Camera con vista, famoso anche per il film di James Ivory (regista innamorato dei romanzi di Forster, li ha trasposti quasi tutti in film), è un libro che mi ha sempre trasmesso una particolare fiducia, e per questo lo considero un mio “librovissuto”.
La trama è semplice, e neppure troppo originale: Lucy, giovane ragazza perbene, durante le sue vacanze a Firenze conosce casualmente il connazionale George Emerson, problematico e in preda a una crisi eistenziale che gli fa vedere solo il brutto del mondo e della vita. Suo padre prova a sostenerlo, e parla apertamente dei mali di suo figlio. Più in generale, gli Emerson sono persone aperte, spontanee, mentre Lucy e sua cugina Charlotte mantengono quella fredda esteriorità tipica di una certa borghesia inglese di inizio novecento.
Ma tra Lucy e George nasce una sorta di colpo di fulmine, che però si limita a un bacio, e che soprattutto fa emergere la razionalità di Lucy, spaventata dalla propria reazione emotiva e decisa a mantenere il proprio autocontrollo. Lei e Charlotte partono anticipatamente da Firenze per non incontrare più gli Emerson.
Mesi dopo, Lucy si è fidanzata con Cecil, altro tipico borghese di stampo vittoriano, freddo e disdegnosamente intellettuale. George sembra solo un lontano ricordo, fino al giorno in cui arrivano i nuovi proprietari della casa vicina alla sua: proprio gli Emerson.
George fa subito amicizia con Freddy, il fratello minore di Lucy. L’entusiasmo giovanile di Freddy contagia George, che ritrova la gioia di vivere e sembra rinato rispetto ai giorni di Firenze. E non ha affatto dimenticato Lucy, anzi…
Per Lucy diventa la “solita” storia: razionalità contro istinto, calcolo ragionato contro trasporto sentimentale, o molto più semplicemente l’asettico Cecil contro l’emotivo George.
Quante volte nella vita ci si pongono dubbi, si fanno un sacco di ragionamenti, si dice “Mi piacerebbe, però meglio non fare follie…”
Senza clamori, in modo difficoltoso e non indolore, Lucy capirà ciò che è giusto fare. E Forster sa raccontare questa scelta con un’acutezza psicologica straordinaria, basata molto sui gesti esteriori e sul “non detto” più che su spiegazioni esplicite. Memorabili poi alcune scene che possono competere con quelle del film, pur essendo semplici parole scritte e potendo contare “solo” sull’immaginazione del lettore.
Un romanzo ormai classico che a suo tempo mi ridiede la serenità.
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