passare attraverso i muri. Fai una prova, dai.
La tua mano si allunga verso il vetro. Lo tocca, lo… No, scompare. La tua mano affonda in un’invisibile nulla davanti al finestrino e svanisce. Ormai sei arrivato sino al gomito. La spalla. Anche la faccia è quasi a contatto col vetro, ma non riesce a oltrepassarlo. E’ come se fossi diventato una cosa unica col finestrino, vedi l’interno della tua macchina, ma non puoi andare oltre. E se provassi a rompere il vetro?
Colpisci!
Niente, il tuo pugno sparisce nel vetro, nella lamiera, ovunque provi a sfondare. Sei inconsistente, incorporeo. Però non puoi passare attraverso lo sportello.
Ma allora cosa sei diventato?
Sei un fantasma ma non puoi passare attraverso i muri, sei morto ma non puoi vedere gli altri morti. Non sei in paradiso, non sei all’inferno. Sei ancora nel mondo che conoscevi ma è come se non ne facessi più parte.
Cosa sei?
Io mi sono posto la domanda per pochi secondi, ma ho deciso di lasciar stare. Sarà capitato anche a te di trovarti di fronte a quesiti talmente imbarazzanti che l’unica risposta che ti è sembrata valida è stata il classico ‘Boh, meglio non pensarci’, no?
Ecco, una cosa simile. Anche da vivo avevo un atteggiamento del genere, evidentemente certe abitudini non si perdono neppure da morto.
‘Meglio non pensarci’, è sempre stata la mia filosofia esistenziale.
Ho continuato a muovermi lungo la passeggiata e riflettevo su quel che vedevo.
Il palazzo giallo era avvolto da una nuvola che sembrava sorgere dalla strada, anche se ovviamente era impossibile. Sovrastava tutto l’edificio, e anche il caseggiato accanto. Vedendo quella nube bianca che sembrava una spuma compatta e leggera sotto l’azzurro del cielo mi è venuta voglia di provare andarci sopra, come se potessi volare. Perché non fare una prova?
Il muretto dava sulla ferrovia, trenta metri più in basso. Sono montato in piedi e mi sono buttato nel vuoto. Da vivo sarei morto, da morto magari potevo capire meglio la mia condizione. Tornare vivo purtroppo no, ma volare magari si.
Salto!
Nulla, nessuna capacità di fluttuare nell’aria. Solo una luce accecante, e un attimo dopo ero sdraiato accanto al binario. Naturalmente non mi ero fatto male, però non avevo neppure provato la sensazione di aver volato, di essermi librato in aria, di essere precipitato verso il basso. Era come se mi fossi materializzato direttamente trenta metri più in basso.
E mi trovavo anche lontano dal piano stradale. Ho dovuto percorrere un bel pezzo a piedi prima di raggiungere un punto in cui il livello della ferrovia si riallineava con quello della città.
Di fronte c’era il Grand Hotel.
Cerco di farti capire il mio ragionamento: se sei diventato uno spirito incorporeo e nessuno ti può vedere e sentire, è come se fossi diventato l’uomo invisibile, perciò puoi entrare dove ti pare. Non riesci a passare attraverso i muri, devi comunque usare la porta, ma puoi accedere in luoghi che da vivo ti erano vietati. E io ero stato sempre incuriosito dall’albergo a cinque stelle di fronte alle terme.
Mi fermavo spesso ad ammirare la facciata e i suoi marmi lavorati, le decorazioni a mosaico, le sculture sui cornicioni. Mi azzardavo anche a sbirciare attraverso il portone con gli occhi puntati sul soffitto affrescato e sulle decorazioni alle pareti, ma non mi sognavo minimamente di entrare. Il portiere stava lì proprio per tenere lontani quelli come me, quei cittadini che non partecipano in modo attivo all’indotto del turismo termale e non hanno il diritto di ammirare gli interni di certi capolavori architettonici costruiti in forma esclusiva per la clientela benestante, quella che si può permettere di spendere cifre assurde per pernottare in un hotel e che pretende una serie di comodità, tra le quali il distacco da chi non appartiene al loro mondo. Niente vagabondi che entrano a chiedere l’elemosina, e neppure innocui curiosi attratti dalla creatività degli architetti e degli arredatori. Sparisci. Noi siamo di un altro livello, tu rimani fuori, stai lontano.
Infatti ero sempre rimasto fuori. Non appartenevo al loro livello, ovvio. Era stato il mio caso prima, e continuava ad esserlo. Dall’estraneità economica a quella esistenziale. Loro ancora viventi, io deceduto.
Ed ecco davanti a me il loro paradiso vietato, il Grand Hotel. Ho immaginato che l’ingresso fosse vietato anche ai fantasmi, ma poiché non era specificato sono entrato ugualmente. Il portiere mi ha guardato dritto negli occhi per osservare la turista che avevo alle spalle, che effettivamente era una gran bella ragazza. Calzoncini bianchi corti, gambe lunghissime, pelle liscia e lucente, camicetta celeste coperta sulla spalle dai suoi riccioli castani, lineamenti tondeggianti da quattordicenne, anche se sicuramente aveva almeno venti anni. L’ho seguita. In fondo non sapevo come muovermi in quel luogo.
I soffitti non erano solo affrescati, erano incorniciati da una fila di stucchi dorati veramente pregevoli. La scalinata che portava ai piani superiori era stata costruita in modo tale da far confluire la balaustra in metallo lavorato con alcune statuette in bronzo collocate sulle nicchie lungo le pareti. Uno spettacolo stupendo, di cui la ragazza sembrava disinteressarsi preferendo ammirare i propri sandali. Evidentemente quel luogo le era talmente famigliare che aveva finito con l’annoiarla, anche se trovarsi lì significava appartenere ad una minoranza privilegiata.
Il corridoio del secondo piano era coperto di pregiati tappeti, altro che quelle moquette da due soldi degli alberghi a due stelle. Le porte delle camere erano intagliate con sapienti lavori di ebanisteria, probabilmente una sola di quelle porte valeva più dell’intero arredamento di casa mia.
Casa mia, già. Difficilmente la mia ex moglie ci sarebbe tornata a vivere, e i nostri figli erano ancora troppo giovani. Quasi certamente sarebbe stata affittata a qualcuno, il mio letto sarebbe diventato il giaciglio di un estraneo. Tutto quel che avevo accumulato in anni di lavoro sarebbe servito solo a far apporre l’aggettivo “ammobiliato” accanto alla frase “affittasi appartamento”.
Intanto la ragazza aveva spalancato uno di quei capolavori di ebanisteria per accomodarsi nella suite n. 9, e ho pensato che in fondo sarebbe stato interessante vederla.
La suite intendo. Però ho visto anche la ragazza, perché ha cominciato subito a spogliarsi.
Un corpo perfetto. Mai visto una donna così bella, completamente nuda, a pochi passi da me. La mia ex e Antonella possono essere nude, ma mai belle.
Dopo pochi secondi aveva azionato la doccia. Io mi sono ritrovato ad osservare attentamente le pareti, le stampe in stile fine ‘800 appese su ogni lato, gli armadi di ciliegio, e la pelle bagnata di quella cliente.
Guardare senza poter toccare. Da vivo avrei sospirato, ma da morto non cambiava molto. Ammiravo quel corpo così come ammiravo gli arredi, contemplazione di bellezza senza alcun altro scopo che la contemplazione in se stessa.
Il rumore della porta che si apriva mi ha distratto.
L’uomo è entrato di soppiatto, avvicinandosi alla doccia nel silenzio più assoluto. Ho immaginato che fosse il fidanzato che voleva farle uno scherzo, ma mi sbagliavo. Appena è giunto alle sue spalle ha aperto di colpo lo scorrevole di plastica e l’ha afferrata alla gola. La ragazza ha esalato un grido di terrore che si è confuso col crepitio dell’acqua che cadeva sul marmo, subito soffocato dal coltello che le scorreva lungo la gola. L’uomo l’ha adagiata sul piatto della doccia in posizione seduta, con il getto d’acqua che continuava a scorrerle addosso lavando via il rosso del sangue che colava dal taglio sulla carotide.
Io stavo lì, immobile, spettatore di un omicidio a sangue freddo che non capivo.
Avrei dovuto fare qualcosa. Ma cosa?
Tu come ti saresti comportato? Almeno un tentativo di fermarlo l’avresti abbozzato? Magari una corsa fuori dalla stanza a chiedere aiuto?
Beh, non puoi. La porta è stata chiusa, tu non puoi aprirla, e non puoi passare attraverso le mura anche se sei un fantasma. E se per ipotesi potessi uscire dalla stanza, che cambierebbe?
Pensa: corri al primo piano e ti metti a urlare
-Aiuto!! Hanno ucciso una cliente nella stanza 9!!
Nessuno risponde, perché non possono né sentirti né vederti. Il portiere guarda la gente che passa, il ragazzo alla reception legge il giornale, e non hanno idea che a pochi metri di distanza stia avvenendo un omicidio.
Lo so che tu ci vuoi almeno provare, fare un tentativo, ma io preferisco lasciar stare. Perché so che sarebbe inutile. Ormai sono morto da più di un’ora, ho già capito cose che tu al momento non puoi immaginare perché… beh, perché sei ancora vivo. Da vivo è normale intervenire quando si assiste a un atto di violenza. Se tu assisti a un episodio del genere provi a fermare l’omicida, vero? Almeno chiedi aiuto, giusto? Non scappi via facendo finta di non vedere. Io invece ormai sono in questo stato di impossibilità, e ne sono pienamente consapevole. Lo sono stato già nel momento in cui assistevo al delitto. Ero cosciente di non poter fare assolutamente nulla, al massimo lo spettatore inerte.
Un uomo ha ammazzato una donna. Capita. Leggevo spesso notizie del genere sul quotidiano, o su internet, e giravo pagina. Vederlo coi propri occhi dopo che sei diventato un fantasma ti trasmette una sensazione simile. Prendi nota e basta. Non puoi pretendere di più.
Magari vorresti provare dispiacere, orrore, sdegno. Invece resti impassibile.
O più specificamente: io mi sentivo impassibile, e privo di sensi di colpa. Niente pietà e nessuna vergogna.
Un pensiero però ce l’ho avuto: mi sono chiesto se avrei visto il fantasma di quella ragazza trucidata.
Se ci pensi bene è una considerazione ovvia: ormai sei morto, le cose dei vivi appartengono ad un mondo che non è più il tuo. Ma quella bella giovane è appena stata strappata da quel mondo e precipitata in quello di chi ha cessato di esistere. Peraltro in modo violento, inatteso, proprio come te. Nel tuo caso non c’era volontarietà, è stata un disgrazia, però resta un omicidio.
-Ragazza, puoi sentirmi? Mi hanno ammazzato poco fa, proprio come è successo a te. Mi senti?
Purtroppo il corpo resta fermo nella doccia, e nessuno spirito emerge dalle carni. Nessuna voce, solo i passi leggeri dell’assassino che apre la porta, la richiude al volo e si allontana.
Ecco, avresti dovuto approfittarne per uscire. Non ci hai pensato (e neanche io in quel momento). Ora siamo nuovamente chiusi dentro la stanza n. 9. Ma in fondo era più importante verificare se dalla ragazza sorgesse un fantasma. Purtroppo la nostra speranza è stata delusa. Riproviamo, tanto per non lasciare nulla di intentato:
-C’è nessuno?
Apparentemente no.
Sei confuso, vero? Forse esiste qualcosa dopo la vita solo per te. Oppure gli altri vanno a finire in qualche altro posto e tu non puoi vederli… Chi lo sa. Stai facendo queste considerazioni senza preoccuparti. Niente riesce a preoccuparti. E’ una sensazione di distacco così profonda da non poter essere spiegata, vero?
Esatto, non può essere spiegata. E’ così, te lo posso garantire per esperienza diretta.
Intanto mi ero accorto che la finestra era accostata, e un colpo di vento l’aveva spalancata, quindi potevo buttarmi giù di sotto e uscire dall’hotel.
Un salto, e all’improvviso sono ricomparso steso a terra, sul lato della strada, con una moto che passava proprio in quell’istante. Mi ha attraversato con l’effetto di una ventata d’aria infuocata, una sensazione di un attimo che subito è scivolata via.
Sono rimasto fermo in mezzo all’incrocio, con macchine e autobus che mi travolgevano di continuo, a cercare di capire cosa potevo o, piuttosto, dovevo fare…
(CONTINUA)