Il corpo di Sergej Ivanovic Marinov giaceva a terra, i capelli imbevuti del sangue che era colato dalla tempia sinistra, gli occhi quasi fuori dalle orbite, i denti digrignati in un’espressione che racchiudeva la fissità della morte ma anche un’inquietante determinazione.
“Ve lo ripeto per la centesima volta” ripeté esasperato Vladimir Fiodorovic Lushenko, “Ha detto semplicemente: ‘Non ho mai perso una partita in vita mia e non permetterò che questo primato mi venga tolto’. Ha tirato fuori una pistola dalla tasca dei pantaloni e poi…”
“E lei” insistette il commissario Golovnin, “vorrebbe farmi credere che Marinov si è suicidato per questo motivo?”
“Lei deve considerare che allo stato attuale” spiegò Lushenko indicando la scacchiera “Il Re nero non è ancora direttamente sotto scacco, perciò non si può parlare di partita persa. Ma se io avessi avuto la possibilità di effettuare la mia mossa spostando il Cavallo in A5, la partita sarebbe di fatto giunta all’epilogo: in un paio di turni lui non avrebbe più avuto mosse disponibili, e se ne era reso conto fin troppo bene”.
“E come mi spiega il suo accanimento sul corpo? Perché stava inveendo su di lui a calci e pugni?”
“Non avrei dovuto? Per la prima volta in vita mia ero a un passo dallo sconfiggere il grande Marinov, ma lui si è sparato un colpo in testa pur di ottenere che la partita venisse interrotta per giustificato motivo e, conseguentemente, non mi venisse attribuita la vittoria! No, non lo potevo perdonare questo bastardo! Almeno sulla sua salma dovevo sfogarmi!”
Il commissario Golovnin si lasciò sfuggire un’esclamazione di disappunto. Aveva visto di tutto nel corso della sua carriera, ma gli scacchisti matti erano una novità anche per lui.
“Un altro prigioniero nella fossa del Demonio” commentò uno dei poliziotti. E in risposta agli sguardi interrogativi dei presenti spiegò: “Mia nonna mi diceva sempre che chi si toglie la vita commette peccato e finisce in una grande fossa sotto il culo del Demonio. Tutti i morti suicidi sono radunati lì, costretti a condividere insieme la condanna per la loro colpa”.
“Tutti insieme?” esclamò Lushenko con una luce improvvisa negli occhi.
Prima che Golovnin potesse fermarlo, lo scacchista aveva già afferrato la pistola nella mano congestionata di Marinov. Il colpo rimbombò violentemente nella stanza, e un attimo dopo Lushenko giaceva morto sopra il suo rivale. La mano sinistra teneva stretto il foglio in cui erano riportate le mosse della partita, la faccia aveva l’espressione sorridente di chi si è appena accorto che il gioco non è ancora terminato.