mercoledì 21 marzo 2012

Vapore 1910 - parte cinque

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Alle cinque e due minuti pomeridiane, Deverò giunse di fronte al palazzo in cui era avvenuto l’omicidio. Il Conte era piuttosto infastidito poiché la profezia maligna di Garrone si era avverata: nonostante il gran goal di Ajmone Marsan, la Juventus aveva dovuto inchinarsi all’U.S. Milanese che aveva espugnato il campo di Corso Sebastopoli con un incontestabile 2-1.
L’ingresso dell’appartamento in cui viveva Ernesto Celzani era piuttosto affollato. Non era presente alcun parente di Celzani, che da anni aveva rotto ogni rapporto con la sua famiglia, ma c’erano l’ispettore Garrone, due guardie, il tecnico addetto alle materializzazioni, e a sorpresa Orlando Clapasson con un avvocato.
“Mio fratello era impossibilitato a venire e ha delegato me” stava spiegando all’ispettore.
Deverò si avvicinò al fratello del suo amico. “Bonsoir Orlando, presumo che anche Guglielmo sia sospettato, n’est ce pas?”
“Purtroppo sì”, ammise Orlando. “Si è messo in bel guaio”, sussurrò.
“Suvvia, sono solo inevitabili formalità dovute allo spiacevole episodio di ieri mattina" minimizzò Alfredo. "Fra ventiquattro ore saremo stati entrambi cancellati dall’elenco degli indiziati”.
“Non sarà così semplice per Guglielmo” accennò Orlando che appariva piuttosto teso. Poi, lanciando un’occhiata obliqua all’ispettore e alle guardie che già sembravano origliare, aggiunse: “Ne parleremo con calma in un luogo più appartato”.
L’avvocato annuì in segno di approvazione.
In quel momento Deverò capì il motivo per cui Garrone aveva accettato la sua presenza durante la materializzazione: l'ispettore sperava evidentemente di cogliere complici occhiate o cenni d'intesa tra il Conte e l'altro sospettato (o il fratello di quest'ultimo presentatosi in sua vece).
Il corpo di Celzani giaceva ancora disteso a terra. L’assassino lo aveva colpito violentemente con un bastone da passeggio, peraltro un modello abbastanza comune che si poteva acquistare per pochi soldi in numerose rivendite della città. Ovviamente non vi erano tracce sulla superficie del bastone, eccetto il sangue dell’ucciso. Una larga macchia rossa circondava la sua testa.
“Io sono pronto” intervenne a voce alta il tecnico che stava finendo di spargere la polvere sull’occhio della vittima e aveva già inserito il piccolo proiettore di luce a gas accanto al visore in vetro poggiato sull’iride di Celzani. “Se fate buio provvedo a creare la materializzazione”.
Le persiane vennero chiuse, solo un soffuso bagliore rischiarava l’oscurità che ora avvolgeva la stanza. Il tecnico accese un fiammifero e diede fuoco allo stoppino di quattro piccole sfere fumogene poste intorno al cadavere. In pochi istanti le sfere liberarono una coltre spessa di nebbia artificiale, quantunque non densa, e l’aria della stanza si riempì di una quasi solida cortina polverosa. Qualcuno dei presenti tossì, l’avvocato dei Clapasson iniziò addirittura a lacrimare, irritato dalle particelle urticanti contenute nel fumo.
“Scusate, ma era la quantità minima necessaria” spiegò il tecnico quasi a volersi giustificare. Un attimo dopo azionò il proiettore. La luce opaca del gas illuminò la nebbia dal basso verso l’alto nel punto in cui giaceva il corpo di Celzani. Una sagoma tridimensionale prese lentamente forma nella foschia azzurrina della stanza.
Era chiaramente un uomo. Sfocato, indistinto, ma senza dubbio uomo. Sorreggeva un bastone da passeggio, con l’aria di aver appena sferrato un colpo. Appariva visto dal basso, come se la visuale della vittima fosse quella di un uomo che stava cadendo all’indietro.
In effetti si trattava di una visione piuttosto credibile: Celzani era stato colpito e, crollando al suolo, aveva fatto in tempo a vedere l’uomo che lo aveva aggredito alle spalle.
L’ispettore e le guardie cominciarono a girare attorno all’uomo di fumo osservandolo nei dettagli.
L’assassino di nebbia continuava a rimanere parzialmente sfocato, ma prendeva colore. I suoi capelli erano biondi, la sua elegante giacca era marrone, apparentemente di cashmere.
“Direi che è una materializzazione realistica” azzardò Garrone. “Non mi pare l’allucinazione di una persona sconvolta, sembra proprio la lucida contemplazione dell’assassino da parte della vittima nel suo ultimo momento di coscienza prima della morte”.
Poi, con aria molto cauta, si rivolse a Orlando Clapasson e domandò: “Sbaglio o quest’uomo somiglia notevolmente a suo fratello Guglielmo?”
“Non glielo permetto!” gridò Orlando.
“La materializzazione dell’ultima visione non è considerata una prova attendibile ai sensi dell’articolo 189 bis del codice di procedura penale, prescindendo dall’apparente verosimiglianza e concordanza con gli indizi accusatori”, aggiunse prontamente l’avvocato.
Seguì una breve discussione fra Garrone e l’avvocato, che si appartarono a un angolo. Mentre i due parlavano, Alfredo Maria Deverò osservò a sua volta l’uomo di fumo tirato fuori dalla retina di Celzani. Gli girò attorno facendo attenzione a non interrompere il flusso di luce del proiettore e a non disperdere il fumo che ormai si stava dileguando.
“Scusi se mi intrometto”, intervenne nei confronti dell’ispettore con la sua tipica espressione un po’ supponente e talvolta decisamente irritante. “Quest’uomo ha gli occhi marroni. Guardate bene”.
“E allora?”, replicò infastidito Garrone.
“Guglielmo ha le iridi azzurre come il cielo. I capelli sono biondi come i suoi, e anche la pettinatura sembra identica, però… guardate come sono stopposi questi ciuffi. Mi sembra evidente che è una parrucca”.
“Andiamo Deverò! Celzani ha visto l’assassino per una frazione di secondo e poi è deceduto. Non poteva osservare nei dettagli! Il colore degli occhi e la conformazione dei capelli sono indistinti per questo motivo!”
“Non sono indistinti. Sono stati catturati dalla retina della vittima sin troppo bene. Ma anche questa è una stranezza. Perché l’assassino gli ha dato la possibilità di farsi vedere in faccia pur sapendo che si può eseguire la materializzazione dell’ultima visione, che non sarà una prova valida ma è pur sempre un indizio utile per le indagini? Lo aveva colpito alle spalle, sarebbe stato facile dargli il colpo di grazia un istante dopo. Invece lo ha lasciato agonizzare permettendogli di guardarsi attorno”.
“A cosa vuole arrivare?” domandò Garrone che non sopportava i civili che si atteggiavano a poliziotti.
“La mia impressione”, continuò Deverò, “É che l’omicida abbia volutamente tentato di incastrare Guglielmo Clapasson, vestendosi come lui e indossando una parrucca bionda, ovviamente permettendo a Celzani di vederlo per un attimo prima di morire. Però non ha potuto modificare i propri occhi”.
“Se il signor Clapasson avrà la compiacenza di farsi interrogare”, osservò in tono polemico Garrone, “vedremo cosa ha da dirci in merito”. Poi, rivolgendosi a suo fratello Orlando e all’avvocato, gli confermò che Guglielmo restava nell’elenco degli indiziati e li ammonì a farlo presentare in commissariato entro le otto pomeridiane onde non aggravare la sua posizione.
Infine invitò i civili ad abbandonare il luogo del delitto per permettere alle forze dell’ordine di poter ultimare le procedure di accertamento e sigillare porte e finestre.
Deverò e Orlando Clapasson si avviarono assieme fuori del palazzo.
(continua)

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