mercoledì 8 luglio 2009

Racconto estivo...

Ho deciso di partecipare al concorso organizzato dal blogger 31ottobre
Questo é il mio racconto:

Erano passati solo trenta minuti dal momento in cui Mario aveva varcato il famigerato ingresso del super-mega-fanta-parco acquatico, e già gli sembrava che fosse trascorsa un’eternità. Quanto lo odiava quel finto mare! Chilometri di scivoli intasati di gommoni, tutti carichi di ragazzini scatenati e adulti con la sindrome di Peter Pan che facevano a gara a chi schizzasse via più veloce sino alla piscina di atterraggio… Avrebbero dovuto fare un altro tipo di gara: quella per chi era più idiota.
Chi l’avrebbe vinta? Difficile dirlo, si rischiava un ex-equo tra circa due-tremila persone. I restanti mille avrebbero comunque meritato una menzione d’onore…
Fece un rapido riassunto della situazione: ore 10:32 (minimo altre 5 ore di tortura); +31° di temperatura (unica salvezza buttarsi in piscina in mezzo alla tempesta urlante di adolescenti saltellanti… fra i due mali, bah, difficile scegliere); 0 passatempi a disposizione (e almeno una decina di rimpianti per non aver comprato il quotidiano, non aver aggiornato i giochini sul cellulare, aver lasciato a casa il palmare, più varie altre).
Che fare? Sicuramente incazzarsi con la propria famiglia per questa infantile ossessione del “parco acquatico”, che palle! E poi… scazzarsi subito, mi sembra ovvio. Farsi girare le palle con quel caldo era abbastanza pericoloso. Un uomo di 40 anni deve stare attento all’ipertensione.
“E’ questo il problema”, pensò. “In questi posti ci devono venire solo i giovani. Se avessi 17 anni qui mi divertirei. Peccato che…”.
Il pensiero s’interruppe a metà. Un respiro profondo equivalente ad un sospiro mise il timbro su un improvviso attacco di nostalgia, nostalgia della giovinezza e dei bei tempi in cui c’era solo lo scazzo e nessuna preoccupazione.
“Eh si, quelli si che erano bei tem…”. Trasalì. Una sagoma lontana agitava le sue mani lardose per salutarlo, e per costringerlo a rimangiarsi seduta stante tutti i suoi rimpianti. La spensieratezza della gioventù, la vita beata… si, certo, però c’erano anche le rotture pazzesche tipo quell’essere (si avvicinava man mano coprendo tutto lo spettro visuale con il suo adipe invadente e la sua faccia più larga che lunga)… Eccolo là di fronte a lui, il maledetto Fabianelli.
“Pisellino! Come va?”.
(Sempre stò nomignolo maledetto, ogni volta urlato a duemila decibel, bastardo!) “Bene”.
“Allora, che hai combinato dall’ultima volta che ci siamo visti? Quando è stato, due anni fa?”.
(Purtroppo si, speriamo che questa sia l’ultima) “Niente, solite cose”.
“Sei ancora sposato con Luciana?”.
(Perché, non dovrei esserlo?) “Si, certo”.
“Bravo, bravo, tu si che sei bravo. Non come me che ho lasciato mia moglie dopo otto anni per un’altra, però… L’uomo è debole, si sa. E poi Jessica m’era sempre piaciuta, fin dai tempi della scuola”.
(Jessica? Quella bonazza si va a mettere con questo qui? Li mort…) “Eh, capisco”.
“Che fai, prendi il sole sotto l’ombrellone, eh eh?”.
(Quanto non sopporto stà risata del cazzo) “Non è che mi diverta tanto venire qui. Lo faccio solo per Luciana e la bambina”.
“No, no, sbagli, qui ci si diverte. L’hai mai fatto il volo della morte?”.
(Eccolo là, ci avrei giurato! Sta già cercando l’occasione per mettermi in ridicolo, come sempre) “Si, un paio di volte…”.
“Eh, quello è fortissimo! A quest’ora poi é ancora accessibile, non c’è un’ora e mezzo di fila sotto lo scoppio del sole”.
(Ho capito dove vuole arrivare) “Può darsi”.
“… Pisellino… perché non ci spariamo un volo insieme? Fammi compagnia, dai!”.
(Come no, per farmi fare la figura del coglione come sempre) “Non posso lasciare l’ombrellone incustodito”.
“Ma chi si frega niente! Qua tutti hanno tutto, c’era una bimba che avrà avuto neanche 15 anni e aveva uno smartphone che vale quanto io e te messi assieme! Sai che gliene frega dei dieci euro che hai nel portafogli!”.
(E se invece… il fattore sorpresa potrebbe aiutarmi…) “In effetti… perché no?”.
“Oh, bravo pisellino, così mi piaci!”.
Si avviarono verso la spaventevole scalinata che saliva fino al terrificante volo della morte, pittoresco nome di un’attrazione scivolosa, curva, velocissima, sigillata in un tubo chiuso con sbocco finale in una piccola piscina, tanti schizzi d’acqua sino alle sdraio più vicine, e una colonna sonora fatta di urla di paura.
“Lo frego io a quest’elefante bastardo” pensava Mario con una scintilla di malignità che brillava più delle gocce di sudore. “Quando siamo in cima farò finta di avere un capogiro, mi metto a barcollare, lo sbilancio e lo faccio cadere… ma non verso lo scivolo, no, sarebbe troppo corretto. Lo mando direttamente sulla costa rocciosa a lato, quella che ancora non si sono decisi a metterci una staccionata perché ‘nessuno è mai caduto’, ma c’è sempre una prima volta, no? L’elefante farà un bel botto… Non si ammazzerà, sono solo un paio di metri, però una costola se la frattura… Con tutto quello che mi ha combinato negli ultimi vent'anni ci può anche stare… Così saldo tutto in una volta sola”.
La fila era davvero minima, considerata la straordinaria attrazione che suscitava quel gioco così meravigliosamente thrilling. C’erano solo una trentina fra giovanotti scimmieschi e ragazzine pseudo-veline, e poi, abbastanza fuori luogo, due quarantenni tipo Stanlio e Ollio, uno grande e grosso, l’altro mingherlino e dall’aria indifesa. Eppure i suoi occhi erano sinistri…
“Dai che si siamo. Al prossimo giro andiamo noi. Prendo il canotto…”.
“No, no, lo prendo io” (Ci mancherebbe, non devi avere niente che ti possa ammortizzare la caduta!).
“Va bene. Vai che ci siamo”.
Mario fissò con lucida, bramosa follia il piccolo strapiombo sul lato destro rispetto all’ingresso al volo della morte. Sentì le gambe che gli tremavano ma anche una volontà feroce che lo spingeva a non ripensarci.
“Adesso è il momento gius…”. Ancora una volta i suoi pensieri vennero interrotti. Uno dei tanti scimmioni adolescenti aveva spinto un suo amico per scherzo, provocando una reazione a catena tipo domino fra la gente in fila. Mario cadde di schiena verso lo scivolo del volo della morte, nel buio del tubo chiuso, pensando che stava per succedere qualcosa di orribile…

“Sei piccolino ma pesi”, gli disse il suo amico in tono scherzoso, anche se la costola doveva fargli un male cane. Mario annuì.
“Purtroppo non posso fare nulla”, spiegò l’addetto dell’infermeria. “Ho chiamato l’ambulanza, così la porteranno al pronto soccorso”.
“Non serve a niente”, osservò l’amico. “Costola rotta, non credo che possano ingessarla. Per tre mesi mi toccherà patire. Ogni volta che mi siedo o che mi sdraio vedrò le stelle… e mi sa che qualche scopata con Jessica mi toccherà saltarla”.
La diretta interessata gli diede un’occhiataccia: “Ma che dici, sporcaccione?”.
“Mi dispiace”, commentò Mario a bassa voce.
“Ma non lo dire neanche per scherzo! Quando t’ho visto che stavi per cadere giù di schiena mi è venuto un infarto. Non ho fatto nemmeno in tempo a pensare: ‘se gli si spezza la colonna vertebrale rimane paralizzato’ che già mi ero buttato per farti da cuscino. Anzi, avevo paura di non fare in tempo. Mi sarei sentito in colpa perché eri venuto sullo scivolo solo perché te lo avevo chiesto io”.
Per la prima volta in vita sua Mario fece un sorriso sincero all’elefante.
“Vai da Luciana, che ti starà cercando. Tanto se stai qui non è che mi si guarisce la frattura”.
“No, è che… mi dispiace, davvero. Se posso…”.
“Fare qualcosa? Una cosa la puoi fare: questo è l’ingresso mio e di Jessica, vale anche per domani. A noi non ci serve più, sfruttalo te, così risparmi trenta euro”.
Mario ringraziò con un gesto della testa. Non aveva proprio parole.

Quando ritornò all’ombrellone trovò Luciana e la bambina.
“Ti stavi proprio annoiando, eh? Dai, sopporta, domani andiamo dove vuoi tu”.
“No, no, domani torniamo qui. Ho rimediato un ingresso di quelli validi anche per il giorno dopo”.
“E come hai fatto?”.
“Diciamo che oggi è successo un mezzo miracolo”.
“Che miracolo?”.
“Un giorno te lo racconterò. Adesso però voglio andare a farmi un bagno in piscina. Voglio stare in mezzo a tutti quei giovani pieni di energia, magari ne trasmettono un po’ anche a me”.

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