I COLLOQUI
...reduce dall'Amore e della Morte
gli hanno mentito le due cose belle...
I
Venticinqu'anni!... Sono vecchio, sono
vecchio! Passò la giovinezza prima,
il dono mi lasciò dell'abbandono!
Un libro di passato, ov'io reprima
il mio singhiozzo e il pallido vestigio
riconosca di lei, tra rima e rima.
Venticinqu'anni! Medito il prodigio
biblico... guardo il sole che declina
già lentamente sul mio cielo grigio.
Venticinqu'anni!... Ed ecco la trentina
inquietante, torbida d'istinti
moribondi... ecco poi la quarantina
spaventosa, l'età cupa dei vinti,
poi la vecchiezza, l'orrida vecchiezza
dai denti finti e dai capelli tinti.
O non assai goduta giovinezza,
oggi ti vedo quale fosti, vedo
il tuo sorriso, amante che s'apprezza
solo nell'ora triste del congedo!
Venticinqu'anni!... Come piú m'avanzo
all'altra meta, gioventú, m'avvedo
che fosti bella come un bel romanzo!
II
Ma un bel romanzo che non fu vissuto
da me, ch'io vidi vivere da quello
che mi seguí, dal mio fratello muto.
Io piansi e risi per quel mio fratello
che pianse e rise, e fu come lo spetro
ideale di me, giovine e bello.
A ciascun passo mi rivolsi indietro,
curioso di lui, con occhi fissi
spiando il suo pensiero, or gaio or tetro.
Egli pensò le cose ch'io ridissi,
confortò la mia pena in sé romita,
e visse quella vita che non vissi.
Egli ama e vive la sua dolce vita;
non io che, solo nei miei sogni d'arte,
narrai la bella favola compita.
Non vissi. Muto sulle mute carte
ritrassi lui, meravigliando spesso.
Non vivo. Solo, gelido, in disparte,
sorrido e guardo vivere me stesso.
martedì 29 giugno 2010
lunedì 28 giugno 2010
Tremendo sospetto
Pochi giorni fa un simpatico signore che conosco bene, un pensionato ex militare con un discreto grado di cultura (magari cultura moooolto classica, anche vista l'età) mi ha rivelato "segretamente" che ha sempre avuto una passione nascosta per la scrittura, e ha voluto omaggiarmi con alcuni fogli dattiloscritti contenenti le sue poesie.
Ho ringraziato, ho letto le sue liriche e... vabbè, lasciamo perdere. Ingenue, banali, scontate (però non glielo ho detto in faccia, mi è mancato il coraggio, ho preso tempo dicendo che le valuterò con più calma).
Mentre sto pensando a quali perifrasi utilizzare per dirgli che fanno pena senza dirgli che fanno pena, mi è venuto un tremendo sospetto: rispetto alla pseudo-letteratura patetica di tanti pensionati volenterosi e casalinghe con slanci creativi, sono proprio così sicuro che i miei scritti siano migliori dei loro? E se invece quello patetico fossi io?...
.......
... E' lunedì, e il lunedì vedo tutto nero.
Ho ringraziato, ho letto le sue liriche e... vabbè, lasciamo perdere. Ingenue, banali, scontate (però non glielo ho detto in faccia, mi è mancato il coraggio, ho preso tempo dicendo che le valuterò con più calma).
Mentre sto pensando a quali perifrasi utilizzare per dirgli che fanno pena senza dirgli che fanno pena, mi è venuto un tremendo sospetto: rispetto alla pseudo-letteratura patetica di tanti pensionati volenterosi e casalinghe con slanci creativi, sono proprio così sicuro che i miei scritti siano migliori dei loro? E se invece quello patetico fossi io?...
.......
... E' lunedì, e il lunedì vedo tutto nero.
venerdì 25 giugno 2010
Citazione di Joseph Conrad
Solo i giovani hanno momenti simili. Non penso ai giovanissimi. No, i giovanissimi, propriamente parlando, non hanno momenti. E' privilegio della prima giovinezza vivere in anticipo sui propri giorni, in tutta la bella continuità di speranze che non conosce pause o introspezioni. Si chiude dietro di noi il cancelletto della pura fanciullezza - e ci si addentra in un giardino incantato. Persino le ombre vi risplendono promettenti. Ogni svolta del sentiero è piena di seduzioni […] Sì, si procede. Ed anche il tempo procede finché non si scorge dinanzi a noi una linea d'ombra che ci avverte che anche la regione della prima giovinezza deve essere lasciata alle spalle. E' questo il periodo della vita in cui si presentano i momenti di cui parlavo […] i momenti di stanchezza, di tedio, di insoddisfazione. I momenti della sconsideratezza.
(Joseph Conrad, La linea d’ombra)
(Joseph Conrad, La linea d’ombra)
mercoledì 23 giugno 2010
(A)sociale su quattro ruote
Ebbene si, quando c'è da viaggiare in auto dimostro tutto il mio atteggiamento da loner...
Vita (a)sociale – In macchina
Quando si va insieme ad altre persone può capitare di farlo nella macchina di proprietà dell’altro. E visto che la macchina è sua, è legittimo che la musica la metta lui.
Il mio problema è che sono insofferente in modo esagerato a certa musica.
Magari capita il fissato di Lucio Dalla:
Carro amicco ti scriiiivo cossì mi distraggo un po’
Una persona sociale non creerebbe problemi. Io invece posso reggere al massimo cinque minuti, poi gli consiglio educatamente (beh, forse non proprio educatamente) di far controllare il pavimento della macchina da un carrozziere, perché le mie palle sono crollate a terra e lo hanno sfondato.
Se poi becco uno che ha la fissa per Gigi D’Alessio o Nino D’Angelo, non gli faccio nessuna domanda. Semplicemente, mi avvento come un isterico sul lettore cd, lo spengo, e in casi estremi estraggo un coltello minacciandolo di morte nel caso in cui dovesse azzardarsi a farlo ripartire.
La cosa potrebbe essere ovviata andando sempre con la mia macchina, così lo stereo rimarrebbe rigorosamente spento senza costringere nessuno ad ascolti musicali indesiderati. Il guaio sono i cellulari. Io guido tranquillo, rilassato, ma al compagno di viaggio squilla improvvisamente il telefonino…
Carro amicco ti scriiiivo cossì mi distraggo un po’
“Quasi mi dispiace rispondere”, spiega lui facendo passare i secondi, “E’ così bella questa canzone che non mi stancherei mai di ascoltarla”.
Purtroppo il mio stipendio è molto basso. Non posso permettermi di comprare ogni volta un cellulare nuovo a tutti quelli a cui l’ho strappato di mano per gettarlo fuori dal finestrino.
Morale: per motivi economici (e soprattutto penali) preferisco viaggiare da solo.
Vita (a)sociale – In macchina
Quando si va insieme ad altre persone può capitare di farlo nella macchina di proprietà dell’altro. E visto che la macchina è sua, è legittimo che la musica la metta lui.
Il mio problema è che sono insofferente in modo esagerato a certa musica.
Magari capita il fissato di Lucio Dalla:
Carro amicco ti scriiiivo cossì mi distraggo un po’
Una persona sociale non creerebbe problemi. Io invece posso reggere al massimo cinque minuti, poi gli consiglio educatamente (beh, forse non proprio educatamente) di far controllare il pavimento della macchina da un carrozziere, perché le mie palle sono crollate a terra e lo hanno sfondato.
Se poi becco uno che ha la fissa per Gigi D’Alessio o Nino D’Angelo, non gli faccio nessuna domanda. Semplicemente, mi avvento come un isterico sul lettore cd, lo spengo, e in casi estremi estraggo un coltello minacciandolo di morte nel caso in cui dovesse azzardarsi a farlo ripartire.
La cosa potrebbe essere ovviata andando sempre con la mia macchina, così lo stereo rimarrebbe rigorosamente spento senza costringere nessuno ad ascolti musicali indesiderati. Il guaio sono i cellulari. Io guido tranquillo, rilassato, ma al compagno di viaggio squilla improvvisamente il telefonino…
Carro amicco ti scriiiivo cossì mi distraggo un po’
“Quasi mi dispiace rispondere”, spiega lui facendo passare i secondi, “E’ così bella questa canzone che non mi stancherei mai di ascoltarla”.
Purtroppo il mio stipendio è molto basso. Non posso permettermi di comprare ogni volta un cellulare nuovo a tutti quelli a cui l’ho strappato di mano per gettarlo fuori dal finestrino.
Morale: per motivi economici (e soprattutto penali) preferisco viaggiare da solo.
lunedì 21 giugno 2010
Troppo arduo per me
Vi sono alcune opere letterarie e artistiche che sono troppo difficili da capire per me, lo ammetto.
Poiché l’erudizione mi appassiona, quando mi trovo di fronte a opere ardue e complesse cerco di approfondire, di leggere le opinioni dei critici per riuscire a cogliere quel qualcosa che mi sfugge. E in certi casi mi si schiude davanti agli occhi una nuova visione della creatività umana.
Altre volte però questo sforzo cognitivo si conclude con un rassegnato “Mi arrendo”.
Mi è capitato con questa poesia di Andrea Zanzotto, celebrata dalla critica e presente nella mia antologia scolastica di letteratura italiana moderna e contemporanea:
OLTRANZA OLTRAGGIO
Salti saltabecchi friggendo puro-pura
nel vuoto spinto outrè
ti fai più in là
intangibile-tutto sommato-
tutto sommato
tutto
sei più in là
ti vedo nel fondo della mia serachiusascura
ti identifico tra i non i sic i sigh
ti disidentifico
solo no solo sì solo
piena di punte immite frigida
ti fai più in là
e sprofondi e strafai in te e sempre più in te
fotti il campo
decedi verso
nel tuo sprofondi
brilli feroce inconsutile nonnulla
l'esplodente l'eclatante e non si sente
nulla non si sente
no sei saltata più in là
ricca saltabeccante là
L'oltraggio
Ho letto attentamente tutto l’apparato critico, ma continua a sembrarmi un’espressione talmente soggettiva dell’autore da risultare esageratamente oscura per il lettore (o meglio: per questo povero lettore frastornato chiamato Ariano Geta).
Qualcosa di simile mi accade coi quadri di Jackson Pollock, pittore astrattista americano molto celebrato da certi esperti d’arte. Io faccio del mio meglio, ma le sue opere non mi trasmettono nulla...
Evidentemente è sin troppo vero il detto latino per cui de gustibus non est disputandum.
Non bisogna mai fermarsi al primo impatto e occorre sempre provare a capire meglio, certo. Però alla fine una cosa piace o non piace a causa del proprio innato, personale, soggettivo, discutibile ma inevitabilmente connaturato senso estetico. Non si può ingannare il proprio istinto, neppure con anni e anni di letture, studi e approfondimenti accademici.
Poiché l’erudizione mi appassiona, quando mi trovo di fronte a opere ardue e complesse cerco di approfondire, di leggere le opinioni dei critici per riuscire a cogliere quel qualcosa che mi sfugge. E in certi casi mi si schiude davanti agli occhi una nuova visione della creatività umana.
Altre volte però questo sforzo cognitivo si conclude con un rassegnato “Mi arrendo”.
Mi è capitato con questa poesia di Andrea Zanzotto, celebrata dalla critica e presente nella mia antologia scolastica di letteratura italiana moderna e contemporanea:
OLTRANZA OLTRAGGIO
Salti saltabecchi friggendo puro-pura
nel vuoto spinto outrè
ti fai più in là
intangibile-tutto sommato-
tutto sommato
tutto
sei più in là
ti vedo nel fondo della mia serachiusascura
ti identifico tra i non i sic i sigh
ti disidentifico
solo no solo sì solo
piena di punte immite frigida
ti fai più in là
e sprofondi e strafai in te e sempre più in te
fotti il campo
decedi verso
nel tuo sprofondi
brilli feroce inconsutile nonnulla
l'esplodente l'eclatante e non si sente
nulla non si sente
no sei saltata più in là
ricca saltabeccante là
L'oltraggio
Ho letto attentamente tutto l’apparato critico, ma continua a sembrarmi un’espressione talmente soggettiva dell’autore da risultare esageratamente oscura per il lettore (o meglio: per questo povero lettore frastornato chiamato Ariano Geta).
Qualcosa di simile mi accade coi quadri di Jackson Pollock, pittore astrattista americano molto celebrato da certi esperti d’arte. Io faccio del mio meglio, ma le sue opere non mi trasmettono nulla...
Evidentemente è sin troppo vero il detto latino per cui de gustibus non est disputandum.
Non bisogna mai fermarsi al primo impatto e occorre sempre provare a capire meglio, certo. Però alla fine una cosa piace o non piace a causa del proprio innato, personale, soggettivo, discutibile ma inevitabilmente connaturato senso estetico. Non si può ingannare il proprio istinto, neppure con anni e anni di letture, studi e approfondimenti accademici.
Etichette:
ingenuità,
varie letterarie,
varie personali
venerdì 18 giugno 2010
Librivissuti - Camera con vista
Camera con vista, famoso anche per il film di James Ivory (regista innamorato dei romanzi di Forster, li ha trasposti quasi tutti in film), è un libro che mi ha sempre trasmesso una particolare fiducia, e per questo lo considero un mio “librovissuto”.
La trama è semplice, e neppure troppo originale: Lucy, giovane ragazza perbene, durante le sue vacanze a Firenze conosce casualmente il connazionale George Emerson, problematico e in preda a una crisi eistenziale che gli fa vedere solo il brutto del mondo e della vita. Suo padre prova a sostenerlo, e parla apertamente dei mali di suo figlio. Più in generale, gli Emerson sono persone aperte, spontanee, mentre Lucy e sua cugina Charlotte mantengono quella fredda esteriorità tipica di una certa borghesia inglese di inizio novecento.
Ma tra Lucy e George nasce una sorta di colpo di fulmine, che però si limita a un bacio, e che soprattutto fa emergere la razionalità di Lucy, spaventata dalla propria reazione emotiva e decisa a mantenere il proprio autocontrollo. Lei e Charlotte partono anticipatamente da Firenze per non incontrare più gli Emerson.
Mesi dopo, Lucy si è fidanzata con Cecil, altro tipico borghese di stampo vittoriano, freddo e disdegnosamente intellettuale. George sembra solo un lontano ricordo, fino al giorno in cui arrivano i nuovi proprietari della casa vicina alla sua: proprio gli Emerson.
George fa subito amicizia con Freddy, il fratello minore di Lucy. L’entusiasmo giovanile di Freddy contagia George, che ritrova la gioia di vivere e sembra rinato rispetto ai giorni di Firenze. E non ha affatto dimenticato Lucy, anzi…
Per Lucy diventa la “solita” storia: razionalità contro istinto, calcolo ragionato contro trasporto sentimentale, o molto più semplicemente l’asettico Cecil contro l’emotivo George.
Quante volte nella vita ci si pongono dubbi, si fanno un sacco di ragionamenti, si dice “Mi piacerebbe, però meglio non fare follie…”
Senza clamori, in modo difficoltoso e non indolore, Lucy capirà ciò che è giusto fare. E Forster sa raccontare questa scelta con un’acutezza psicologica straordinaria, basata molto sui gesti esteriori e sul “non detto” più che su spiegazioni esplicite. Memorabili poi alcune scene che possono competere con quelle del film, pur essendo semplici parole scritte e potendo contare “solo” sull’immaginazione del lettore.
Un romanzo ormai classico che a suo tempo mi ridiede la serenità.
La trama è semplice, e neppure troppo originale: Lucy, giovane ragazza perbene, durante le sue vacanze a Firenze conosce casualmente il connazionale George Emerson, problematico e in preda a una crisi eistenziale che gli fa vedere solo il brutto del mondo e della vita. Suo padre prova a sostenerlo, e parla apertamente dei mali di suo figlio. Più in generale, gli Emerson sono persone aperte, spontanee, mentre Lucy e sua cugina Charlotte mantengono quella fredda esteriorità tipica di una certa borghesia inglese di inizio novecento.
Ma tra Lucy e George nasce una sorta di colpo di fulmine, che però si limita a un bacio, e che soprattutto fa emergere la razionalità di Lucy, spaventata dalla propria reazione emotiva e decisa a mantenere il proprio autocontrollo. Lei e Charlotte partono anticipatamente da Firenze per non incontrare più gli Emerson.
Mesi dopo, Lucy si è fidanzata con Cecil, altro tipico borghese di stampo vittoriano, freddo e disdegnosamente intellettuale. George sembra solo un lontano ricordo, fino al giorno in cui arrivano i nuovi proprietari della casa vicina alla sua: proprio gli Emerson.
George fa subito amicizia con Freddy, il fratello minore di Lucy. L’entusiasmo giovanile di Freddy contagia George, che ritrova la gioia di vivere e sembra rinato rispetto ai giorni di Firenze. E non ha affatto dimenticato Lucy, anzi…
Per Lucy diventa la “solita” storia: razionalità contro istinto, calcolo ragionato contro trasporto sentimentale, o molto più semplicemente l’asettico Cecil contro l’emotivo George.
Quante volte nella vita ci si pongono dubbi, si fanno un sacco di ragionamenti, si dice “Mi piacerebbe, però meglio non fare follie…”
Senza clamori, in modo difficoltoso e non indolore, Lucy capirà ciò che è giusto fare. E Forster sa raccontare questa scelta con un’acutezza psicologica straordinaria, basata molto sui gesti esteriori e sul “non detto” più che su spiegazioni esplicite. Memorabili poi alcune scene che possono competere con quelle del film, pur essendo semplici parole scritte e potendo contare “solo” sull’immaginazione del lettore.
Un romanzo ormai classico che a suo tempo mi ridiede la serenità.
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giovedì 17 giugno 2010
E se la selezione letteraria avesse commesso un errore?
Per secoli la scrittura è stata il privilegio di una ristretta elite, una minima quantità di uomini alfabetizzati che coincidevano con la classe dominante. I libri erano costosissimi, essendo fatti di preziosa pergamena e necessitando del paziente lavoro degli amanuensi che, lettera dopo lettera, dovevano trascrivere pazientemente l’intero testo di un’opera con grande perizia calligrafica.
La scoperta della carta e l’idea di utilizzare i caratteri mobili e il torchio da stampa favorirono una diminuzione del prezzo dei libri. L’ascesa della borghesia mercantile, e la nascita di una classe sociale alfabetizzata e desiderosa di creare una sua cultura più vicina alla realtà della propria vita, modificò le forme della scrittura. Si diffusero la novella e il romanzo in prosa, più facili da leggere ma anche da scrivere. Daniel Defoe, pur non essendo un accademico, riuscì a creare opere di grande interesse come ‘Robinson Crusoe’ e ‘Moll Flanders’, ma sicuramente non sarebbe stato in grado di comporre un poema in versi endecasillabi come altri autori suoi contemporanei fecero (ovviamente si trattava di uomini appartenenti a classi sociali più elevate, con lunghi anni di studio alle loro spalle e gigantesche biblioteche di classici a loro disposizione).
E’ in questa epoca – la fine del XVII secolo – che la produzione letteraria inizia ad aumentare, a crescere in quantità e a diversificarsi. Un processo che esplode nel XIX secolo, con la nascita “ufficiale” dello scrittore professionale, dell’editore che vende libri come un prodotto di consumo (concetto che avrebbe causato perplessità persino ai tempi di Defoe), della narrativa che non ha più scopi nobili come l’educazione o l’erudizione, ma può anche limitarsi ad essere un volgare “intrattenimento” per il lettore. Arrivano così categorie di libri disdegnate dagli intellettuali (romanzi gialli, rosa, erotici, fantascienza) e si afferma la necessità del “filtro” operato dalla critica letteraria, che decide quali autori meritino di essere ricordati nelle antologie scolastiche ed accademiche.
Questo “filtro” ha fatto finire nel dimenticatoio migliaia di dime-novels, pulp fiction, romanzi d’appendice, feuilletons, e tutta la gran massa degli scritti “popolari” ritenuti indegni della memoria collettiva.
In linea di massima credo che la selezione operi correttamente, ma mi viene un dubbio che può generare un quesito interessante: e se la selezione avesse commesso qualche errore? O anche, per dire: se una serie di sfortunate circostanze avessero contribuito a far accantonare dei libri che invece al lettore di oggi piacerebbero di più rispetto a certi romanzi considerati “capolavori” imprescindibili?
Potrebbe esistere in qualche biblioteca di Londra, Parigi, New York (o Roma, perchè no?) un libro straordinario ma completamente ignorato?
La scoperta della carta e l’idea di utilizzare i caratteri mobili e il torchio da stampa favorirono una diminuzione del prezzo dei libri. L’ascesa della borghesia mercantile, e la nascita di una classe sociale alfabetizzata e desiderosa di creare una sua cultura più vicina alla realtà della propria vita, modificò le forme della scrittura. Si diffusero la novella e il romanzo in prosa, più facili da leggere ma anche da scrivere. Daniel Defoe, pur non essendo un accademico, riuscì a creare opere di grande interesse come ‘Robinson Crusoe’ e ‘Moll Flanders’, ma sicuramente non sarebbe stato in grado di comporre un poema in versi endecasillabi come altri autori suoi contemporanei fecero (ovviamente si trattava di uomini appartenenti a classi sociali più elevate, con lunghi anni di studio alle loro spalle e gigantesche biblioteche di classici a loro disposizione).
E’ in questa epoca – la fine del XVII secolo – che la produzione letteraria inizia ad aumentare, a crescere in quantità e a diversificarsi. Un processo che esplode nel XIX secolo, con la nascita “ufficiale” dello scrittore professionale, dell’editore che vende libri come un prodotto di consumo (concetto che avrebbe causato perplessità persino ai tempi di Defoe), della narrativa che non ha più scopi nobili come l’educazione o l’erudizione, ma può anche limitarsi ad essere un volgare “intrattenimento” per il lettore. Arrivano così categorie di libri disdegnate dagli intellettuali (romanzi gialli, rosa, erotici, fantascienza) e si afferma la necessità del “filtro” operato dalla critica letteraria, che decide quali autori meritino di essere ricordati nelle antologie scolastiche ed accademiche.
Questo “filtro” ha fatto finire nel dimenticatoio migliaia di dime-novels, pulp fiction, romanzi d’appendice, feuilletons, e tutta la gran massa degli scritti “popolari” ritenuti indegni della memoria collettiva.
In linea di massima credo che la selezione operi correttamente, ma mi viene un dubbio che può generare un quesito interessante: e se la selezione avesse commesso qualche errore? O anche, per dire: se una serie di sfortunate circostanze avessero contribuito a far accantonare dei libri che invece al lettore di oggi piacerebbero di più rispetto a certi romanzi considerati “capolavori” imprescindibili?
Potrebbe esistere in qualche biblioteca di Londra, Parigi, New York (o Roma, perchè no?) un libro straordinario ma completamente ignorato?
martedì 15 giugno 2010
Edmund Dulac
Edmund Dulac (1882-1953) è stato uno dei più celebri illustratori di libri della prima metà del XX secolo, e in effetti i suoi disegni sono straordinariamente poetici, originali ed evocativi.
Vissuto in un’epoca in cui il colonialismo (soprattutto inglese e francese) faceva partire quel particolare complesso di compenetrazione fra la cultura europea e quella delle “colonie”, attinse a piene mani alla tradizione grafica delle terre d’oriente che cominciavano a essere molto meno misteriose di quanto fossero state sino al secolo precedente.
Nelle sue illustrazioni si possono trovare i tratti tipici delle miniature persiane del XVIII secolo e delle antiche stampe indù, ma anche i motivi decorativi simili a intarsi della tradizione arabo-islamica. Il tutto reinterpretato in chiave occidentale (dopo tutto l’India misteriosa e il Medio Oriente favoloso sono sempre stati due fonti di ispirazione per gli artisti europei).
Dulac applicò questo stile particolarissimo anche a fiabe tradizionali del vecchio continente (ad esempio, in basso compare il re del mare della "Sirenetta" di Andersen, interpretato in modo assai diverso rispetto alle illustrazioni tradizionali).
Immagini che - seppur ormai datate e superate da una concezione estetica assai diversa - mantengono una bellezza unica.
Vissuto in un’epoca in cui il colonialismo (soprattutto inglese e francese) faceva partire quel particolare complesso di compenetrazione fra la cultura europea e quella delle “colonie”, attinse a piene mani alla tradizione grafica delle terre d’oriente che cominciavano a essere molto meno misteriose di quanto fossero state sino al secolo precedente.
Nelle sue illustrazioni si possono trovare i tratti tipici delle miniature persiane del XVIII secolo e delle antiche stampe indù, ma anche i motivi decorativi simili a intarsi della tradizione arabo-islamica. Il tutto reinterpretato in chiave occidentale (dopo tutto l’India misteriosa e il Medio Oriente favoloso sono sempre stati due fonti di ispirazione per gli artisti europei).
Dulac applicò questo stile particolarissimo anche a fiabe tradizionali del vecchio continente (ad esempio, in basso compare il re del mare della "Sirenetta" di Andersen, interpretato in modo assai diverso rispetto alle illustrazioni tradizionali).
Immagini che - seppur ormai datate e superate da una concezione estetica assai diversa - mantengono una bellezza unica.
lunedì 14 giugno 2010
Citazione di Edward Morgan Forster
Tutti e tre scesero in fretta le scale, per trovare non il tipo allegro che si aspettavano, ma un giovane incolore, monotono, che aveva già quegli occhi luttuosi su baffi spioventi che sono tanto comuni a Londra, e che ossessionano alcune strade della città come spettri accusatori. Si poteva immaginare che fosse la terza generazione, il nipote del pastore e del contadino, che la civiltà aveva attirato in città; uno dei mille e mille che hanno perduto la vita del corpo e non sono riusciti a raggiungere la vita dello spirito. Sopravvivevano in lui tratti […] della primitiva bellezza, e Margaret […] si domandava se valesse la pena di rinunciare alla gloria dell'animale per un abito di città e un paio di idee.
(Edward Morgan Forster, Casa Howard)
(Edward Morgan Forster, Casa Howard)
sabato 12 giugno 2010
Vita (a)sociale
La solitudine è una brutta cosa, soprattutto quando è forzata e non voluta da chi la subisce. Però ci sono anche delle occasioni in cui è deliberatamente cercata. Esistono i cosiddetti 'orsi', coloro che tendono a stare spesso da soli. In America vengono definiti loner, parola con una connotazione negativa che però si può applicare anche a personaggi di grande spessore artistico o letterario come il pittore John William Godward o lo scrittore Guido Morselli.
In certe situazioni io tendo a comportarmi da loner, lo ammetto. Non sono un campione di socialità. Voglio provare a spiegare il perché di questo mio atteggiamento senza prendermi troppo sul serio, perciò ne farò l’argomento di un altro divertissment, più o meno come quelli già scritti sui centri commerciali e i quarant’anni imminenti.
Vita (a)sociale – Appuntamenti
Quando si fa qualcosa (qualunque cosa) insieme a un’altra persona, il primo passo è darsi un appuntamento. E già qui partono le mie idiosincrasie.
Se mi dicono: “Ci vediamo alle nove”, io alle nove e un minuto arrivo al luogo dell’appuntamento.
Il problema è la controparte. Spesso becco il ritardatario, quello che mentre stai uscendo di casa alle nove meno un quarto ti telefona per dirti: “Ho avuto un contrattempo, ci vediamo alle nove e mezza”, e riattacca senza dire altro. Una persona sociale non ci farebbe caso, io invece maledico la mezz’ora di sonno che ho perso, arrivo alle 9:31 e inizio a bestemmiare mentre aspetto l’altro fino alle 9:40, poi fino alle 9:50, poi fino alle 10:00 (se tutto va bene, anzi, male).
“Scusami per il ritardo, ma mi è successo…”
Non me ne frega niente. Adoro le storie di fantasia, tranne quelle di coloro che - su mille appuntamenti - collezionano mille ritardi, ogni volta con una scusa diversa.
Va ancora peggio quando l’appuntamento è con un ondivago. Quelli mi mandano al manicomio.
“Ci vediamo domani alle nove?”, domando io.
“Beh, no facciamo alle dieci”.
Ore dieci, perfetto. Almeno me la prendo comoda. Peccato che alle otto e mezza del giorno dopo squilla il telefono e l’ondivago mi fa: “Ripensandoci, alle dieci è troppo tardi. Vediamoci alle nove come si era detto”.
Cazzo, adesso me lo dici? Sto ancora a letto!
“Dai, datti una mossa, ce la puoi fare!”
La persona sociale non ne farebbe un dramma, e si preparerebbe con comodità. Io invece mi sistemo in pochi minuti accelerando i vari passaggi (tipo fare colazione in 30 secondi e lavarmi nei 30 restanti per formare un minuto), e poi partenza, con indosso i primi vestiti che mi sono capitati fra le mani.
Alle 9.07 minuti arrivo all’appuntamento, con l’ondivago che mi fa lo sguardo cattivo per i sette minuti di ritardo. Ci avviamo, e alle 9.08 lui si ferma al bar.
“Devo fare colazione”.
Come sarebbe a dire che devi fare colazione? Mi fai correre come un matto e poi tu ti fermi al bar?
Ovviamente lì incontra un suo amico che ha bisogno di alcune spiegazioni riguardo una questione di fondamentale importanza, tipo:
Per prendere i canali di Astra senza perdere quelli di Hotbird, come devo orientare la parabola?
In situazioni del genere l’ondivago si prodiga in una spiegazione enciclopedica con somma dovizia di particolari.
Alle 9:31 esce dal bar, e con la massima naturalezza dice: “Hai visto che ho fatto bene a insistere per anticipare? Sono le nove e mezza passate, e ancora dobbiamo fare tutto…”
Insomma, poiché vorrei evitare di bestemmiare, poiché non provo particolare interesse a insultare le persone ondivaghe e non mi da soddisfazione neppure prenderle a calci (ma all’occorrenza lo faccio ugualmente), se devo recarmi da qualche parte preferisco andare da solo.
In certe situazioni io tendo a comportarmi da loner, lo ammetto. Non sono un campione di socialità. Voglio provare a spiegare il perché di questo mio atteggiamento senza prendermi troppo sul serio, perciò ne farò l’argomento di un altro divertissment, più o meno come quelli già scritti sui centri commerciali e i quarant’anni imminenti.
Vita (a)sociale – Appuntamenti
Quando si fa qualcosa (qualunque cosa) insieme a un’altra persona, il primo passo è darsi un appuntamento. E già qui partono le mie idiosincrasie.
Se mi dicono: “Ci vediamo alle nove”, io alle nove e un minuto arrivo al luogo dell’appuntamento.
Il problema è la controparte. Spesso becco il ritardatario, quello che mentre stai uscendo di casa alle nove meno un quarto ti telefona per dirti: “Ho avuto un contrattempo, ci vediamo alle nove e mezza”, e riattacca senza dire altro. Una persona sociale non ci farebbe caso, io invece maledico la mezz’ora di sonno che ho perso, arrivo alle 9:31 e inizio a bestemmiare mentre aspetto l’altro fino alle 9:40, poi fino alle 9:50, poi fino alle 10:00 (se tutto va bene, anzi, male).
“Scusami per il ritardo, ma mi è successo…”
Non me ne frega niente. Adoro le storie di fantasia, tranne quelle di coloro che - su mille appuntamenti - collezionano mille ritardi, ogni volta con una scusa diversa.
Va ancora peggio quando l’appuntamento è con un ondivago. Quelli mi mandano al manicomio.
“Ci vediamo domani alle nove?”, domando io.
“Beh, no facciamo alle dieci”.
Ore dieci, perfetto. Almeno me la prendo comoda. Peccato che alle otto e mezza del giorno dopo squilla il telefono e l’ondivago mi fa: “Ripensandoci, alle dieci è troppo tardi. Vediamoci alle nove come si era detto”.
Cazzo, adesso me lo dici? Sto ancora a letto!
“Dai, datti una mossa, ce la puoi fare!”
La persona sociale non ne farebbe un dramma, e si preparerebbe con comodità. Io invece mi sistemo in pochi minuti accelerando i vari passaggi (tipo fare colazione in 30 secondi e lavarmi nei 30 restanti per formare un minuto), e poi partenza, con indosso i primi vestiti che mi sono capitati fra le mani.
Alle 9.07 minuti arrivo all’appuntamento, con l’ondivago che mi fa lo sguardo cattivo per i sette minuti di ritardo. Ci avviamo, e alle 9.08 lui si ferma al bar.
“Devo fare colazione”.
Come sarebbe a dire che devi fare colazione? Mi fai correre come un matto e poi tu ti fermi al bar?
Ovviamente lì incontra un suo amico che ha bisogno di alcune spiegazioni riguardo una questione di fondamentale importanza, tipo:
Per prendere i canali di Astra senza perdere quelli di Hotbird, come devo orientare la parabola?
In situazioni del genere l’ondivago si prodiga in una spiegazione enciclopedica con somma dovizia di particolari.
Alle 9:31 esce dal bar, e con la massima naturalezza dice: “Hai visto che ho fatto bene a insistere per anticipare? Sono le nove e mezza passate, e ancora dobbiamo fare tutto…”
Insomma, poiché vorrei evitare di bestemmiare, poiché non provo particolare interesse a insultare le persone ondivaghe e non mi da soddisfazione neppure prenderle a calci (ma all’occorrenza lo faccio ugualmente), se devo recarmi da qualche parte preferisco andare da solo.
venerdì 11 giugno 2010
Chissà chi...
Come rammentato proprio nel post precedente, prima di rendere i miei scritti disponibili in formato digitale avevo fatto ricorso al print-on-demand tramite i servizi de ilmiolibro, inserendoci Racconti fantastici e Trilogia veneta sognata (l'unico che al momento non ho reso disponibile anche on line ed è leggibile solo richiedendone una copia cartacea tramite ilmiolibro).
Da diversi mesi lo avevo praticamente abbandonato, ed è stata perciò una mezza sorpresa scoprire che due utenti di quella community hanno comprato una copia di entrambi gli scritti.
Non so se saranno di loro gradimento, comunque sento di doverli ringraziare per avermi fatto provare (sia pure in proporzione microscopica) la sensazione di aver avuto degli acquirenti per i miei racconti.
Sin dal momento in cui li ho inseriti su ilmiolibro ho deciso di mantenere il prezzo di vendita il più basso possibile (il minimo imposto dal sito) senza alcun guadagno per me, consapevole che chi accetta di comprare un libro autopubblicato corre un bel rischio, e quanto meno ha il diritto di non spendere troppo.
Continuerò a mantenere questi prezzi nella speranza che siano un incentivo per altri lettori-kamikaze. E naturalmente augurandomi che possano dire: 'beh, sono stati soldi spesi bene'.
Da diversi mesi lo avevo praticamente abbandonato, ed è stata perciò una mezza sorpresa scoprire che due utenti di quella community hanno comprato una copia di entrambi gli scritti.
Non so se saranno di loro gradimento, comunque sento di doverli ringraziare per avermi fatto provare (sia pure in proporzione microscopica) la sensazione di aver avuto degli acquirenti per i miei racconti.
Sin dal momento in cui li ho inseriti su ilmiolibro ho deciso di mantenere il prezzo di vendita il più basso possibile (il minimo imposto dal sito) senza alcun guadagno per me, consapevole che chi accetta di comprare un libro autopubblicato corre un bel rischio, e quanto meno ha il diritto di non spendere troppo.
Continuerò a mantenere questi prezzi nella speranza che siano un incentivo per altri lettori-kamikaze. E naturalmente augurandomi che possano dire: 'beh, sono stati soldi spesi bene'.
Etichette:
print-on-demand,
Racconti fantastici,
Trilogia veneta sognata
mercoledì 9 giugno 2010
Un anno fa...
Questo blog sta per compiere un anno. Il primo post risale a giugno 2009. Colgo l’occasione per tracciare un bilancio.
Intanto partiamo con gli scopi. Nelle intenzioni questo blog doveva essere uno spazio per dare sfogo alle mie ambizioni letterarie (evidente esagerazione, lo ammetto). Sarebbe stato una vetrina sul web per i miei racconti, con link sui servizi di print-on-demand dei quali usufruisco, più qualche ebook gratuito. Nel corso dei mesi ho optato interamente per la seconda possibilità. Qualche lettore isolato mi ha già espresso le sue opinioni su certi miei scritti, spero seguiranno altre recensioni.
Proseguiamo con le ambizioni. Inutile nascondere che mi piacerebbe utilizzare questo blog per annunciare la mia prima pubblicazione ufficiale con una casa editrice seria (niente servizi a pagamento o surrogati del genere), ma l’obiettivo sembra troppo lontano, e non per colpa degli editori... E’ probabile che smetterò di inviare manoscritti, e mi accontenterò di annunciare il mio nuovo ebook gratuito in formato pdf.
Infine parliamo di risultati. Il contatore delle visite è ben visibile in basso, come pure la quantità dei commenti, ma nonostante questi numeri vergognosamente minimi sono ugualmente soddisfatto, perché ho avuto modo di entrare in contatto con altri bloggers che propongono quasi quotidianamente riflessioni interessanti, o comunque post che vale sempre la pena di leggere.
Ad maiora!
Intanto partiamo con gli scopi. Nelle intenzioni questo blog doveva essere uno spazio per dare sfogo alle mie ambizioni letterarie (evidente esagerazione, lo ammetto). Sarebbe stato una vetrina sul web per i miei racconti, con link sui servizi di print-on-demand dei quali usufruisco, più qualche ebook gratuito. Nel corso dei mesi ho optato interamente per la seconda possibilità. Qualche lettore isolato mi ha già espresso le sue opinioni su certi miei scritti, spero seguiranno altre recensioni.
Proseguiamo con le ambizioni. Inutile nascondere che mi piacerebbe utilizzare questo blog per annunciare la mia prima pubblicazione ufficiale con una casa editrice seria (niente servizi a pagamento o surrogati del genere), ma l’obiettivo sembra troppo lontano, e non per colpa degli editori... E’ probabile che smetterò di inviare manoscritti, e mi accontenterò di annunciare il mio nuovo ebook gratuito in formato pdf.
Infine parliamo di risultati. Il contatore delle visite è ben visibile in basso, come pure la quantità dei commenti, ma nonostante questi numeri vergognosamente minimi sono ugualmente soddisfatto, perché ho avuto modo di entrare in contatto con altri bloggers che propongono quasi quotidianamente riflessioni interessanti, o comunque post che vale sempre la pena di leggere.
Ad maiora!
lunedì 7 giugno 2010
Altri pezzi di liberty
Anche in una giornata festiva, anche a pochi chilometri da casa mia sul litorale laziale, trovo sempre il modo di essere attratto dallo stile liberty, nel caso specifico quello imitativo di certe ville private.
Magari in questo caso non c'è solo ammirazione ma anche un po' d'invidia per i proprietari...
Magari in questo caso non c'è solo ammirazione ma anche un po' d'invidia per i proprietari...
venerdì 4 giugno 2010
Istvàn Sàndorfi
L’ungherese Istvàn Sàndorfi (1948-2007) è stato uno dei seguaci della corrente pittorica moderna chiamata “iperrealismo”. Essa fa riferimento alle fotografie digitali ad altissima risoluzione, e cerca di imitarne gli aspetti cromatici e grafici, nonché gli elementi prospettici e il fotoritocco.
Gli artisti che hanno aderito a questo movimento sono tutti dotati di una straordinaria abilità tecnica, mentre la capacità di essere davvero originali resta come sempre un dono individuale.
Nel caso di Sàndorfi, pur limitandosi ad un numero ristretto di temi è riuscito a sviluppare dei lavori estremamente interessanti, che evocano l’artificio del “montaggio” fotografico senza mai scrollarsi di dosso il soggetto materiale al quale si riferiscono.
Le sue immagini sono asettiche e distaccate persino quando includono soggetti umani, e tuttavia trasmettono un bizzarro senso di “comunicazione” con il pubblico intento ad ammirare la tela e i suoi personaggi /oggetti.
Ho riportato un paio di esempi ("La faute d'Elsa" in alto e "Les yeux de Safi" in basso), ma è possibile visionare altre sue opere sul sito http://www.fosaw.com/paintings.htm#
Gli artisti che hanno aderito a questo movimento sono tutti dotati di una straordinaria abilità tecnica, mentre la capacità di essere davvero originali resta come sempre un dono individuale.
Nel caso di Sàndorfi, pur limitandosi ad un numero ristretto di temi è riuscito a sviluppare dei lavori estremamente interessanti, che evocano l’artificio del “montaggio” fotografico senza mai scrollarsi di dosso il soggetto materiale al quale si riferiscono.
Le sue immagini sono asettiche e distaccate persino quando includono soggetti umani, e tuttavia trasmettono un bizzarro senso di “comunicazione” con il pubblico intento ad ammirare la tela e i suoi personaggi /oggetti.
Ho riportato un paio di esempi ("La faute d'Elsa" in alto e "Les yeux de Safi" in basso), ma è possibile visionare altre sue opere sul sito http://www.fosaw.com/paintings.htm#
giovedì 3 giugno 2010
Citazione di Yukio Mishima
Avverto costantemente il pericolo che la letteratura annienti la morale. E più volte ho analizzato i tranelli in cui cadono inconsciamente coloro che tentano di trovare un'etica ed un obiettivo di vita nella letteratura […] Chi infatti cerca un obiettivo di vita nella letteratura è in qualche modo insoddisfatto dell'esistenza reale. Ma invece di risolvere concretamente la sua insoddisfazione nell'ambito della realtà, anela ad un mondo diverso, con la speranza di poter risolvere in esso i propri problemi, e tenta di scoprire nella letteratura un obiettivo di vita e una morale. Ma la letteratura che soddisfa tali richieste è inevitabilmente di second'ordine: va però detto che i giovani da essa influenzati non subiscono che lievi danni […] Ciò da cui desidero mettere in guardia i giovani intellettuali è il pericolo insito nell'autentica letteratura. Essa ci mostra con durezza, senza alcun eufemismo, quale orribile destino gravi sull'essere umano […] Chi fa di essa il proprio scopo di vita, non è condotto nel dominio della religione, che occupa senza dubbio una posizione lievemente più avanzata, ma viene portato sull'orlo del più terribile precipizio, e qui abbandonato.
(Yukio Mishima, Lezioni spirituali per giovani samurai)
(Yukio Mishima, Lezioni spirituali per giovani samurai)
martedì 1 giugno 2010
Quarant'anni spin-off
Avevo detto (e confermo) che il divertissment sulle cose da evitare a quarant'anni è finito.
Ma una situazione che mi è capitata l'altro giorno mi ha suggerito un ultimo possibile post, diciamo pure uno spin-off...
Evitare le riflessioni troppo profonde
Un quarantenne dovrebbe ridurre al minimo il cazzeggiamento e fare riflessioni da persona matura. Ma è molto pericoloso.
Esempio pratico: ieri stavo al bar sul lungomare, e guardavo l’incredibile quantità di turisti provenienti da ogni parte del mondo che sciamavano ovunque. Pensavo alla vastità dell’umanità, ai miliardi di uomini e donne che popolano la Terra. Riflettevo sul fatto che io stavo lì, e intanto in ogni parte del mondo un numero enorme di persone compiva ogni genere di azione. Io bevevo un caffè, ma intanto chissà quanta gente magari stava morendo di fame. Perché in effetti è automatico che ogni istante qualcuno muoia, anche senza la fame...
Meditazione davvero profonda, decisamente. Che mi ha bloccato il caffé in gola.
Colpa mia, avevo fatto la riflessione sbagliata. Perciò ho ricominciato da capo.
… chissà quanta gente sta nascendo. E’ automatico che ogni istante qualcuno nasca, che ogni secondo una vita abbia inizio. Magari in questo momento sta venendo alla luce un grande genio, colui che scoprirà come eseguire la fusione nucleare fredda e aprirà le porte a una nuova era di benessere per l’umanità. Si, proprio ora sta nascendo un uomo straordinario, uno che lascerà il segno nella storia di questo mondo, non un banale signor nessuno come me che non ha mai combinato niente nella vita…
Ecco, a quel punto ho intuito che è preferibile evitare le riflessioni troppo profonde. Ma allora a cosa dovevo pensare?
Oh, amico quarantenne, a cosa stai pensando tu?
… Chissà se il mondiale lo vincerà il Brasile o la Spagna.
Ma sei un grande! Prendiamoci due limonate, ci studiamo i giocatori convocati e facciamo il punto della situazione. Comunque pure Inghilterra e Argentina non sono da sottovalutare, eh!
Ma una situazione che mi è capitata l'altro giorno mi ha suggerito un ultimo possibile post, diciamo pure uno spin-off...
Evitare le riflessioni troppo profonde
Un quarantenne dovrebbe ridurre al minimo il cazzeggiamento e fare riflessioni da persona matura. Ma è molto pericoloso.
Esempio pratico: ieri stavo al bar sul lungomare, e guardavo l’incredibile quantità di turisti provenienti da ogni parte del mondo che sciamavano ovunque. Pensavo alla vastità dell’umanità, ai miliardi di uomini e donne che popolano la Terra. Riflettevo sul fatto che io stavo lì, e intanto in ogni parte del mondo un numero enorme di persone compiva ogni genere di azione. Io bevevo un caffè, ma intanto chissà quanta gente magari stava morendo di fame. Perché in effetti è automatico che ogni istante qualcuno muoia, anche senza la fame...
Meditazione davvero profonda, decisamente. Che mi ha bloccato il caffé in gola.
Colpa mia, avevo fatto la riflessione sbagliata. Perciò ho ricominciato da capo.
… chissà quanta gente sta nascendo. E’ automatico che ogni istante qualcuno nasca, che ogni secondo una vita abbia inizio. Magari in questo momento sta venendo alla luce un grande genio, colui che scoprirà come eseguire la fusione nucleare fredda e aprirà le porte a una nuova era di benessere per l’umanità. Si, proprio ora sta nascendo un uomo straordinario, uno che lascerà il segno nella storia di questo mondo, non un banale signor nessuno come me che non ha mai combinato niente nella vita…
Ecco, a quel punto ho intuito che è preferibile evitare le riflessioni troppo profonde. Ma allora a cosa dovevo pensare?
Oh, amico quarantenne, a cosa stai pensando tu?
… Chissà se il mondiale lo vincerà il Brasile o la Spagna.
Ma sei un grande! Prendiamoci due limonate, ci studiamo i giocatori convocati e facciamo il punto della situazione. Comunque pure Inghilterra e Argentina non sono da sottovalutare, eh!
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