mercoledì 28 marzo 2012

Vapore 1910 - conclusione

8
“C’è una sola persona che appare particolarmente infastidita dalle tue… abitudini, ed è anche l’unica che ne conosce i dettagli. Dai, seguimi”.
Mentre lo diceva aprì la porta ed entrò nella stanza accanto dove Orlando Clapasson camminava su e giù nervosamente. Vedendo Alfredo gli domandò:
“Allora, adesso sei convinto che Guglielmo faccia bene a prendersi la colpa dell’omicidio pur di salvare la nostra famiglia da uno scandalo?”
“No. Mi spiace Orlando, ma ho deciso che, semplicemente, a pagare sarà il vero colpevole”.
Guglielmo sopraggiunse in quel momento. Si accorse subito che negli occhi di suo fratello c’era una tensione innaturale.
“L’assassino” riprese a parlare Deverò, “ha volutamente agito nel corso di una notte in cui Guglielmo era in una situazione che gli impediva di difendersi dall’accusa. Per rendere più corposi gli indizi a suo carico ha scelto come vittima un uomo con cui Guglielmo era stato pubblicamente coinvolto in una sgradevole lite poche ore prima, e come se non bastasse si è persino premurato di camuffarsi in modo da somigliargli il più possibile, calcolando altresì il modo migliore per farsi vedere da Celzani morente onde lasciare l’immagine del falso Guglielmo impressa nella sua retina, cosicché la materializzazione dell’ultima visione avrebbe aggiunto ulteriori elementi a suo carico. Mi sembra ovvio che solo una persona può aver organizzato tutto ciò con uno scopo preciso in mente…”
Il volto di Guglielmo quasi si paralizzò. Quello di suo fratello divenne cinereo.
“Mi dispiace Orlando, posso capire il tuo disagio a convivere con una situazione che ti avrà spesso messo al centro delle chiacchiere. Posso umanamente comprendere quanto sia fastidioso frequentare caffè, teatri, serate mondane, e avere la costante impressione che la gente ti sorrida alle spalle per i tuoi casi famigliari. Posso soprattutto perdonare la tua scelta della vittima sacrificale – per quanto mi riguarda l’omicidio di Celzani dovrebbe essere considerato un atto meritorio e non un crimine – però ciò non giustifica quel che stavi combinando a tuo fratello. Con lui in carcere ti saresti sentito più sereno, nevvero? Avresti guardato i tuoi pari con maggiore tranquillità, avresti potuto sospirare parole come ‘cosa ho fatto per meritare un congiunto simile’ e nessuno avrebbe riso, perché l’altra situazione si prestava a chiacchiere, mentre una detenzione per omicidio, beh, no, non si può ridere o ironizzare su un fatto del genere. Meglio compatito che deriso, sbaglio? Così hai pianificato ogni cosa nei dettagli. Aspettavi solo l’occasione giusta. Ti sei persino premurato di mandarmi una lettera SMS per dare l’impressione che eri preoccupato per Guglielmo. Ma non ci si improvvisa assassini. Bisogna avere talento per non farsi scoprire, e tu sei un esordiente in questo settore, n’est ce pas?
Guglielmo era diventato pallido. Non poteva credere a una soluzione del genere. Sarebbe stato meglio essere arrestato da innocente piuttosto che scoprire una verità così dolorosa. Tante volte suo fratello lo aveva rimproverato per il suo vizio (non riusciva a chiamarlo amore omosessuale, quella parola lo disgustava); in numerose occasioni lo aveva persino offeso con parole cariche di disprezzo. Ma un complotto del genere… no, era inaccettabile.
Però Orlando non tentò neppure di negare. In fondo non era un uomo meschino, era solo ossessionato dall’idea del decoro e dell’onore famigliare. Si lasciò cadere su una sedia e ammise ogni cosa.
La sera precedente era stato al Teatro Alfieri durante il primo atto, tanto per farsi vedere. Poi si era recato presso la casa di Celzani indossando la giacca marrone di cashmere di Guglielmo e una parrucca bionda…

A questo punto, avendo la vicenda preso il canovaccio di certi romanzi melodrammatici trasmessi dalla lanterna magica, ci si potrebbe aspettare un finale spettacolare: ad esempio Orlando che, preso dalla disperazione, si suicida gettandosi dalla finestra piuttosto che finire in carcere; mentre Guglielmo muore di crepacuore sconvolto all’idea di essere stato causa indiretta di un evento simile, facendo però in tempo a recitare un patetico sermone in cui perdona suo fratello per aver tentato di incastrarlo e farlo passare per assassino.
Oppure, secondo l’elegante e moralistico stile di un giallo anglosassone, Orlando dovrebbe costituirsi e ammettere le proprie colpe affrontando processo e detenzione, mentre Guglielmo rivelerebbe ai giornali la propria storia per convincere l’opinione pubblica ad accettare l’omosessualità anziché deriderla o detestarla.
Però l’omicida era stato smascherato da Alfredo Maria Deverò, che non aveva alcun particolare senso del dovere ma solo una snobistica e volubile concezione di solidarietà verso gli altri esseri umani, purché meritevoli di riceverla (e lui si ergeva a giudice supremo di tali meriti). Pertanto optò per un finale che risulterà odioso agli eventuali lettori di questa vicenda, ma gradito alla singola persona del Conte di Bussoleno.
Per prima cosa decise che non poteva permettere che Orlando, comunque suo caro conoscente, finisse in carcere. Ma non voleva neppure che ci fossero conseguenze per Guglielmo. Così suggerì una via d’uscita che venne applicata alla lettera dai fratelli Clapasson.
Quella sera stessa Orlando si imbarcò sul dirigibile diretto a San Paolo del Brasile, portandosi dietro una gran quantità di titoli al portatore, compresa un discreto numero di quelli che appartenevano a Guglielmo. Non appena giunto nel paese sudamericano, inviò un messaggio manoscritto all’ispettore Garrone tramite il quale confessava nei dettagli la propria colpevolezza e indicava il negozio in cui aveva acquistato il bastone da passeggio utilizzato per l’omicidio e il luogo dove trovare la parrucca bionda da lui indossata durante il fatto per far convergere i sospetti su suo fratello. Veniva però indicato come motivo di tale azione il desiderio di togliere di mezzo il congiunto per poter poi intascare tutta l’eredità di famiglia, confidando che i signori Clapasson avrebbero diseredato Guglielmo laddove lo avessero creduto un assassino.
Ma poi – continuava il manoscritto – si era pentito (senza però sognarsi minimamente di scontare la sua colpa in carcere, ovvio) e per tale motivo stava ora redigendo questa confessione piangendo lacrime amare in attesa di godersi la vita nella grande metropoli brasiliana non appena fosse passato il rimorso.
E così Guglielmo era scagionato, diventava erede universale dei beni dei Clapasson compensando in tal modo i titoli donati a Orlando per favorire il suo esilio forzato a San Paolo, e poteva continuare a vivere segretamente la sua storia proibita. L’opinione pubblica aveva un assassino da biasimare e l’ispettore Garrone poteva affermare di aver risolto il caso.
Insomma, tutti soddisfatti. Con la notevole eccezione dei genitori dell’assassino, definitivamente costretti a non poter invitare nel loro salotto la Marchesa Karoly e la Contessa Artaud.
Senza contare l’altro evidente insoddisfatto di questa storia, ovvero il leader nuovista Ernesto Celzani, che era stato barbaramente ed inutilmente ucciso.
“In effetti” pensava Deverò riflettendo su tale aspetto della vicenda, “sono molto addolorato al pensiero di quanto stiano soffrendo i coniugi Clapasson per questa incresciosa vicenda che ha coinvolto il loro amato Orlando e lo ha costretto all’espatrio” (e qui finivano i suoi dispiaceri).
Un attimo dopo aveva già smesso di riflettere, riprendendo a leggere l’articolo della Tribuna Illustrata in cui si parlava diffusamente della proposta di abolire i vincoli che riservavano il diritto di voto a una limitata élite di uomini benestanti e istruiti, estendendolo invece a tutti i cittadini italiani.
“Il suffragio universale… la massa ignorante che vota e mette bocca nella gestione delle cose pubbliche… Sarà la rovina per l’Italia”.
Se siete sempre più convinti che il Conte Deverò sia un gigantesco salaud, beh, vi confermo nuovamente che avete ragione. E benché lui non se ne renda conto, in fondo è proprio un italiano come tutti gli altri.
(fine)

5 commenti:

  1. Letto ed apprezzato. Complimenti Ariano.

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  2. Forse troppo immediata la conclusione: avrei preferito più suspance per l'individuazione dell'assassinoe e forse più movimentata la sua fuga.
    Bene per le descrizioni della Torino dell'epoca.
    Tutto sommato un gradevole e fantasioso racconto giallo.
    Mi è piaciuto.

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  3. Finito. Il racconto mi è piaciuto per come è scritto, per l'ambientazione curata e le invenzioni futuristiche citate. Anche i personaggi sono ben fatti e nel complesso potrebbe benissimo essere il primo episodio di una miniserie col conte Deverò, che si presta alla cosa. Il mondo attorno a lui è appena accennato (d'altra parte la lunghezza del racconto non permetteva di più), ma è ben caratterizzato: un epoca, i suoi personaggi, le sue idiosincrasie. Solo il finale mi ha lasciato un po' l'amaro in bocca, non per la soluzione del caso (anche se il mio giustizialismo avrebbe fatto sbattere in galera il cattivo e trionfare l'amore dei due amanti!) ma perché troppo breve rispetto a tutto il resto. Capisco che bisognava rispettare la misura dei capitoli, ma forse qualche paragrafo in più non guastava. Parere personale, eh! Comunque mi è piaciuto molto! Aspetto il seguito!

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  4. Grazie a tutti per le utili indicazioni.
    Sì, il finale è stato scritto troppo in fretta, in parte perché questo racconto è un esperimento, in parte perché costituiva una sorta di presentazione dei personaggi, anche se al momento attuale non so se seguiranno altri racconti con protagonista il Conte Deverò... Vedremo ;-)

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